MEDICI, Pietro
de’. – Nacque il 3 giugno 1554 da Cosimo I, duca di Firenze poi granduca di Toscana, ed Eleonora di Pedro de Toledo, marchese di Villafranca, vicerè di Napoli.
All’età di quindici anni il padre lo avviò alla carriera militare, affidandone l’addestramento a Cesare Cavaniglia, ammiraglio dell’Ordine militare di S. Stefano. Nel 1573 fu nominato generale del Mare di Toscana, ovvero generale delle galere toscane, con al fianco il luogotenente Simeone Rossermini.
Nell’aprile del 1574 il M. avrebbe dovuto recarsi a Genova per porgere i saluti al principe don Giovanni d’Austria, ma l’incarico non fu portato a termine a causa della morte del padre, sopraggiunta il 21 di quel mese. Nel 1575 svolse la sua prima missione cerimoniale, inviato a Venezia per incontrare Bianca Cappello, giovane veneziana amata dal fratello, il nuovo granduca Francesco I, il quale, dopo la morte di Cosimo, la chiamò a Firenze.
Nel 1571 il M. aveva sposato la cugina Eleonora de Toledo (nipote della omonima prima duchessa di Firenze e figlia di García de Toledo e di Vittoria Colonna). Dal matrimonio nacque Cosimo, morto in giovanissima età. Nel 1576 il M. uccise la moglie «per il tradimento che ella gli faceva con i suoi portamenti indegni di gentildonna» (Francesco de’ Medici a Baccio Orlandini, suo ambasciatore a Madrid, cit. in Galluzzi, II, p. 267).
Nel 1577 il granduca Francesco I inviò in Spagna il segretario Antonio Serguidi, per rendere note al re Filippo II le ragioni dei Medici. Il granduca dichiarava che il gesto del M. era stato giustificato dalla condotta di Eleonora e affinché fosse chiaro «con quanta ragione si sia mosso nostro fratello» (Istruzioni agli ambasciatori…, I, p. 391), fece pervenire alla corte di Spagna gli atti del processo con le prove che avevano condotto all’assoluzione. Serguidi propose inoltre a Filippo di accogliere il M. in Spagna, per conoscerlo ed eventualmente prenderlo sotto la sua protezione.
Ottenuto l’assenso del sovrano, il M., in compagnia di Prospero Colonna, partì alla volta della Spagna nel 1578, e il 17 aprile arrivò nella capitale, dove restò fino a novembre. Con il primo viaggio in Spagna si aprirono per il M. nuove prospettive che, al momento si inserivano entro gli orientamenti del granduca Francesco, incline a un più stretto collegamento dello Stato mediceo con la politica spagnola. È in questo quadro che il M. partecipò alla cerimonia di battesimo dell’erede al trono Filippo, nato il 14 apr. 1578, accompagnandolo al fonte battesimale.
Tornato in Italia nel 1579, il M. poco dopo fu nuovamente inviato in Spagna con la nomina di generale delle fanterie italiane, che il granduca Francesco aveva messo, insieme con ingenti prestiti, a disposizione di Filippo II per la campagna di Portogallo.
In occasione della missione in Spagna il granduca affiancò il colonnello Luigi Dovara, non nuovo a missioni presso la corte spagnola, al M., e consegnò a quest’ultimo un’istruzione sui comportamenti da tenere nei rapporti con i comandanti militari e i principali ministri della corte. Cosciente del carattere litigioso del M., il granduca voleva evitare incidenti in grado di compromettere i suoi rapporti con Filippo II. Qualora il M. non avesse adottato la condotta prescritta, il granduca non avrebbe esitato a togliergli la sua protezione.
Pur con queste riserve, fra il 1580 e il 1582 il M. partecipò alla spedizione per l’occupazione del Portogallo in qualità di luogotenente della fanteria italiana nella compagnia del duca d’Alba Fernando Álvarez de Toledo. Dopo l’entrata a Lisbona, egli rimase nella città fino al 1582, poi si spostò a Madrid. Due anni più tardi tornò in Toscana, fregiandosi del titolo, conferitogli da Filippo II anche come mercede per l’aiuto finanziario ottenuto dai Medici, di generale perpetuo della fanteria italiana.
