Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Pietro Berrettini da Cortona è il pittore della Roma barocca, la Roma dei Barberini, dei Pamphilj, dei Chigi. Accanto alla figura del pittore, non meno importante seppure secondaria rispetto alla prima, e meno conosciuta, è la personalità dell’architetto, autore delle facciate di Santa Maria della Pace e Santa Maria in via Lata a Roma. A questo proposito, basti ricordare che il Cortona nel 1664 fu invitato a fianco dei più grandi architetti “romani”, quali il Bernini, il Borromini (che rifiutò) e il Rainaldi, a partecipare al concorso per la costruzione del Louvre, concorso vinto poi dal francese Claude Perrault. L’opera più nota del pittore, la decorazione della volta del salone di Palazzo Barberini, commissionata da papa Urbano VIII Barberini ed eseguita tra il 1633 e il 1639, è, dopo la volta della Cappella Sistina in Vaticano, la più ampia superficie affrescata sino ad allora. Ancora oggi, accanto alla volta michelangiolesca e alla più modesta, per dimensioni, galleria farnesiana di Annibale Carracci, la grandiosa opera del Cortona è, per l’ideazione e la realizzazione unitaria della vasta superficie dipinta, un caposaldo della decorazione pittorica.
Pietro Berrettini nasce a Cortona il 27 novembre 1597 da Giovanni di Luca Berrettino, scalpellino, e Francesca Balestrari. Nella famiglia paterna l’arte dello scalpellino e del muratore si tramandava di generazione in generazione, ma la scelta di Pietro andò, almeno parzialmente, in un’altra direzione. Le fonti concordano nell’indicare nel fiorentino Andrea Commodi, pittore riformato al seguito di Santi di Tito, il maestro del giovane Berrettini. Non sappiamo se “studiò appresso” il Commodi a Cortona, quando questi fu chiamato a dipingere nelle chiese della città, come scrive Luca Berrettini, nipote di Pietro, nella lettera a Ciro Ferri del 1679, oppure se venne a contatto con lui a Firenze, quando, ancora ragazzo, fu accompagnato nello studio del pittore dal cugino Filippo, scalpellino e architetto, come ricorda il biografo Francesco Saverio Baldinucci. Intorno al 1611-1612, a circa 14 anni, giunse a Roma al seguito del maestro fiorentino durante il pontificato di Paolo V Borghese (1605-1621), in un decennio in cui gli artisti toscani erano particolarmente favoriti dalla Curia. Quando, nel 1614, il Commodi lasciò la Città Eterna e fece ritorno in patria, affidò l’allievo a un pittore suo connazionale, Baccio Ciarpi da Barga, presso il quale il giovane completò la propria formazione. All’insegnamento dei due maestri il Cortona affiancò sia lo studio dell’antico – monumenti, rilievi e sculture – che quello delle opere degli artisti del secolo precedente, da Michelangelo a Raffaello a Polidoro da Caravaggio, le cui facciate graffite e dipinte attirarono l’interesse del giovane. Di questo studio continuo fanno fede i disegni, probabilmente tra le prime prove del Berrettini. La data del 1618 accanto alla scritta “Petr.s Berret.s Corton.s delin.” presente in alcune tavole anatomiche disegnate dal Cortona e incise da Luca Ciamberlano – utilizzate più di un secolo dopo (1741) in un libro di anatomia scritto dal dottore romano Gaetano Petrioli –, induce a ritenere che alla fine del secondo decennio del Seicento il Berrettini, poco più che ventenne, fosse in una fase iniziale della sua carriera artistica, forse non ancora messa seriamente alla prova da una vera e propria commissione pittorica. Tra il secondo e il terzo decennio del secolo il Cortona, frequentando l’ambiente, di inclinazione classicista, di nobili dilettanti, scienziati e poeti che facevano professione di antiquari, entrò in relazione con Cassiano Dal Pozzo, per il quale eseguì diversi disegni da monumenti antichi destinati al suo Museo Cartaceo e con cui era ancora in stretto contatto nel 1646, come testimonia la corrispondenza tra i due. All’incirca negli stessi anni e nello stesso ambiente conoscerà Marcello Sacchetti, per il quale dipingerà varie opere, in parte conservate nella Pinacoteca Capitolina a Roma. Non sappiamo quando l’artista lo incontrò, ma certamente i due si erano conosciuti prima dell’ottobre 1624, quando Marcello Sacchetti richiese la presenza del Cortona, accanto a sé, quale rettore della scuola di pittura presso l’Accademia di San Luca. Lo stesso Giulio Mancini nella prima biografia del Berrettini, redatta mentre questi stava lavorando agli affreschi di Santa Bibiana (1624-1626), cita alcune tele già eseguite per il Sacchetti.
