Pietro da Celano
Figlio del conte Berardo da Celano, P. riunificò le contee di Albe e Celano che erano state separate fin dal 1143. Pur essendo attestato nel 1189 come conte di Celano, non v'è dubbio che già allora fosse anche conte di Albe. Per quanto ricca di ambiguità, la sua politica territoriale ebbe sempre uno scopo preciso e chiaro: quello di creare una forte contea che dalla nevralgica postazione di Celano, nei pressi del lago Fucino, potesse estendere il suo dominio su buona parte della regione abruzzese-molisana.
L'arco di questa politica si svolse tra la fine del dominio normanno e l'inizio di quello svevo, nel corso del quale si verificò un intreccio di alleanze, anche attraverso una oculata politica matrimoniale che seguì la logica delle direttrici di comunicazioni viarie: dalla Via Valeria alla valle del Pescara, da Albe verso la vallata amiternino-forconese attraverso il passo di Ovindoli, dalla valle del Liri a Sora e alla Terra di Lavoro, dalla valle del Sangro al Molise e alla Puglia.
P. aveva sposato la sorella dei Palearia, conti di Manoppello, uno dei quali, Gualtiero, diverrà cancelliere del Regno. La contea di Manoppello controllava la Valeria e in virtù di questo matrimonio i conti di Celano venivano, sia pure indirettamente, a controllare la Via Claudia Valeria fino ai confini con la contea teatina. Anche le figlie di P. con i loro matrimoni contribuirono a rafforzare il dominio dei conti di Celano. La saldatura tra la contea celanese e quella molisana venne infatti a realizzarsi attraverso il matrimonio di una delle figlie (di cui non conosciamo il nome) con Rainaldo di Anversa, figlio del conte Riccardo di Sangro, che possedeva appunto una serie di castelli disposti a catena tra Marsica e Molise. Un'altra figlia di P., Rogasiata, sposò il conte Giovanni di Ceccano il quale dominava la media valle del Liri. Infine l'altra figlia, Stefania, sposò il figlio di Diopoldo, castellano di Roccadarce.
Ma la grande opportunità per P. si presentò nel momento del passaggio dalla dominazione normanna a quella sveva. Nei travagli politici che caratterizzarono questo periodo, P. scelse infatti di appoggiare l'imperatore Enrico VI. Tale sostegno non fu di poco valore in quanto la posizione nevralgica della contea assicurava all'imperatore un più agevole passaggio per il Sud (a creare qualche difficoltà a Enrico VI furono però altri signori che vivacemente contestavano la sua investitura: Rinaldo d'Abruzzo, Ruggiero di Chieti, notoriamente fautori di Tancredi e seguaci del cosiddetto partito nazionale di Matteo d'Aiello, e Ruggiero conte di Andria).
P. fu anche l'anima della curia generale tenuta nel 1194 a Palermo dall'imperatore, nel corso della quale si decretò l'arresto di Guglielmo III, succeduto a Tancredi, e di sua madre, la reggente Sibilla, insieme all'esilio dei loro fautori. Sul finire dello stesso anno, il 26 dicembre, Costanza partoriva nella città di Iesi il futuro Federico II.
Fu questo il momento che vide i più stretti rapporti tra P. e gli Svevi, tanto che egli ottenne il contado del Molise, che poi scambiò con il castello di Vairano. Inoltre P., che evidentemente era nelle grazie di Costanza, ricevette da questa nel 1197 l'ordine di condurre Federico, di appena tre anni, da Iesi a Palermo. Nello stesso anno morì Enrico VI, seguito nel 1198 da Costanza. I due partiti, quello papista del siniscalco Gualtiero di Palearia (v.) e quello tedesco di Marcovaldo di Annweiler (v.), presero a fronteggiarsi. Marcovaldo, in precedenza scacciato dal Regno, tornò alla carica per impadronirsi del trono di Sicilia percorrendo e devastando la Puglia, la Capitanata, il Molise e la Terra di Lavoro. Papa Innocenzo III, tutore di Federico II, si rivolse quindi a Riccardo di Teano e a P., che insieme riuscirono a sbarrare il passo a Marcovaldo. Questi allora aggirò l'ostacolo dirigendosi a Teano e occupandola. Da qui si portò a Salerno e poi a Palermo, dove però fu sconfitto da un esercito mandato dal papa e diretto da Giacomo, poi conte di Andria.