Nell’aprile del 1585 il M. fu inviato a Roma come ambasciatore di obbedienza presso il nuovo pontefice, Sisto V. Lo accompagnava Ulisse Bentivoglio di Bologna, che aveva sposato la figlia di Bianca Cappello. L’anno seguente il M. ripartì per la Spagna, ma con la successione al granducato dell’altro fratello, Ferdinando I, fece ritorno a Firenze nel 1588 insieme con Luis de Velasco, inviato da Filippo II per congratularsi con il nuovo granduca. Giunto a Firenze, il M. chiese al fratello di farsi carico dei debiti, molto consistenti, contratti in Spagna. In occasione di questo soggiorno toscano il M. divenne il primo protettore dell’Accademia della Crusca (1588). Ferdinando lo incaricò altresì di andare incontro, assieme a un folto seguito, a Cristina di Lorena, sua promessa sposa, e di accompagnarla nel viaggio per mare che dalla Francia la doveva portare in Toscana. Nell’aprile 1589 quattro galere sotto il comando del M., con altre pontificie, genovesi e maltesi, si recarono a Marsiglia, per condurre a Livorno la principessa Cristina.
Le fonti narrano di un episodio accaduto durante questa missione, nel quale il M. viene presentato come un campione della religione cattolica. Raggiunte le coste francesi, il M. aveva accolto le richieste di un vescovo che, liberatosi dalla prigionia alla quale lo avevano costretto gli ugonotti, aveva chiesto la sua protezione. Si trattava probabilmente di Frédéric Ragueneau, vescovo di Marsiglia, in missione a Firenze per contrastare le mire di Carlo Emanuele di Savoia su Marsiglia. Dopo aver imbarcato il vescovo, il M. fece salire Cristina con il suo ricco seguito di servitori. Secondo il vescovo, nel seguito di Cristina erano presenti numerosi ugonotti, che volevano introdurre a Firenze libri eretici. Sollecitato vivamente dal vescovo affinché non permettesse la diffusione dell’eresia a Firenze, il M. impose a tutti i servitori di consegnargli i libri sospetti, minacciandoli con la perdita della vita qualora ne avessero occultati alcuni. I libri così consegnati al M. (la cronaca sostiene che fossero addirittura oltre 15.000), furono infine buttati in mare, con un atto dalla forte carica simbolica. Il M. sbarcò infine a Livorno il 24 apr. 1589.
I rapporti con il granduca Ferdinando I si deteriorarono molto presto. Avendo ritenuto che non potessero aprirsi per lui nuovi spazi a Firenze, nel 1589 il M. partì alla volta della Spagna contro il volere di Ferdinando. La presenza del M. in quella corte provocò non pochi problemi a Ferdinando, che nei primi anni del suo granducato conduceva una politica di relativa autonomia dalla Spagna. Fra il M. e il nuovo granduca si aprì anche un’aspra lite per ragioni patrimoniali relativa alla divisione dell’eredità paterna. In questo conflitto, il M. si giovava della protezione spagnola e, d’altro canto, la sua presenza in corte fu assai utile a Filippo II e in seguito a FilippoIII per contrastare la politica fiorentina nelle fasi di più acuta tensione fra i due Stati.
Ben inserito negli ambienti spagnoli – la sua posizione si rafforzò ulteriormente con la concessione da parte del sovrano del Toson d’oro il 29 nov. 1593 –, il M. prese parte ad alcuni eventi pubblici nei primi anni Novanta del Cinquecento.
Nel 1590 il M. partecipò a una sorta di giostra fra cavalieri celebrata il 31 marzo alla presenza del re, essendo uno dei dodici padrini del duca d’Alba, Antonio Álvarez de Toledo. Nel 1591 fece parte del comitato che ricevette il duca di Savoia, in visita presso il suocero Filippo II.