Le prime opere pittoriche documentate di Pietro da Cortona risalgono all’inizio del terzo decennio del secolo, al tempo del breve pontificato di Gregorio XV Ludovisi. Si tratta degli affreschi con le storie di Salomone nella volta della galleria di Palazzo Mattei, dipinti sotto la direzione di Pietro Paolo Bonzi cortonese tra il 1622 e 1623, e della pala d’altare raffigurante la Resurrezione di Cristo e di alcuni membri di casa Colonna commissionata da Filippo I Colonna, questa volta direttamente al Berrettini, per la cappella del Palazzo di Paliano, pagata 35 scudi nel 1623 e ora conservata nella galleria della famiglia a Roma. Se era stato il Bonzi a scegliere Pietro, suo conterraneo, per l’esecuzione di una parte degli affreschi di Palazzo Mattei, a lavoro terminato, nel dicembre del 1623, il committente, Asdrubale Mattei, soddisfatto del giovane Cortona aggiunge al pagamento del Bonzi 40 scudi come ulteriore compenso al Berrettini “affinché si faccia un vestito nuovo”. A questa stima personale nei confronti del pittore il Mattei fece seguire, tra il 1625 e il 1626, la commissione di due quadri da stanza, pagati l’uno 30 e l’altro 40 scudi, che sarebbero stati collocati sulle pareti della galleria affrescata dal Bonzi e dal Cortona medesimo: l’ Adorazione dei pastori (Roma, Galleria Nazionale) e il Cristo e l’adultera (in deposito al Detroit Institute of Art). Alla fine del 1624 il nuovo papa, Urbano VIII Barberini, che sarà forse il maggiore sostenitore del Cortona, gli commissiona gli affreschi, raffiguranti le Storie di santa Bibiana, santa Demetra e san Flaviano, per la parete sinistra della navata della chiesa paleocristiana di Santa Bibiana, restaurata in quegli stessi anni da Gian Lorenzo Bernini. Gli affreschi della parete destra erano stati affidati al fiorentino Agostino Ciampelli e il confronto tra l’opera dei due artisti toscani, di diverse generazioni, rende evidente le novità del linguaggio di Pietro da Cortona rispetto alla parlata riformata del Ciampelli, più vecchio di lui di vent’anni. Nelle storie dipinte dal Berrettini si nota “la consapevole intenzione di escludere dalla scena e dai personaggi ogni accenno realistico e ogni rapporto con l’individualità sentimentale dello spettatore” (Giuliano Briganti, Pietro da Cortona). A introdurre il Berrettini nella cerchia barberiniana fu quasi certamente Marcello Sacchetti, nominato nel 1623 depositario generale e tesoriere segreto della Camera Apostolica. Per lui l’artista stava eseguendo le grandi tele con il Sacrificio di Polissena e il Trionfo di Bacco (Roma, Pinacoteca Capitolina). Per i Sacchetti, nel corso del terzo decennio (Marcello moriva nel 1629), avrebbe dipinto circa 25 tele o poco più, considerando anche i due ritratti di Marcello e del fratello Giulio conservati l’uno nella Galleria Borghese e l’altro nella collezione della famiglia. Una delle prime opere acquistate da Marcello Sacchetti fu la copia dall’affresco di Raffaello alla Farnesina, la Galatea, che, a quanto scrive Giovan Battista Passeri, il Berrettini “copiò per suo studio in una tela della medesima grandezza” e che è oggi conservata all’Accademia di San Luca. Che il grande dipinto del Cortona sia databile agli anni giovanili, come