DE FRANCISCI, Pietro
Nacque a Roma il 18 dic. 1883 da Virginio, ispettore presso il ministero di Agricoltura, Industria e Commercio, di antica ascendenza altoatesina, e da Ester Calegari.
Morto il padre, nel 1887 la famiglia si trasferì a Milano. Fra il 1900 e il 1901 il D. fu segretario di un comitato milanese contro il divorzio ed ebbe così modo di conoscere tutti gli esponenti più rappresentativi del movimento cattolico, tra i quali il romanista Contardo Ferrini. Di Ferrini egli fu scolaro nella facoltà di giurisprudenza di Pavia, dove seguì tra l'altro i corsi tenuti da P. Bonfante e da C. Longo. Si legò in particolare al Bonfante - alla sua scuola fraternizzò con E. Albertario e con G. Rotondi - e sotto la sua guida si laureò nell'ottobre 1905, discutendo una tesi su "La fiducia" (parte di essa apparve in Studi senesi, XXIV [1906], pp. 346-411, con il titolo Iudicia bonae fidei editti e formulae in factum).
Il primo lavoro del D., scritto nel 1906, apparve in Rend. dell'Ist. lomb. ... (XL [1907], pp. 1002-1017), con il titolo Sull'acquisto del possesso per mezzo dello schiavo. In una recensione a La Repubblica d'Augusto di Guglielmo Ferrero (Milano 1906), pubblicata sul periodico modernista Il Rinnovamento (I [1907], 1, pp. 229-235), il D. manifestò adesione al metodo storico-naturalistico di Bonfante.
I temi delle sue ricerche in questi anni sono numerosi. Le indagini intorno al più antico diritto processuale romano e ai rapporti di esso col diritto materiale formano il sostrato di diversi lavori (Studii sopra le azioni penali e la loro intrasmissibilità passiva, Milano 1912; La legittimazione attiva nell'azione funeraria, in Il Filangieri, XL [1915], pp. 14-36; La misura delle spese ripetibili coll'actio funeraria, in Rend. dell'Ist. lomb. ..., XI-VIII [1915], pp. 295-307; La legittimazione passiva nell'azione funeraria, in Annali di giurisprudenza dell'Univ. di Perugia, XXXII [1920], pp. 275-325). L'esame interno degli istituti si accompagnò con indagini sulle fonti: Contributo alla biografia di Salvio Giuliano, in Rend. dell'Ist. lomb. ..., XLI (1908), pp. 442-464; Nuovi appunti intorno a Salvio Giuliano, Una nuova iscrizione relativa a Giavoleno Prisco, ibid., XLII (1909), pp. 654-657, 658, 659; l'ampio Legge delle dodici tavole (Milano 1913), preparato per l'Enciclopedia giuridica italiana (IV, 6, ibid. 1922, voce: Dodici tavole, legge delle, pp.168-186). Inoltre a partire dal 1908, per suggerimento di Carlo Longo, il D. iniziò, a completamento delle indagini di lui (e confermandone i risultati), a occuparsi di legislazione giustinianea. Scrisse dunque Nuovi studi intorno alla legislazione giustinianea durante la compilazione delle Pandette, in Bullettino dell'Istituto di diritto romano (XXII[1910], pp. 155-207; XXIII [1911], pp. 39-85, 186-295; XXVII [1914], pp. 5-54), da cui trassero origine Alcune osservazioni sul metodo dei compilatori delle Pandette, in Rend. dell'Ist. lomb. ... (XLIV [1911], pp. 185-193) e l'analisi di una costituzione di Giustiniano (Intorno alla c. 6 C. 5,70 de curatore furiosi vel prodigi e alle riforme giustinianee anteriori alla C. "Deo auctore") preparata per il volume del Bull. dell'Ist. di diritto romano in memoria del Rotondi (estr. Roma 1919). Tutte queste ricerche furono affiancate da