Rimaneva del partito tedesco ancora Diopoldo, che riuscì nel giugno dell'anno 1200 a sconfiggere P. in una battaglia campale nei pressi di Venafro. Ma in aiuto del partito papista fridericiano, appena un anno dopo la sconfitta di Venafro, intervenne Gualtiero di Brienne (v.), il quale, vantando diritti in Puglia e sul Regno in quanto genero di Tancredi di Lecce, riuscì a far coagulare gli umori antitedeschi che circolavano in tutto il Regno di Sicilia. Gualtiero, infatti, pur avendo pochissime soldatesche, venne aiutato da un buon numero di baroni ma, inaspettatamente, non da P. il quale, forse impressionato dalla sconfitta di Venafro, temporeggiava. Temporeggiamenti e attendismi furono sempre una sua costante: lo si sarebbe infatti visto, dopo i primi seri successi di Gualtiero, schierarsi al suo fianco e, viceversa, dopo la battaglia di Canne, nella quale Gualtiero stesso sconfisse Diopoldo, tra i sostenitori del partito tedesco. Fu in quell'occasione imprigionato, ma a sancire poco dopo la riconciliazione fu anche il matrimonio tra Berardo, figlio di P., e Maria Margherita, nipote di Gualtiero.
L'impresa di Gualtiero, ormai apertamente appoggiata anche da P., che tra l'altro aveva occupato in suo nome la città di Alife, sembrava volgere ad esiti positivi quando nel 1205 sopravvenne la sua morte. Nell'anno seguente Innocenzo III dovette venire a patti con Diopoldo e due anni dopo, nel 1208, nella dieta di San Germano, Riccardo dell'Aquila conte di Fondi e P. furono nominati maestri capitani del Regno con giurisdizione rispettivamente su Napoli e su Puglia e Terra di Lavoro. L'accordo parve poter assicurare un assetto, sia pur temporaneo, al Regno che dall'epoca della truculenta dominazione di Enrico VI non conosceva più quiete. Invece le ambizioni dei due maestri capitani resero inoperante l'accordo. Le lotte furibonde tra i due per il possesso del principato di Capua fecero trionfare alla fine il partito di Pietro da Celano. Fu, questo, il momento più alto della sua potenza, cui aveva certamente contribuito la posizione della sua contea, cerniera importantissima tra Stato della Chiesa e Regno, ma anche un tempismo notevole nel saper attendere il momento opportuno per rilanciarsi, correndo a volte anche molti rischi, e tuttavia avendo sempre la capacità di fare scelte di campo opportunistiche che risultavano estremamente produttive.
Alla fine del 1208 la minorità di Federico ebbe termine. I successi ottenuti al principio dell'anno contro i tedeschi nel Nord della Terra di Lavoro fecero sì che Innocenzo III potesse recarsi in giugno a San Germano per promulgare un decreto di pace e riordinare il governo del Regno prima di cederlo a Federico in dicembre. Gli uffici di capitani e di maestri giustizieri di Puglia e della Terra di Lavoro furono mantenuti, ma mentre sotto i re normanni non ve n'erano che due che agivano insieme, come colleghi, su tutto il territorio loro affidato, con la pace del 1208 la regione venne divisa in due distretti: quello settentrionale, che si estendeva da Salerno a Celano e dal Mediterraneo all'Adriatico, fu posto da Innocenzo III sotto due capitani, P., già capitano e maestro giustiziere, e Riccardo di Fondi, rettore di Napoli. Il distretto al di là di Salerno, che sembra avere incluso almeno il Principato, la Capitanata, la Basilicata e la Terra di Bari, veniva affidato alla cura di altri ufficiali che portavano ugualmente i titoli di capitani di Terra di Lavoro. Diopoldo, per il momento isolato, si giovò presto della vecchia gelosia esistente tra P. e i suoi colleghi per avvicinarsi a Riccardo di Fondi e incitare i capuani, che odiavano P., a chiamare Riccardo e a mettere la città nelle sue mani. La fedeltà di P. nei confronti della casa sveva sembrò venire meno, a tal punto che Federico si rivolse dalla parte di Diopoldo e lo nominò capitano al posto di P. nel gennaio del 1209, con lo scopo di guadagnarne l'aiuto. La cattura di Anfuso di Tropea ad opera del re allarmò maggiormente P. e fece sì che egli e Riccardo di Fondi rifiutassero l'invito di recarsi a Palermo in agosto per il matrimonio di Federico con Costanza d'Aragona.