scriveva Giuliano Briganti nel 1962, induce a sostenerlo non solo la notizia del Passeri, ma anche la qualità non eccelsa della copia, opera di un artista ancora inesperto; a questi due elementi aggiungerei il fatto che difficilmente un committente avrebbe richiesto una copia a un pittore già affermato. Accanto a queste opere giovanili citate dalle fonti seicentesche, altre, stilisticamente affini e databili alla prima metà degli anni Venti, sono state attribuite al Cortona nel corso del Novecento. Tra queste, le due scene neotestamentarie conservate a Palazzo Altieri a Roma, provenienti dalla collezione Margani (come rivela lo stemma dipinto in una delle tele) e raffiguranti il Discorso della Montagna e la Predica di san Giovanni Battista, ancora vicine a Paul Bril e a Pietro Paolo Bonzi nella resa paesistica; la Santa Domitilla riceve il velo da san Clemente papa, passata alla recente asta di Sotheby’s a New York (26 gennaio 2012 n. 50), proveniente dalla collezione romana di Giuseppe e Giovanni Battista Paulucci (1695) e acquistata poi da don Luis de la Cerda, duca di Medina Celi e viceré di Napoli (1711); la Nascita della Vergine del Rockurst College di Kansas City; la Santa Cecilia della National Gallery di Londra, proveniente dalla collezione Pallavicini, e il Giuramento di Semiramide, già a Londra, collezione Mahon. A queste opere ne va aggiunta una raffigurante un soggetto di storia contemporanea, l’unica del genere, credo, dipinta dal Cortona, L’udienza concessa nel 1620 da Paolo V al principe Savelli presente il giovane Ernst Adalbert von Harrach, un personaggio della nobile famiglia Harrach, la stessa che oggi conserva la tela nel suo castello di Rohrau, nei pressi di Vienna.
Tra il 1626 e il 1629 Pietro da Cortona lavora dunque intensamente per Marcello Sacchetti. Accanto ai numerosi dipinti su tela raffiguranti soggetti mitologici, d’ispirazione neoveneta, e paesaggi puri di gusto naturalistico, dirige i lavori di costruzione e decorazione della villa della famiglia a Castelfusano nei pressi di Ostia (ora proprietà Chigi). Nella primavera del 1628 affresca la galleria con storie di soggetto mitologico ispirate alla vita rurale dettate dallo stesso Marcello Sacchetti. Qui, accanto al Berrettini e ai suoi allievi, lavorano artisti quali, tra gli altri, Andrea Sacchi, Andrea Camassei, Alessandro Salucci. La cappella invece viene affrescata interamente dal Cortona con scene della vita di Cristo ambientate in ampie distese paesistiche. Questa presenza del paesaggio, protagonista della decorazione pittorica, è una grande novità nella produzione artistica cortonesca. Se ancora pochi anni prima le due scene neotestamentarie della collezione Margani risentivano, nell’ambientazione paesistica, del linguaggio brilliano del Bonzi, qui sulle pareti della cappella il paesaggio è “spettacolo naturale, intima verità di singoli dettagli, barche di pescatori sulla spiaggia”, in particolare nella Chiamata di Pietro e Andrea, speroni rocciosi e folte macchie arboree nella Fuga in Egitto e nel Noli me tangere (Trezzani). Osservazioni analoghe valgono per i due Paesaggi ovali su tavola e per la Veduta delle Allumiere di Tolfa, tutti della collezione Sacchetti (ora Pinacoteca Capitolina).
