RIPALTA, Pietro da
RIPALTA, Pietro da. – Nacque a Piacenza tra il 1335 e il 1340 da Giovanni del fu Gherardo e da Sibillina di Francesco Fontana.
La famiglia, proveniente dalla località di Ripalta (oggi Rivalta) dove era proprietaria di un castello i cui diritti aveva ceduto nel 1317 a Obizzo Landi, detto Versuzio (tra i principali esponenti del guelfismo piacentino), si era trasferita in città almeno dall’inizio del Trecento, stabilendosi nei pressi della chiesa di S. Simone e dedicandosi ad attività artigianali. Giovanni contrasse tre matrimoni dai quali, oltre a Pietro, ebbe i figli Filippo, Giovanni, Elena e Giovanna. Pietro, che mantenne contatti soprattutto con il fratello Giovanni fabbro e argentiere, si dedicò alla professione notarile, nella quale compare impegnato dal 1357, collaborando con il notaio Pietro Valla – nonno paterno di Lorenzo –, rogando sempre solo per i privati e senza svolgere attività negli uffici cittadini.
Nel 1366 risultava sposato con Elena, figlia del nobile Giovanni Pallastrelli, la quale – come compare nel testamento del marito – gli premorì colpita dalla peste senza che i due avessero figli (non vi è quindi ascendenza diretta rispetto al cronista piacentino quattrocentesco Antonio da Ripalta). Della stessa malattia nel 1375 sarebbe morto anche Pietro nella sua casa sita nella parrocchia di S. Agata a Piacenza, lasciando in eredità i suoi beni al Consorzio dello Spirito Santo di quella città, un’istituzione cui era legato anche Giacomo Musso che alla fine del Trecento riprese e continuò la cronaca di Ripalta.
La figura di Pietro possiede tratti analoghi a quelle di altri notai che, durante il XIV secolo, scrissero cronache in quelle città dell’Italia centrale e settentrionale che avevano perduto l’indipendenza politica: membri di famiglie cittadine eminenti non intrapresero la carriera degli uffici come scrittori della documentazione, ma svolsero la loro professione soltanto rogando per privati e accostando a quella notarile altre attività solitamente legate al possesso di beni immobili. Tuttavia, diversamente da questi cronisti che di norma prediligevano la storia contemporanea e inserivano nei loro testi ampie parentesi autobiografiche, Pietro, che non compare mai come personaggio nelle sue pagine, dedicò una parte consistente della sua opera a ricostruire le vicende del passato di Piacenza collocandole in un quadro di storia universale.
A spingerlo verso questa scelta fu, molto probabilmente, la tradizione locale che si rifaceva alla compilazione redatta all’inizio del Duecento dal notaio Giovanni Codagnello e che risentiva anche dell’attenzione per la storia universale maturata nella storiografia milanese sin dal secolo XI e affermatasi con forza alla metà del Trecento grazie alle opere del domenicano Galvano Fiamma, una almeno delle quali – il Manipulus florum – Pietro mostra di conoscere.
La cronaca di Pietro può essere divisa in tre blocchi. Il primo raccoglie note molto risalenti nel tempo che riguardano soprattutto vicende relative a una spesso leggendaria storia di Piacenza e della Lombardia in cui si dedica un certo risalto alle mitiche origini delle città, e prosegue trasformandosi in una sintetica cronologia di imperatori romani che arriva sino a Giustiniano. È difficile, allo stato attuale degli studi, individuare con precisione le fonti che servirono per redigere queste pagine: Pietro conosceva la compilazione di Codagnello e gli erano direttamente note la cronaca universale di Martino Polono e il Manipulus florum tradizionalmente attribuito a Galvano Fiamma, mentre si può ragionevolmente supporre che da questi testi egli abbia ricavato i rimandi agli altri autori (Orosio, Beda, Riccobaldo da Ferrara e forse anche Benzo d’Alessandria) che compaiono citati direttamente o indirettamente nel testo.
Il secondo blocco della cronaca, il cui inizio l’autore ha evidenziato con un chiaro passaggio («Regnum Langobardorum incipit», p. 49), è costituito da un riassunto della Historia Langobardorum di Paolo Diacono e della sua prosecuzione nota come Continuatio Romana.