studi intorno all'evoluzione del diritto romano dai Severi a Giustiniano, intorno alle scuole orientali, e all'influenza dell'ellenismo, dell'orientalismo e del cristianesimo. Tali studi, iniziati a Heidelberg nel 1903, continuati a Berlino nell'estate del 1909, produssero: Intorno alle origini della "manumissio in ecclesia", in Rend. dell'Ist. lomb. ..., XLIV (1911), pp. 619-642; Per la storia dell'"episcopalis audientia", in Annali di giurisprudenza dell'Univ. di Perugia, XXX (1915-1918), pp. 45-75 (estr. Roma 1915); Saggi romanistici, I, Pavia 1913; Vita e studii a Berito tra la fine del V e gli inizii del VI secolo, Roma 1912. A questi si collega, in parte, anche Frammenti di un "indice" del Digesto, in Rend. dell'Ist. lomb. …, XLV (1912), pp. 209-241. Le ricerche intorno al papiro qui esaminato ed il conseguente spoglio delle fonti giustinianee e pregiustinianee furono occasione per sottoporre a revisione tutto il problema dei cosiddetti contratti innominati in L'evizione della "res data in solutum" ed i suoi effetti (Pavia 1915) e specialmente in Synallagma. Storia e dottrina dei cosiddetti contratti innominati (I-II, ibid. 1913-1916), che costituisce "la più seria analisi e il più serio tentativo di ricostruzione sino ad allora compiuti in materia" (Pugliese). Il D. partecipò alla formazione della Scuola papirologica di Milano (1913-1914) e ne diresse la parte giuridica. Presiedette con A. Calderini e G. Castelli alla pubblicazione degli Studî della Scuola papirologica e curò poi la parte giuridica della rivista Aegyptus, diretta da Calderini.
Accanto a questi profondi studi romanistici, il D. maturò una attenta riflessione su problemi metodologici. Nel saggio I presupposti teoretici e il metodo della storia giuridica (in Riv. ital. di sociol., XX [1916], pp. 46-81, che riprendeva l'analisi già condotta nelle dispense di Storia del diritto romano, Padova 1914) il D. sosteneva l'indistinzione tra scienze della natura e scienze storiche e sottolineava che il metodo, essenziale alla scienza del diritto, è legato alla conoscenza di principî generali d'evoluzione giuridica. Poiché questi non erano ancora individuati, appariva necessario intanto valersi di alcune ipotesi. Stabiliva: il diritto è naturale prodotto della società, è principio di organizzazione di essa (per il perseguimento di fini eudemonologici). L'analisi dunque si doveva portare dalle norme all'organizzazione della società, che egli reputava composta di aggregati - gli istituti sociali - cui corrispondono istituti giuridici.
L'istituto giuridico era visto come un complesso di rapporti giuridici la cui unità è determinata dal fine e in cui si distinguono elementi di struttura ed elementi finali. Luoghi di questo scritto richiamano alla mente le concezioni di S. Romano ed utilizzano spunti della Grundlegung der Soziologie des Rechts di E. Ehrlich uscita nel 1913 (Brutti, 1979).
Gli studi Condotti ponevano il D. in contrasto con l'indirizzo dogmatico allora dominante nella romanistica italiana e gli valsero il giudizio di "umanista" come egli stesso ricorderà (cfr. Genesi e struttura del principato Augusteo, in Atti della R. Accademia d'Italia, cl. di sc. mor. e st., s. 7, II [1941], 1, p. 2 n. 2, e il postumo Variazioni in tema di preistoria romana, Roma 1974).