Nel 1628 viene assegnata al Cortona la commissione per la pala d’altare della Cappella del Sacramento in San Pietro, opera in un primo tempo affidata a Guido Reni. L’intervento del cardinal Francesco Barberini, nipote del papa, alla riunione della Congregazione della Reverenda Fabbrica di San Pietro, fu decisivo per l’assegnazione dell’opera al Cortona in seguito alla partenza del pittore bolognese da Roma. La pala, raffigurante la Trinità, una grandiosa macchina di nuvole e di angeli, tuttora in loco ma poco visibile perché parzialmente nascosta dal tabernacolo del Bernini, sarà terminata nel 1631. La cifra pagata, mille scudi, dimostra la posizione raggiunta dall’artista che, solo tre anni dopo, sarà nominato Principe dell’Accademia di San Luca. La commissione della pala d’altare per San Pietro aveva, naturalmente, una grande importanza per la carriera dell’autore. Subito dopo Urbano VIII gli affida la decorazione di alcuni ambienti del nuovo Palazzo Barberini. Il Cortona comincia ad affrescare la cappella, terminata nel settembre 1632, e affida parte delle scene, raffiguranti la vita di Cristo e di san Francesco di Paola, ai suoi allievi, Romanelli, Gimignani e Ubaldini, mantenendo per sé la sola Crocefissione. Nel 1633 iniziano i lavori della volta del salone, certamente l’opera più importante del Cortona, il manifesto della nuova pittura barocca, in qualche modo contrapposta al classicismo di Andrea Sacchi. Fin dal luglio 1632 vengono costruiti i ponteggi per la grandiosa decorazione. Tra il 1633 e il 1639 Berrettini lavora, con alcune interruzioni, all’immenso soffitto nel quale dovrà affrescare, secondo le precise indicazioni del soggetto dettate dal poeta Francesco Bracciolini, il Trionfo della Divina Provvidenza e il compimento dei suoi fini attraverso il potere spirituale e temporale del papato ai tempi di Urbano VIII. Questo lavoro sarà interrotto per alcuni mesi, dalla partenza del pittore per Firenze nel 1637 al seguito del cardinale Giulio Sacchetti. Il cardinale, in viaggio per Bologna, città della quale era stato nominato legato pontificio, si ferma a Firenze per rappresentare Urbano VIII ai festeggiamenti pubblici per il matrimonio del granduca Ferdinando II de’ Medici con la principessa Vittoria della Rovere. Il Cortona giunge a Firenze nel giugno 1637 e qui rimane fino a settembre su richiesta del granduca, che gli commissiona gli affreschi della sala della Stufa, una piccola loggia al piano nobile di Palazzo Pitti, raffiguranti Le Quattro età dell’uomo. L’artista, ospitato da Michelangelo Buonarroti il Giovane, colui che aveva suggerito il soggetto della decorazione, porta a compimento nei mesi estivi soltanto una parte dell’opera, dipingendo l’ Età dell’oro e l’Età dell’argento. In autunno il Cortona interrompe il lavoro e parte alla volta di Venezia, un viaggio che egli avrebbe voluto intraprendere già tempo prima con Joachin von Sandrart, pittore e biografo tedesco suo amico, ma che in realtà, anche a causa degli impegni romani e fiorentini, ebbe una breve durata. Alla fine dell’anno l’artista era di nuovo a Roma e tornava sui ponteggi della volta Barberini. Concluderà quell’opera grandiosa – concepita come una visione unitaria, per essere abbracciata con un unico sguardo – in soli due anni: il 10 dicembre 1639 il Trionfo della Divina Provvidenza, che celebra soprattutto il trionfo dei Barberini, sovrani con potere assoluto, verrà inaugurato da Urbano VIII. Le due distinte personalità del Cortona, pittore sapiente e architetto, si erano riunite per creare quella straordinaria e aerea costruzione di spazi, scene e personaggi che forma la perfetta struttura d’invenzione e realtà del soffitto barberiniano. Qui, tutto ciò che è immaginato come finto è contenuto nei limiti della cornice marmorea, mentre il resto, come scrive Briganti, è immaginato come vero, come scrosciante apparizione: cielo, nuvole, rocce, fiamme, alberi, fontane e la folla innumerevole delle figure che scavalcano la cornice.