Chiusa la lunga parentesi di storia longobarda («Finitumque est regnum Langobardorum», p. 61), la cronaca assume l’andamento annalistico che manterrà sino alla conclusione nel 1374. In quest’ultima parte le note più antiche scorrono velocemente con ampi salti, ma già per il IX secolo Pietro ha potuto inserire le prime informazioni di storia piacentina ricordando la fondazione di chiese e monasteri. Al 1084 risale la più antica notizia di storia civile – una battaglia vinta da Piacenza contro Pavia –, ma anche in questo caso la memoria è legata alla chiesa poiché in occasione di quella vittoria fu edificata la chiesa di Tutti i Santi. Dal XII secolo il cronista menziona i principali magistrati cittadini – il primo consolato è ricordato nel 1135, il primo podestà fu imposto dal Barbarossa nel 1157 – senza però che l’opera prendesse la forma degli annali consolari o podestarili. Essa però da questo momento è, pur se sempre sintetica, assai ricca di notizie poiché attinge dalla cronaca di Codagnello e dagli anonimi Annales placentini gibellini della seconda metà del Duecento. Il racconto copre con molti dettagli anche il periodo a cavallo tra Due e Trecento, quando la situazione piacentina è segnata dallo scontro tra le fazioni e si delinea concretamente la minaccia di una dominazione viscontea. Poi prosegue seguendo le vicende del XIV secolo: in queste pagine il centro dell’orizzonte è sempre Piacenza, ma lo sguardo di Pietro si allarga per comprendere tutto il campo d’azione dei Visconti, nella cui orbita la città era ormai entrata.
Il cronista non inserisce mai nel suo racconto note di metodo storiografico; in compenso si espone con qualche valutazione. A distanza di poche righe (p. 106) si possono leggere l’elogio senza riserve per il cardinale Egidio Albornoz, vincitore di tutti i nemici della Chiesa, e un giudizio sull’arcivescovo Giovanni Visconti che fu più potente «omnium predecessorum et successorum suorum».
Mentre le altre cronache medievali piacentine hanno debolissima tradizione manoscritta, la cronaca di Pietro si conserva in quindici codici. Anche se alcuni testimoni trasmettono copie tarde, l’opera dovette circolare ampiamente già nel Trecento: la riprese Musso che può essere considerato suo continuatore; il testo di Ripalta ricompare alla lettera – e senza la mediazione dell’opera di Musso – nella cronaca piacentina del medico Giovanni Agazzari scritta verso il 1480; inoltre, l’autorevolezza della cronaca di Pietro è dimostrata anche dal fatto che, intorno al 1450, il canonico piacentino Giacomo Mori, che a Pavia era stato allievo di Lorenzo Valla, ne redasse una copia cui contava di aggiungere una continuazione per compilare la quale raccolse materiali trascritti nello stesso codice che conserva la cronaca. Pertanto la cronaca di Ripalta si pone come una sorta di spartiacque nella tradizione di memorie storiografiche piacentine: da un lato, fa scendere l’oblio sulle pur importanti opere della prima stagione della cronachistica locale; dall’altro, costituisce il punto di partenza obbligato per le compilazioni più tarde.
Dal manoscritto vergato da Mori, in cui il testo reca anche qualche postilla del canonico, è tratta l’unica edizione a stampa della cronaca.
Fonti e Bibl.: Pietro da Ripalta, “Chronica Placentina” nella trascrizione di Iacopo Mori (ms. Pallastrelli, 6), a cura di M. Fillìa - C. Binello, Introduzione di P. Castignoli, Piacenza 1995.
M. Casella, La cronaca di P. da R. e le sue fonti, in Archivio muratoriano, XI-XII (1913), pp. 591-606; G. Fiori, Notizie biografiche di Lancillotto Anguissola, Giovanni Dolzani, P. da R., Lorenzo e Giorgio Valla, Gherardo Rustici e Gaspare Bragazzi, in Archivio storico per le province parmensi, s. 4, XLIV (1992), pp. 141-145; S. Ditchfield, La letteratura storiografica da P. da R. a Umberto Lovati, in Storia di Piacenza. 3. Dalla signoria viscontea al principato farnesiano (1313-1545), Piacenza 1997, pp. 488-493; P. Rosso, Percorsi letterari e storiografici di un allievo di Lorenzo Valla: il cronista piacentino Giacomo Mori, in Archivum mentis, I (2012), pp. 40-45.