Nei medesimi anni si andò svolgendo la sua carriera accademica. Libero docente di storia del diritto romano nel 1912, fu incaricato della stessa disciplina alla libera università di Perugia dal 1° marzo; in ottobre fu ternato alla cattedra di istituzioni di diritto romano di Perugia. Nel 1913 venne chiamato a Ferrara come incaricato di diritto ecclesiastico e di storia del diritto romano e quindi nominato straordinario di storia in base al precedente concorso di Perugia. Nel 1915 ottenne l'incarico di storia nell'università di Padova e vinse il concorso per professore straordinario della stessa materia a Perugia. Chiamato alle armi nel giugno 1916, fu inviato come ufficiale di fanteria in zona di guerra, e poi al servizio informazioni del Comando supremo. Passato nel corpo della giustizia militare, venne destinato a Parigi a capo dell'ufficio d'istruzione al tribunale delle truppe italiane ausiliarie. Nel nov. 1918 fu messo a disposizione del Consiglio supremo interalleato di Versailles, per compiere studi preparatori alla discussione della conferenza di pace. Dal 12 febbraio al 10 ag. 1919 fu addetto, in qualità di vicecapufficio, all'ufficio stampa propaganda e informazioni della delegazione italiana a tale conferenza. Nello stesso anno riprese l'insegnamento; conseguì l'ordinariato nell'università perugina e ricevette l'incarico di papirologia nella Scuola di studi orientali dell'università di Roma. Il 1° genn. 1921 divenne straordinario di diritto romano nell'università di Sassari e nell'ottobre del medesimo anno fu trasferito, per lo stesso insegnamento, all'università di Macerata. Nel 1922 vinse il concorso di straordinario di istituzioni di diritto romano bandito dalla università di Messina e venne chiamato alla facoltà di Padova a decorrere dal 1° genn. 1923. Ordinario dal 1° luglio 1924, fu trasferito a Roma, alla cattedra di storia del diritto romano, a partire dal 1° dic. 1924.
Negli anni immediatamente successivi al conflitto mondiale l'attenzione alla storicità del diritto indusse il D. a cogliere con maggior sicurezza nell'evoluzione del diritto romano il peso dei diritti nazionali e nel contempo a intervenire nel dibattito metodologico per sottolineare i limiti della dogmatica.
Già nella prolusione al corso romano di papirologia del 1919-20, dal titolo La papirologia nel sistema degli studî di storia giuridica (edita a Milano nel 1920), criticò la definizione di "romano-ellenica" per indicare l'ultima fase dell'evoluzione del diritto romano e sottolineò le carenze dell'interpretazione che vedeva in essa la preponderanza dell'elemento greco, rilevando l'azione dei diritti nazionali. Negli anni successivi dedicò un gruppo di studi a confutare l'ipotesi dell'unità dei diritti mediterranei (Volterra). Nel lavoro La scienza del diritto comparato secondo recenti dottrine (in Riv. intern. di filosofia del diritto, I [1921], pp. 233-249) affermò che il metodo comparativo poteva essere "un metodo ausiliare di quello naturalistico", ma che il giurista, storico o teorico, del diritto non "potrà mai porsi il problema dell'unità originaria del diritto", bensì "volgere il pensiero alla determinazione delle leggi generali che reggono l'evoluzione degli istituti e dei sistemi". Nella prolusione padovana del 22 genn. 1923, dal titolo Dogmatica e storia nell'educazione giuridica (ibid., III [1923], pp. 373-397, poi rifluita in parte nella Storia) indicò i limiti della dogmatica nell'incapacità di riprodurre "l'eterogeneità dei diversi elementi in mezzo ai quali sorgono i rapporti giuridici entro i confini di uno Stato": limiti particolarmente evidenti in quello specifico momento storico in cui il dovere del giurista era per il D. "quello di preparare l'animo a intendere le nuove correnti della vita, di sviluppare la tecnica per adattare le necessarie costruzioni dottrinali alle nuove realtà, di ritemprare lo spirito e i metodi della scienza, facendone strumento non di conoscenza soltanto, ma di azione illuminata e feconda".
Nel 1924 pubblicò a Padova il suo ultimo grande lavoro privatistico, Il trasferimento della proprietà. Storia e critica di una dottrina. L'ottica da cui si poneva era quella di chi vede nella storia del diritto lo scopo "di rivelare la formazione e la contingenza delle costruzioni dottrinali, che la dogmatica tende a considerare come concetti e tipi assoluti e immutabili". Applicava l'analisi storica alle concezioni romane sull' "acquisto della proprietà nei modi detti, dai moderni, derivativi" e "alla formazione del concetto del trasferimento della proprietà, al quale si adatta perfettamente l'osservazione del von Tuhr che "... il concetto del trasferimento del diritto non è il prodotto di una necessità logica, ma il risultato di uno sviluppo storico del pensiero dogmatico". L'analisi della nozione di dominium lo conduceva a concludere in primo luogo che il concetto primitivo, secondo il quale nessun "diritto ... si possa trasmettere ... si è conservato, anche rispetto al dominio, molto a lungo in Roma e, anche se non formulato espressamente, ha inspirato tutto il diritto classico"; che l'idea, per cui "nei cosiddetti acquisti derivativi si trasferisca nell'acquirente il diritto del cedente è di origine post-classica", dato che i classici pensavano alla nascita di un "diritto nuovo, diverso da quello del cedente"; e, infine, che l'acquisto romano classico era "essenzialmente trasmissione di cosa da un soggetto ad un altro", il quale "afferma la sua signoria sull'oggetto, mentre il primo rinuncia alla propria signoria".