A pochi giorni di distanza dalla fine dei lavori il pittore scriveva a Michelangelo Buonarroti il Giovane per avvertirlo che stava facendo i preparativi per tornare a Firenze e concludere gli affreschi della sala della Stufa. Tornò poi soltanto un anno dopo, all’inizio del 1641. Si è detto che l’accento veneziano degli affreschi Barberini fosse dovuto al viaggio a Venezia, ma in realtà quei caratteri neoveneti, tizianeschi, erano già presenti nel Ratto delle Sabine per Marcello Sacchetti e nei primi due affreschi della sala della Stufa, tutti realizzati prima di quel soggiorno. E d’altra parte Pietro da Cortona aveva già eseguito, probabilmente nei primi anni Venti, sempre per i Sacchetti, una copia, oggi alla Pinacoteca Capitolina, dalla Madonna col Bambino, san Giovanni e santa Caterina di Tiziano (Londra, National Gallery), segno questo che lo studio dell’opera del maestro veneziano risaliva ai suoi anni giovanili. Prima di affrontare il lungo periodo fiorentino del Berrettini, durato ben sei anni, dobbiamo accennare ad alcuni interventi architettonici e pittorici che, in parte, corrono paralleli e, in parte, seguono, i lavori barberiniani. Mi riferisco al progetto architettonico per la chiesa dei Santi Luca e Martina, sede dell’Accademia di San Luca, progetto al quale il Cortona, in quanto Principe dell’Accademia, si dedica fin dal 1634-1635 e che si conclude nel 1650, e ai diversi interventi pittorici a Santa Maria in Vallicella, la chiesa degli Oratoriani. Qui egli lavora, a più riprese, con uno spirito quasi caritatevole fin dal 1633, quando affresca, in contemporanea con il soffitto Barberini, “con buonissima conditione”, quindi a buon prezzo, la volta della sacrestia, poi, nel decennio successivo, tra il 1647 e il 1651, la cupola, più tardi la tribuna e i pennacchi e, infine, negli ultimi anni della sua vita, tra il 1664 e il 1665, la volta della navata, un intervento di grandi dimensioni che in qualche modo conclude la carriera artistica del Cortona.
Nel descrivere le maggiori commissioni del pittore, soprattutto i grandi cicli affrescati nei palazzi e nelle chiese, abbiamo omesso il riferimento alle singole pale d’altare che il Berrettini dipinse a partire dalla metà degli anni Venti, dalla Adorazione dei pastori di San Salvatore in Lauro a Roma, alla Madonna e santi di Sant’Agostino a Cortona, a quella di analogo soggetto per la chiesa dei cappuccini di Amandola, in provincia di Ascoli Piceno, e ora a Brera, all’ Anania che guarisce san Paolo nella chiesa romana dei Cappuccini. Se innovativo era il ruolo di Pietro da Cortona quale autore di ampie decorazioni ad affresco, altrettanto nuovo è l’impianto compositivo delle pale d’altare eseguite dall’artista nel corso della sua attività.