Intanto conduceva la causa patrimoniale contro il fratello Ferdinando I. Nel 1592, appoggiato da Filippo II e coadiuvato dai giuristi spagnoli dell’università di Salamanca, si rivolse a Clemente VIII per la rivendicazione di metà del patrimonio mediceo e Ferdinando, pur a malincuore, alla fine accettò il foro pontificio. La scelta di affidare la causa a Clemente VIII non soddisfece peraltro Filippo II che, nel 1595 scriveva al proprio ambasciatore a Roma Antonio Fernández de Córdoba y Cardona, duca di Sessa, lamentandosi della lentezza con cui si stava gestendo la faccenda, determinata a suo avviso dalla volontà del pontefice di prendere tempo e di insabbiare la causa. Nel 1600 di fronte all’impossibilità di risolvere il conflitto con la mediazione pontificia, il granduca si piegò alle pressanti richieste che provenivano dal M. e dalla Spagna e accettò che la causa fosse affidata a Filippo III.
Oggetto dei difficili rapporti fu anche l’investitura di Siena, città che gli spagnoli minacciarono in più occasioni di concedere al M., sostenuti in ciò dall’opinione dei giuristi di Salamanca. Dopo la morte di Filippo II (1598), il successore Filippo III non rinnovò l’investitura, la cui conferma si rendeva necessaria dopo il decesso del sovrano concedente o di quello ricevente. Le implicazioni del mancato rinnovo dell’investitura di Siena rimasero, però, a uno stadio potenziale. Probabilmente fu lo stesso M. che non volle prestarsi fino in fondo al gioco spagnolo, rifiutando di accettare un’eventuale infeudazione di Siena a suo nome. Tuttavia, solo dopo la morte del M., quell’investitura fu rinnovata a Ferdinando.
I comportamenti del M. furono più volte oggetto di riprovazione e condanna sia in Italia sia in Spagna. Nel 1593, il M., contro il volere di Ferdinando, sposò Beatrice di Lara Meneses (o Menezes), figlia di don Manuel de Meneses (IV) marchese di Villareal. Filippo II aveva in mente di far concludere il matrimonio fin dal 1588, quando, tramite il suo ambasciatore straordinario in Toscana, L. de Velasco, fece sapere a Ferdinando I di approvare l’unione. La promessa, nonostante il parere contrario di Ferdinando, fu stipulata l’anno seguente. Dopo il matrimonio il M. non accettò mai di vivere sotto lo stesso tetto con la moglie. Condivideva invece la propria dimora con altre donne. Di fronte alla pubblica condanna di questo comportamento, egli si discolpava sostenendo di non poter assicurare alla moglie il livello di vita che le corrispondeva fino a quando il fratello non gli avesse assegnato la parte di eredità che gli spettava.
Nel 1596, allorché fu scoperto che il M. aveva istituito «un’infame scuola di impurità» nella propria casa a Madrid (Litta), Filippo II lo allontanò dalla corte e lo mandò a Roma presso Clemente VIII. Qui il M. sostenne presso il papa le proprie pretese nella causa contro il fratello. Grazie alla mediazione del pontefice presso il granduca, il M. riuscì anche a farsi pagare dal fratello molti debiti e nello stesso 1596 ottenne da quest’ultimo la concessione di un assegno mensile di 1000 scudi con un anticipo di 12.000. Tuttavia il pontefice, che non gradiva la presenza del M. a Roma, premeva perché fosse riammesso alla corte di Spagna. Infine il M., «non potendo trattenersi in Roma né stare altrove, se ne tornò in Spagna» (Usimbardi, p. 394).
Con Filippo III la posizione del M. a corte conobbe un periodo di rinnovata fortuna. Egli era considerato molto vicino al sovrano e fu tra i «señores y grandes» che ricevettero il giovane re nella sua entrata a Madrid il 26 ott. 1599. Mutati gli equilibri interstatali, dopo le paci di Vervins (1598) e Lione (1601), la funzione antimedicea del M. perse rilevanza, anche per il riallineamento di Ferdinando I alla politica spagnola. In questo contesto, le relazioni fra i due fratelli si fecero a un tempo meno rilevanti e meno problematiche e nel 1599 fra i due intercorrevano buoni rapporti, grazie anche all’opera di mediazione di L. Dovara a Firenze. Ferdinando I acconsentì nuovamente a pagare i debiti del M. e ad assegnargli un prestito mensile. Nondimeno, nel 1602 le relazioni tra i due si deteriorarono ancora, ma in un clima ormai mutato.