Preside della facoltà di giurisprudenza di Roma dal 1925, pubblicò nello stesso anno l'articolo Intorno alla massima "princeps legibus solutus est" (in Bull. dell'Ist. di diritto romano, XXXIV [1925], pp. 321-343). Nel 1926 uscì a Roma il primo volume della Storia del diritto romano (ristampa, Roma 1931; ed. con lievi ritocchi, Milano 1939. Il volume II, parte 1, uscì nel 1929 a Roma; ristampa, ibid. 1934; 2 ed., Milano 1938. Il volume III uscì a Milano nel 1936). Del 1928 è Le fonti del diritto privato e il processo della loro unificazione in Roma (in Nuovi Studi di diritto, economia e politica, I [1927-1928], pp. 161-169), ove delineò il processo di "statalizzazione" del diritto nell'esperienza romana.
Negli anni successivi la sua impostazione metodologica mostra un'evoluzione. Nel saggio La missione del giurista (in Atti della Società italiana per il progresso delle scienze, XVI Riunione, Perugia. 30 ott.-5 nov. 1927, estratto, Pavia 1928), egli ribadiva la precedente posizione istituzionista e antidogmatica, stigmatizzando la "dottrina di origine germanica" che "ha preteso di identificare il diritto colla volontà dello stato" e sostenendo che "l'indagine storica e la stessa logica costringono ... a considerare il diritto come una formazione sociale". Ma nel contempo si dichiarò consapevole del fatto che "quanto più si sviluppa il senso della necessità di un ordinamento uniforme e unitario, quanto più si afferma la coscienza che la forza dell'organismo dipende dall'unità di direzione, tanto più si tende ad attribuire allo stato, come organo supremo della società, la funzione di fissare e formulare il diritto". Esaltava la rivoluzione fascista, la quale all'agnosticismo liberale aveva sostituito i principî di autorità, disciplina, gerarchia, e aveva identificato nazione e Stato. Ora, il D. affermava, "il legislatore è guidato ... da numerose considerazioni volontaristiche e finalistiche che stabiliscono principii i quali ... non possono inquadrarsi nelle categorie della dogmatica tradizionale. Ma qui appunto "si parrà la nobilitate" del giurista: ... sostituire agli antichi schemi e alle antiche categorie la nuova dottrina giuridica". Nel discorso Il centenario del Digesto (530-1930) sottolineò che diritto, politica, economia sono "determinazioni di un'unica realtà storica e spirituale", che non vi è "possibilità di opposizione tra il mondo del pensiero e quello della pratica", negò al giurista "di poter rimanere chiuso nel suo campo puramente tecnico" (pubblicato sulla rivista Nuovi Studi di diritto, economia e politica, III [1930], pp. 273-285, il discorso trovò adesione in A. Volpicelli, Storia e scienza del diritto. Il programma di un romanista e il principio ricostruttivo di una nuova giurisprudenza, ibid., pp. 286-291). Nel 1932, all'inaugurazione del primo congresso giuridico italiano, riaffermò che la dogmatica è "un insieme di principii posti al servizio di un interesse pratico, ed aventi un valore strumentale rispetto ad un dato ordinamento giuridico"; essa "deve tenere presente che le norme sono soltanto i punti salienti pratici ed esteriori del diritto, il termine di un processo che sta al di là della norma ... ; deve ... riconoscere che la natura e la struttura di un ordinamento giuridico possono cogliersi soltanto considerando la sua unità concreta ed effettiva, sintesi e posizione di una organizzazione politica". Propugnò "l'impegno di costruire una dogmatica nuova. Giacché la dogmatica è necessaria: sia per la ragione teorica che nessuna scienza può sussistere senza concetti e principii generali e senza una solida sistemazione che ricongiunga le sue diverse parti e le ordini in logica ed armonica unità; sia per una ragione pratica, in quanto la sistemazione del diritto in un tutto unitario ha per effetto di attribuire all'ordinamento giuridico una maggiore forza di coesione interna e insieme una più attiva virtù di espansione esterna". Risolse il problema della pluralità degli ordinamenti affermando che essi "non possono considerarsi come giuridici, sinché al momento della normatività non si congiunga il momento del potere, cioè della tutela del loro contenuto da parte dello Stato". Nello Stato fascista si realizzava l'unità morale politica ed economica della nazione: la dogmatica, allora, non doveva prescindere dal fine pratico di attuare la volontà dello Stato (nella Rivista di diritto pubblico, s. 2, XXIV [1932], I, pp. 581-597, ove il discorso appare col titolo Per la formazione della dottrina giuridica italiana, la nota di redazione lo definisce "uno dei documenti più notevoli del momento scientifico-politico").
