BARSEGAPA, Pietro da
Rimatore lombardo vissuto nella seconda metà del sec. XIII; fu autore di un'opera poetica a carattere didattico, da lui stesso chiamata Sermone.
Una sola, pur se ben circostanziata, è la data sicura riguardante il B., ed è egli stesso a fornircela al termine del suo Sermone: "In mille duxento sexanta e quatro / Questo libro si fo fato, / E de iunio si era lo prumer dì / Quand questo dito se fenì, / Et era in secunda diction / Un venerdì abassando lo sol". Corretto il sexanta -che non risponde esattamente alle ulteriori precisazioni del B. - M setanta -che, invece, soddisfa pienamente - ecco l'unica notizia certa: il B. terminava di comporre il suo Sermone al calar del sole del 10 giugno 1274. Su questo preciso termine di riferimento alcuni studiosi si sono basati per tentare indagini ulteriori. Il Carta propose, peraltro con assai scarsa convinzione, un "Petrus de Basilica Petri o Pietro da Bescapè", che nel 1335 e nel 1340 fu eletto tra i goo decurioni della città di AIilano; identificazione senz'altro da scartare per ragioni cronologiche: pur ammettendo infatti nel B. una notevole precocità letteraria, non sarebbe poi comunque credibile che egli potesse esser decurione intorno agli 80-85 anni. Probabile è, invece, l'identità del rimatore con quel "nobili et probo viro domino Petro de Bazacape de Mediolano amico karissimo plurìmum diligendo", cui il podestà di Firenze Iacopino Randone inviava il 31 marzo 1260 una lettera di ringraziamento per essersi egli dichiarato pronto * cum certo numero equitatorum." ad intervenire "ad servitium Communis et Populi Florentini". Un elemento v'è nel Sermone che appoggia notevolmente quest'identificazione: il B. medesimo ivi si qualifica come "fanton", uomo d'arme (V. 2431); e, forse, un'altra allusione a questa sua qualità potrebbe rinvenirsi al V. 231, ove il B. dice che ciò ch'egli narrerà "no parrà seno de fant". Comunque è da sottolineare la notevole concordanza cronologica tra il poeta e il soldato. Il Novati avrebbe infine rintracciato (L. Biadene, recens. a E. Keller, Die Sprache der Reimpredigt..., in Rass. bibl. d. lett. ital., IV [1896], pp. 182-186), su una trascrizione secentesca di un documento dei 1279, un "Ser Petrus de Bescapè quondani Manfredi"; notizia invero troppo vaga per potere costituire un valido elemento. Il cognome di Pietro ètrascritto dai diversi studiosi con notevoli oscillazioni: Barsegapè, Bescapè, Bascapè; ma è certamente la prima quella da adottare, quale l'unica ad avere a sostegno la tradizione manoscritta: l'autore si nomina infatti quattro volte (vv. 3, 880, 2107, 2431) e sempre nella forma Barsegape o Barxegape. Le altre forme non sono che ulteriori (e più recenti) corruzioni dell'originario Basilica Petri,l'antico nome dell'odierna Bescapé, sobborgo di Milano, che era forse il luogo d'origine del rimatore. Difficile o impossibile rispondere con argomentazioni valide alla domanda se il B., come Giacomino da Verona o come Bonvesin de la Riva, due poeti a lui assai vicini - e artisticamente a lui superiori per lingua e per ispirazione - abbia appartenuto a un ordine religioso. Egli possiede certamente una notevole e non comune conoscenza della materia biblica, dei Vangeli e delle Sacre Scritture in genere, dalle quali ha tratto il tessuto stesso della sua opera, ma questo non costituisce certo un argomento valido in sede critica.
L'opera del B., da lui detta sermon (vv.6, 2 127) e digio (V. 2420) o dito (VV. 2 112, 2438), ci è pervenuta in un unico manoscritto, ricco di preziose miniature, della fine del XIII o degli inizi del XIV sec.; appartenuto alla famiglia Archinti, si trova dal 1863 nella Biblioteca Braidense di Milano (AD XIII 48). A detta dell'autore medesimo, l'opera, in 2440 versi di vario metro, ma fondamentalmente novenari e alessandrini, vuol essere "Una istoria veraxe de libri e de sermon, / In la quale se conten guangìi [vangeli] e anche pìstore, / E del Novo e del Vedre Testamento di Christe".