P. decise così di porre termine alla lotta con Diopoldo e concesse sua figlia Stefania in matrimonio al figlio del suo vecchio nemico. Questa alleanza gli procurò la signoria di Capua. Una delle maggiori ambizioni di P. era così soddisfatta, ma l'influenza di Diopoldo si spinse ancora oltre, poiché egli indusse P. a sostenere Ottone IV, il quale era stato incoronato imperatore il 4 ottobre 1209 e già muoveva alla conquista del Regno di Sicilia. Nel novembre 1210 Tommaso di Molise e Diopoldo incontrarono l'imperatore a Rieti e lo condussero da P. nella Marsia, evitando le strade a nord della Terra di Lavoro dove Riccardo di Fondi era rimasto fedele a Federico. Ottone aveva dato Spoleto a Diopoldo e la Marca di Ancona a P., estendendo il loro potere al di là delle frontiere del Regno e continuando così la politica di Enrico VI, che mirava a unire l'Italia centrale all'Italia meridionale, mentre essi da parte loro cedevano Salerno e Capua all'imperatore.
Da Ottone P. ricevette un potere più esteso di quel che avesse mai avuto da Innocenzo o da Federico, poiché egli ottenne prima della sua morte la nuova carica di capitano e di maestro giustiziere del Regno di Sicilia. Cresciuto in potenza, dunque, P. non vide altra alternativa per stabilizzare il suo potere che quella di favorire la conquista del Regno da parte di Ottone IV. Nella primavera del 1211, quando il resto del territorio era stato conquistato, l'imperatore, in stretta alleanza con P., cercò di impadronirsi della pericolosa zona settentrionale. Prima con un attacco a Teano (2 marzo) e Sessa (8 marzo) con tutte le sue forze, poi per mezzo di negoziazioni. Le vittorie e le conseguenti dedizioni a Ottone IV saranno folgoranti: Capua, Napoli, le Puglie. La scomunica fulminata da Innocenzo III colse anche il conte.
Nel 1212 questi morì e nel 1214 la battaglia di Bouvines (v.) metterà fine al sogno di Ottone. Il destino dei conti di Celano sarà segnato, in quanto la loro linea politica non potrà che essere di resistenza alla dominazione fridericiana, ormai non più una minaccia ma una realtà presente.
fonti e bibliografia
Riccardo di San Germano, Chronica, in R.I.S.2, VII, 2, a cura di C.A. Garufi, 1936-1938, pp. 17, 19, 21-22, 23-24, 29, 31-32.
I fondi pergamenaceo e cartaceo dell'Archivio della Collegiata di S. Cesidio di Trasacco, a cura di A. Clementi-M.R. Berardi-G. Morelli-E. Angelini, L'Aquila 1984.
T. Brogi, La Marsica antica medievale e fino all'abolizione dei feudi, Roma 1900.
F. Terra Abrami, Cronistoria dei Conti dei Marsi, poi detti di Celano, "Bullettino della Società di Storia Patria A.L. Antinori negli Abruzzi", ser. II, 15, 1903, nr. 6, pp. 237-252; 16, 1904, nrr. 6 e 8, pp. 55-76 e 138-174.
E. Jamison, I conti di Molise e di Marsia nei secc. XII e XIII, in Convegno storico Abruzzese-Molisano, Roma 25-29 marzo 1931, I, Casalbordino 1933, pp. 75-177.
A. Clementi, Le terre del confine settentrionale, in Storia del Mezzogiorno, a cura di G. Galasso-R. Romeo, II, 1, Napoli 1988, pp. 17-81.
A. Sennis, Potere centrale e forze locali in un territorio di frontiera: la Marsica tra i secoli VIII e XII, "Bullettino dell'Istituto Storico Italiano per il Medio Evo e Archivio Muratoriano", 99, 1994, nr. 2, pp. 1-78.