In quest'ottica si comprende l'avversione alle idee esposte da E. Betti nella prolusione milanese del 1927 (Diritto romano e dogmatica odierna, in Arch. giuridico, 1928, voll. XCIX e C, pp. 129-150 e pp. 26-66). Fondamentale nel D. (Questioni di metodo, in Studi in onore di Salvatore Riccobono, Palermo 1936, I, pp. 1-19) è la negazione che i tentativi di sistemazioni dottrinali dei giuristi romani "non siano legati da un nesso logico colla loro opera di creazione e di elaborazione e che quindi essi rappresentino una sovrastruttura che noi possiamo sostituire con altra". Il D. contestava: "a) la possibilità di una distinzione fra diritto positivo e costruzioni dottrinali ... b) la legittimità di una ricostruzione della dottrina romana, valendosi di categorie, più o meno trasformate e adatte della dogmatica odierna, nonché la legittimità di integrazioni della dottrina romana sulla base di giudizî di valore che non possono, se non accidentalmente coincidere con quelli romani". Per il D. "ogni diritto ha un suo sistema che non conviene agli altri".
Negli stessi anni il D. - che si era iscritto al Partito nazionale fascista il 21 apr. 1923 e che nel gennaio-marzo 1924 era stato commissario della federazione fascista del Carnaro, per poi reggere per breve tempo quella di Padova - andò intensificando il suo impegno politico. Eletto deputato nel 1929, entrò a far parte, dal 28 novembre di quell'anno, della commissione incaricata di esaminare i progetti di codice civile e dei nuovi codici di procedura civile, di commercio e per la marina mercantile. Nel 1930 fu nominato ispettore del partito fascista, ma rinunciò alla carica per la quasi contemporanea nomina a rettore dell'università di Roma (a partire dal 1° dicembre). Fu ministro di Grazia e Giustizia dal 20 luglio 1932 al 24 genn. 1935. Come tale partecipò ad es. alla discussione parlamentare sul disegno di legge relativo all'istituzione del tribunale dei minorenni. Nell'aprile del 1934 presentò al capo del governo un progetto di riforma costituzionale, che tendeva ad adeguare la struttura giuridica alla situazione di fatto, creatasi nel regime, di superamento della dottrina della divisione dei poteri, trasformando il Parlamento in un corpo consultivo - Consiglio nazionale - in cui fossero fusi Senato, Camera dei deputati, Consiglio delle corporazioni. Il Consiglio nazionale doveva essere composto sia da membri vitalizi di nomina regia, sia da membri scelti dal Gran Consiglio. Il progetto non ebbe seguito (De Felice). Tra l'altro, in qualità di ministro il D. emise disposizioni che rafforzavano il controllo ministeriale sulla condotta dei magistrati (Aquarone).
Tornato all'insegnamento dopo l'impegno governativo, il D. venne nuovamente nominato rettore dell'universitá romana nel 1935. Continuava intanto ad approfondire le problematiche teoriche del diritto. Nel saggio Idee per un rinnovamento della scienza del diritto (discorso pronunciato alla XXVIII riunione della Società italiana per il progresso delle scienze, Pisa, 11-15 ott. 1939; primo volume delle Relazioni, Roma 1940, pp. 281-297), egli superava le precedenti posizioni metodologiche.