Il B. segue in essa pedissequamente - e pedantemente anche - i testi sacri, iniziando la narrazione dalla creazione di Adamo per giungere sino alla Resurrezione di Cristo, in una sequenza di versi che, per la loro monotonia, generano una costante impressione di noia e piattezza.
Soltanto di rado si riescono a cogliere sprazzi più vividi di narrazione, attribuibili quasi sempre più alla suggestione o alla forza drammatica propria della fonte che il B. in quel tratto seguiva, che alla vera, intensa emozione dello scrittore. Sono tuttavia da - sottolineare alcuni passi nei quali, discostandosi dai modelli sacri per un personale desiderio di Lmoraleggiare, egli sembra volgere lo sguardo ai suoi tempi e al mondo che lo circonda. Si tratta di divagazioni sui desideri umani che non trovano mai confine che si volgono esclusivamente ai beni terreni, alle "grandi caxe con li richi solari", alle "grosse torre et alte depengie e ben merlae", alle "calce de saia", alle "riche vignie / Ke faian lo bon vino" (VV. 276 ss.); o alle ambizioni, al * viver de rapina, aver dinar ad usura" (V. 274), ad aver "vasa, (vassalli) ... asai ki ge stian detorno * (V. 281). Di queste divagazioni, la più interessante èquella ove il B., considerato che "lo segolo è fragele e van, / tal g'è ancò, no g'è doman", invita alla meditazione (VV. 2135 ss.).
Complessa e, fondamentabnente, non ancora risolta è poi la questione dei plagi commessi dal B., il quale- avrebbe tratto da opere in linea di massima contemporanee alla sua interi brani del Sermone. Senza fermarci a somiglianze generiche - quale quera, indicata dal Contini, tra le parti in alessandrini del B. e passi dello Splanamento di Girardo Pateg; o quelle, troppo vaghe o addirittura inesistenti, segnalate dal Levi, tra versi del Sermone e versi del cosiddetto Anticristo conservato nella Biblioteca dell'Escorial - centoventi versi dell'opera del B. troverebbero corrispondenza in altrettanti del Libro di Uguccione da Lodi. Già il Parodi giustificò in massima parte tali rispondenze, richiamando l'attenzione sul fatto che i due poeti attinsero a una stessa fonte generale: i libri sacri; e, chissà, fors'anche a uno stesso volgarizzamento; di qui coincidenze frequenti di espressione. Più complesso, invece, il caso di un brano di 22 versi (1713-1734), corrispondente ai versi 2180-2201 dei Libro di Uguccione. Qui, suppose il Parodi, non si tratta già di un plagio da parte del B., ma di un inserimento: il possessore di uno dei primi manoscritti del Sermone può aver trascritto, di fianco al testo del B., versi analoghi di Uguccione, ch'egli ricordava o poteva anche avere dinanzi in altro codice. Da quel manoscritto, non necessariamente in linea diretta, sarebbe poi derivato il codice Braidense a noi pervenuto, nel quale il copista avrebbe incorporato i versi del Libro direttamente nel Sermone. L'ipotesi del Parodi trova ulteriore suffragio nella constatazione che, qualora non si tengaconto - come ad esempio fece il Lazzeri nella sua edizione -, dei brani "plagiati", la continuità del racconto non viene affatto a soffrime, eccettuato un unico caso: nel quale, tuttavia, basta l'inserzione di un solo verso per ristabilire il ritmo narrativo.
Rimatore dalle qualità poetiche assai scarse, il B. occupa, tuttavia, un posto notevole nella storia della letteratura didattica in volgare, e la sua opera riveste un innegabile grande interesse quale documento di volgare lombardo del sec. XIII.