Tra il 1641 e il 1647 il Berrettini è attivo soprattutto a Firenze dove, alla fine dell’estate del 1641, porta a compimento i due affreschi rimasti della sala della Stufa. Subito dopo il granduca, evidentemente soddisfatto della sua opera, gli commissiona la decorazione di altre cinque stanze, le sale dei Pianeti, al primo piano di Palazzo Pitti. Si trova così a tradurre in immagini visive i suggerimenti di un letterato, Francesco Rondinelli, bibliotecario granducale. Il tema era “quali fossero sotto il segno dei pianeti le virtù necessarie ad un principe, dall’adolescenza all’età senile”. Elemento nuovo è la grande presenza della decorazione a stucco, talmente preponderante da limitare la zona affrescata. Delle stanze progettate il Cortona esegue per intero quelle dedicate a Venere, Marte e Giove, e ne iniziò una quarta, quella di Apollo, portata poi a termine, in perfetto stile cortonesco, dal suo allievo, Ciro Ferri, che completò più tardi il progetto con la sala di Saturno, tra il 1663 e il 1665.
Tornato a Roma, artista ormai universalmente acclamato, il Cortona nel 1649 tratta l’acquisto di una casa in via della Pedacchia, nei pressi del Campidoglio. Qui il Berrettini architetto, in poco più di un decennio, ricostruisce e trasforma l’edificio in un vero e proprio palazzo a tre piani, che diviene la sua casa e la sua bottega (l’edificio fu distrutto alla fine dell’Ottocento quando iniziarono le demolizioni per la costruzione del monumento a Vittorio Emanuele II).
Negli anni successivi, tra il 1651 e il 1654, papa Innocenzo X Pamphilj gli commissiona la decorazione della galleria costruita dal Borromini nel palazzo di famiglia a piazza Navona. È questa la prima commissione affidata dal nuovo papa al Berrettini, che era stato il pittore dei Barberini. Diversamente dalla decorazione della volta del salone barberiniano, vero dispiegamento di immagini allegoriche, qui i soggetti prescelti, tratti dall’Eneide e legati all’origine della famiglia Pamphilj, rivelano una forte componente narrativa che inizia con l’arrivo di Enea nel Lazio e giunge fino alla discesa dell’eroe agli inferi. Il 14 aprile del 1654 il pittore riceve un compenso di 3000 scudi. Secondo Luca Berrettini Innocenzo X resta molto soddisfatto del lavoro.
Negli anni del papato di Alessandro VII Chigi (1655-1667), gli ultimi in cui lavora assiduamente, il prestigio del Cortona cresce al tal punto ch’egli diviene, insieme al Bernini, l’arbitro della scena artistica romana. Il papa, appena eletto, gli affida la direzione dei lavori di decorazione della galleria del Palazzo di Montecavallo (Palazzo del Quirinale). Il Cortona non eseguì neppure un riquadro, ma scelse gli artisti destinati ad affrescare le pareti e, fatto assai curioso, accanto a suoi allievi come Lazzaro Baldi, Courtois, Ciro Ferri e altri, lavorarono pittori come Pier Francesco Mola e, soprattutto, Carlo Maratta, il cui linguaggio era ben lontano da quello cortonesco.
In quegli anni il Berrettini si dedica con grande assiduità all’attività di architetto: nel 1656-1657 trasforma, in senso barocco e con un carattere decisamente scenografico, la facciata della chiesa di Santa Maria della Pace e l’anno dopo inizia la facciata di Santa Maria in via Lata. Segno evidente della sua grande fama anche nella veste di architetto è, nel 1664, l’invito a partecipare, accanto ai grandi architetti romani e, naturalmente, francesi, al progetto per il Louvre. Si conclude comunque con l’affresco della volta della navata di Santa Maria in Vallicella a Roma la luminosa carriera del pittore di Cortona, al quale nel corso del Seicento si erano rivolti tre grandi papi, chiedendo ai suoi cicli di affreschi di divulgare la propria fama attraverso i secoli. Pietro Berrettini muore a Roma il 16 maggio 1669 e viene sepolto nella chiesa inferiore dei Santi Luca e Martina, luogo che egli stesso aveva eletto a sua sepoltura fin dal 1634.