Definiva infatti i suoi attacchi alla dogmatica "obbiettivo troppo limitato". Il diritto - a suo giudizio - è espressione del "voler essere" del gruppo e si concreta nella fissazione di un ordine che si tende ad attuare mediante il potere. Egli vedeva una tensione tra le volontà del gruppo e del singolo. Affermava che compito dello studioso "non è soltanto quello di ricostruire gli elementi, gli istituti, i momenti più significativi di ogni singolo sistema, ma anche quello ulteriore di liberare quelle realtà dalle loro determinazioni temporali e dalle connessioni condizionali per scoprirvi gli aspetti permanenti dello spirito, per rintracciarvi un significato che può assumere valore generale". Assegnava alla nuova scienza giuridica lo scopo di "scoprire e mettere in evidenza soprattutto i processi mediante i quali l'idea del diritto diviene concretezza efficiente e operante nella vita della comunità" (lo stesso D. indicherà in Arcana imperii una cesura tra gli scritti precedenti, ispirati "alle dottrine dell'evoluzionismo e del positivismo giuridico", e la nuova fase portata sull'analisi dei contenuti spirituali). In questo quadro teorico si inserisce l'interesse del D. verso il ruolo svolto dall'autorità imperiale nell'ordinamento giuridico romano, e in particolare verso l'opera di Augusto: La costituzione Augustea, in Studi in onore di P. Bonfante, I, Milano 1930, pp. 11-43; Augusto, in Bull. dell'Ist. di diritto romano..., XLII (1934), pp. 129-149; La costituzione Augustea, in Augustus, Roma 1938, pp. 61-100; Le basi giuridiche del principato, in Augusto (Collana Ca' Foscari), Padova 1939, pp. 21-37, e Genesi e struttura del principato Augusteo (che rifluirà nel grande affresco di Arcana imperii, opera iniziata nel 1937). In questi lavori il D. mostrava una evoluzione di analisi che si concludeva con la piena valorizzazione dell'auctoritas principis, come nucleo sociologico avente portata giuridica, e giungeva alla tipologia weberiana.
Negli anni Venti e Trenta il D. fu membro del Consiglio superiore della Istruzione pubblica e della giunta, in seguito del Consiglio superiore dell'Educazione Nazionale, del Consiglio nazionale dell'Educazione, componente del Comitato centrale per le opere universitarie. Fu inoltre membro della corte di disciplina per i professori delle regie università e dei regi istituti di istruzione superiore, della consulta tecnica dell'Associazione dei professori fascisti, segretario generale dell'Istituto internazionale per l'unificazione del diritto privato. Socio nazionale dell'Accademia dei Lincei dal 1936 e designato nel '38 a far parte del consiglio di presidenza, fu poi socio aggregato dell'Accademia d'Italia. Fu presidente dell'Istituto nazionale di storia antica e membro del consiglio dell'Istituto nazionale di studi sul Rinascimento. Fu insignito nel 1928 del premio reale per le scienze giuridiche dell'Accademia dei Lincei e nel 1931 del premio Mussolini. Nel 1937 successe a G. Gentile alla presidenza dell'Istituto di cultura fascista e divenne membro del direttorio nazionale del partito fascista. Fece parte della Camera dei fasci e delle corporazioni, fu eletto vicepresidente della stessa (Mussolini fu dissuaso da G. Ciano a nominarlo presidente). Nell'aprile del 1940 fu dimissionato (più per fatti di amministrazione che per motivi politici) da presidente dell'Istituto nazionale di cultura fascista, e da membro del direttorio, da vicepresidente della Camera dei fasci. Chiese in una lettera personale al capo del governo di conservare almeno quest'ultima carica; Mussolini accolse la richiesta (Archivio centrale dello Stato).
Esonerato dall'insegnamento con ordinanza del commissario regionale per la provincia di Roma del governo alleato il 4 luglio 1944, venne poi dispensato dal servizio dal 10 dic. 1944 su proposta della Commissione per l'epurazione.