Bibl.: F. Argelati, Bibliotheca scriptorum Mediolanensium, 1, 2, Mediolani 1745, Col. 129; F. S. Quadrio, Della storia e della ragione d'ogni poesia, IV, Milano 1749, pp. 225 s.; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 1, Brescia 1758, p. 514; G. Tiraboschi, Storia della letterat. ital., III, Roma 1783, pp. XIII s., XIX S.; IV, ibid. 1788, pp. 367 s.; B. Biondelli, Poesie lombarde inedite del secolo XIII, Milano 1856, pp. 35-158 (ripubbl. in Studi linguistici, Milano 1856, pp. 223 s.); [C. Tencal, in Il Crepuscolo,n. 21, pp. 334-339; n. 28, pp. 44s-so [Milano 1856]; A. Mussafia, Osservazioni sulle poesie lombarde del sec. XIII pubblicate da Bernardino Biondelli, in Il Borghini,Firenze 1863, pp. 393410; G. Sacchi, Notizie intorno alla Biblioteca nazionale di Milano, Milano 1873, p. 15; G. De Castro, La storia della poesia Popolare milanese, in Arch. stor. lombardo, IV (1877), pp. 483, 795; A. Bartoli, Storia della letteratura italiana, Firenze 1879, 11, pp. 53-88; Id., I primi due secoli della letteratura italiana, Milano 1880, pp. 111-125; Id., Crestomazia della poesia italiana nel periodo delle origini, Torino 1882, pp. 9-13; E. Monaci, Facsimili di antichi manoscritti per uso delle scuole di filologia neolatina, Roma 1883, n. 43; A. Tobier, Das Buch des Ugupon de Laodho, Berlin 1884, pp. 8 ss.; F. Zambrini, Le opere volgari a stampa dei secoli XIII e XIV indicato e descritte, Bologna 1884, col. 819; Il Libro di Montaperti, a cura di C. Paoli, Firenze 1889, pp. 45-47; F. Carta, Codici corali e libri a stampa miniati della Biblioteca nazionale di Milano, Roma 1890, p p. 5 ss.; C. Salvioni, Il sermone di P. da B., in Zeitschrift für rom. Philol., XV (1891), pp. 429-488; E. Keller, Die Sprache der Reimpredigt des P. de B., Frauenfeld 1896 (rec. di C. Salvioni, in Giorn. stor. d. lett. ital., XXIX [18971, pp. 453-62); L. Biadene, La lingua di P. da B., in Varietà letterarie e linguistiche, Padova 1896, pp. 77-86; E. Keller, Die Reimpredigt des P. de lì, Frauenfeld 1901 (v. rec. di C. Salvioni in Giorn. stor. d. letterat. ital., XLI [1903], pp. 99-113); V. De Bartholomaeis, Il Libro delle tre scritture... di Bonvesin da Riva, Roma 1901, pp. 22 s.; F. Torraca, Studi su la lirica italiana del Duecento, Bologna 1902, p. 357; G. E. Parodi, I versi comuni a P. di B. e ad Uguccione da Lodi, in Rass. bibl. d. letterat. ital., XI (1903), pp. 116-124 (rist. in Lingua e letteratura. Studi di teoria linguistica e di storia dell'italiano antico, a cura di G. Folena, Venezia 1957, 1, pp. 112131); E. Levi, Uguccione da Lodi e i primordi della poesia italiana, Firenze 1921, p. 78 n. i; L. Piccioni, Da Prudenzio a Dante, Torino, 1923, p. 116; M. Avollonio, Uomini e forme nella cultura italiana delle origini, Firenze 1934, pp. 118-120; G. Vidossi, rec. a KeHer, Die Reimpredigt 2 ed., Frauenfeld 1935, in Giorn. stor. della lett. ital., CVI (1935), pp. 144 ss.; F. De Sanctis, Storia della letter. ital, a cura di G. Lazzeri, Milano 1940, pp. 130 s., 192 zio; C. Dionisotti-C. Grayson, Early Italian texts, Oxford 1949, pp. 162-166; L. Russo, P. da B. e Bonvesin da Riva, in Ritratti e disegni storici. Studi sul Due e Trecento, Bari 1951, pp. 137-39 (ristamp. Firenze 1960, pp. 131-133); E. Monaci, Crestomazia italiana dei primi secoli..., a cura di F. Arese, Roma-Napoli 1955, n. 70, pp. 186-190; G. Bertoni, Il Duecento, Milano 1960, pp. 314-316, 335; G. Contini, Poeti del Duecento, II, Milano-Napoli 1961, pp. XVIi, 658, 667.