Alla corte di Filippo III il M. strinse rapporti di amicizia di particolare rilievo con Juan Manrique de Lara y Acuña, duca di Nájera consigliere di Stato, e con Pedro Enríquez de Acevedo, conte di Fuentes. Adottò i costumi spagnoli, e anche la foggia del vestire, come si vede nel ritratto che di lui fece Santi di Tito. Nonostante godesse di buoni rapporti con l’entourage di Filippo III, il M. non volle spostarsi a Valladolid, dove nel 1601 si era trasferita la corte per volere del nuovo valido e ministro Francisco Gómez de Sandoval y Rojas duca di Lerma, ma vi si recò per prendere parte ai momenti essenziali della vita di corte.
Il M. morì a Madrid il 25 apr. 1604.
Il suo segretario, Rutilio Gaci, dopo la morte del M. ricevette da Ferdinando l’ordine di bruciare tutti i materiali confidenziali. Il granduca, supplicato dal M. in punto di morte, fece giungere a Firenze i figli che il M. aveva avuto al di fuori del matrimonio (da Maria de Ribera, Antonia e Isabella Carvajal). Li fece accompagnare in Toscana da R. Gaci e si fece carico di quanti erano riconosciuti nel testamento. Il M. aveva fondato una primogenitura a favore di Pietro, nato nel 1592 da una relazione con Antonia Carvajal ma, a causa dei suoi ingenti debiti, del patrimonio non era rimasto nulla. Ammesso nell’Ordine di Malta, Pietro seguì la carriera militare e in seguito fu anche governatore di Livorno (1629-35). Solo a un figlio del M. di nome Cosimo, che in precedenza aveva vinto una causa in tal senso presso il Consiglio di Castiglia, fu accordato di denominarsi Medici. Cosimo fu avviato alla carriera ecclesiastica, ma fu più tardi al centro di un grave fatto di sangue, avendo ucciso nel 1611 il conte Giorgio Bentivoglio, nipote di don Antonio de’ Medici. Gli altri figli del M., Francesco e Giovanni, furono affidati da Ferdinando al segretario Orazio della Rena, che li allevò come propri figli naturali, consentendo loro di portare il suo cognome, e li educò come gentiluomini, avviandoli poi alla carriera ecclesiastica. Le femmine furono collocate nel monastero delle Murate di Firenze.
Il M. aveva chiesto che il proprio corpo fosse accolto dai gesuiti di Madrid, ma essi «in favor de quali aveva fatto splendidi legati di averi che non possedeva, non vollero accettare il suo cadavere» (Litta). Fu dunque sepolto nella chiesa della Ss. Trinità di Madrid e poi trasportato a Firenze per volere di Ferdinando. I creditori del M. (il maggiore dei quali era il Monte di pietà) nel 1605 intentarono contro Ferdinando, in qualità di erede del M., una causa dinanzi al magistrato supremo. Furono nominati quattro estimatori: Alberto Altoviti e Luigi Gaddi, curatori degli interessi di Ferdinando, e Francesco M. Ricasoli Baroni con Cosimo Pitti, per gli interessi dei creditori. Poco prima della sua morte, non essendo stati ancora pagati tali debiti, il granduca dispose che se ne dovesse far carico il suo successore.
Il M. è raffigurato in diversi dipinti e decorazioni festive. Si ricordano i ritratti di Alessandro Allori, (bottega) di Bronzino (Agnolo Tori), di Santi di Tito (in diversi quadri), di Domenico Cresti detto il Passignano, oltre alla decorazione festiva allestita per il matrimonio di Ferdinando e Cristina e al dipinto di Giovanni Balducci detto il Cosci che ritrae il M. nel momento in cui accoglie Cristina di Lorena a bordo dell’imbarcazione che doveva portarla a Livorno (Firenze, Palazzo Pitti; Langedijk).
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P. Volpini