Nel 1944 il D. pubblicò Dal "regnum" alla "res publica" (in Studia et documenta historicae et iuris, X [1944], pp. 150-166), ove egli riprendeva il tema (che trova sistematica esposizione in Arcana imperii) della potestà del capo fondata sull'autorità personale. Nel 1947-48 uscirono i quattro volumi dell'opera Arcana imperii. L'asse intorno cui ruota la tipologia, di derivazione weberiana, è il potere, visto come fatto ideologico (Brutti, 1979). Il D. scriveva, tra l'altro, nell'Introduzione, diidee-madri, pregiuridiche, ma nomogenetiche; sottolineava i nessi tra forme giuridiche e politiche; si opponeva allo "storicismo relativistico"; difendeva, in una lunga nota, la sociologia dalle critiche di C. Antoni e di D. Cantimori; attribuiva ai tipi astratti da lui utilizzati valore euristico (ma qui si nota una qualche oscillazione).
Nel 1947 venne anche pubblicato il suo saggio Idee vecchie e nuove intorno alla formazione del diritto romano (in Scritti in onore di Contardo Ferrini pubblicati in occasione della sua beatificazione, I, Milano 1947, pp. 192-232), scritto prima del 1944, in cui in un ampio excursus storico si intrecciano i temi del potere e dell'unificazione degli ordinamenti giuridici romani. Nel '48 uscì a Roma la Sintesi storica del diritto romano. Il discorso catanese del 28 genn. 1950 (Punti di orientamento per lo studio del diritto, in Riv. ital. per le scienze giurid., LXXXVI [1949], pp. 69-100) è stato definito l'interpretazione di Arcana imperii (Mazzarino): in esso veniva ripreso il confronto con la teoria dell'ordinamento giuridico, propugnato il superamento di storia e di dogmatica in una scienza giuridica di secendo grado atta a "scoprire i processi costanti mediante i quali la volontà di ordine e l'idea del diritto divengono concretezza efficiente e operante nella vita della società".
Reintegrato in servizio con sentenza del Consiglio di Stato del 17 genn. 1949, il D. ritornò alla cattedra di storia del diritto romano tra ampie manifestazioni di stima.
Fuori ruolo nel 1954, il D. declinò l'incarico di preside offertogli dalla facoltà di giurisprudenza nel 1955; nel giugno 1956 gli furono consegnati i quattro volumi degli scritti in onore (il vol. I reca una bibliogr. del D. fino al 1955); dopo il pensionamento (1959), fu nominato emerito (1960). Negli anni '50 scrisse per il Tempo, quotidiano di Roma, elzeviri anche amari (raccolti in Prora contro vento, Firenze 1964). L'attività scientifica del D. fu sempre feconda, intensa. Tornò ad es. al confronto con Betti (Emilio Betti e i suoi studi intorno all'interpretazione, in Riv. ital. per le scienze giuridiche, LXXXVIII [1951], pp. 1-49), scrisse studi sulla protostoria romana culminati nel poderoso e fondamentale Primordia civitatis (Roma 1959). L'opera mostra un'ampia conoscenza interdisciplinare, è marcatamente evoluzionista, primitivista (signoreggia i risultati di una prospettiva antropologica allora in Italia dominante).
Dopo il ritorno all'insegnamento, il D. fece parte di molti istituti di cultura, anche in funzione direttiva (Cancelli). Alla morte di S. Riccobono assunse la direzione del Bull. dell'Ist. di diritto romano insieme a V. Arangio Ruiz; poi, alla scomparsa di questo, da solo. Dal '55-'56 tornò ad essere direttore della Riv. ital. per le scienze giuridiche, che aveva già diretto dal 1926 alla guerra. Fu nella direzione dell'Archivio giuridico.
L'ultima produzione del D., negli anni '60, fu ancora copiosa: annovera scritti sul principato, lavori metodologici, recensioni, commemorazioni (Pugliese); si ricorda in particolare Per la storia della legislazione imperiale durante il principato, in Ann. di storia del diritto, XII-XIII (1968-1969), 1, pp. 1-41.
Il D. morì il 31 genn. 1971 a Formia.
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