DEL PO, Pietro
Nacque a Palermo probabilmente nel 1616 da Francesco Iacopo e Francesca lo Po (Prota Giurleo, 1955, p.259); fu pittore e incisore. Nel 1637, nella parrocchia di S.Croce a Palermo, sposò Maria Monforti che morì nel 1643 (ibid.). Probabilmente l'anno dopo si trasferì a Napoli ove è sicuramente documentata la sua presenza nel 1645 quando si unì in matrimonio con Porsia Compagna (Salazar, 1896, p. 123; il D. risiedeva nella parrocchia dell'arcivescovado).
Anche la moglie era vedova, avendo sposato in prime nozze Andrea Maffei (morto il 12 giugno 1644), dal quale aveva avuto un figlio chiamato come il padre, che fu pittore, scenografo e impresario teatrale col nome del patrigno; dagli Stati d'anime romani Porsia risulta essere nata nel 1621.
Il primo figlio della coppia, una bambina di nome Teresa, fu battezzata a Napoli nella parrocchia di S. Giuseppe Maggiore (Prota Giurleo, 1955, p. 263), ma non visse a lungo poiché nel 1649 un'altra femmina, nata a Roma, ricevette nuovamente questo nome.
Probabilmente nel 1647 i due coniugi si trasferirono a Roma ove abbiamo testimonianze indirette della presenza del D. già nel 1648 e prove documentarie dal 1649 allorché fece battezzare la seconda figlia, Teresa, nella parrocchia di S. Maria del Popolo, testimone A. Algardi. Nel Libro di battesimi della chiesa (Roma, Archivio storico del Vicariato) i due genitori sono indicati come residenti nella parrocchia; con questa seconda nata va identificata la figlia del D. nota come incisore di stampe e pittrice (Rabiner, 1978, p. 2).
Dal 1651 al 1661 la famiglia è rintracciabile negli Stati d'anime della parrocchia di S. Maria del Popolo, residente in due diverse case; nascono in questi anni gli altri figli: Adriano (12 marzo 1651), Giacomo il futuro pittore, Anna Antonia (26 marzo 1656). Di Adriano e Anna Antonia non si hanno ulteriori notizie se non che risultano vivere con i genitori. Nel 1662 non si hanno notizie della famiglia che invece dal 1663 al 1669 vive nella parrocchia di S. Andrea delle Fratte, dal 1674 al 1678 in quella di S. Susanna e dal 1679 al 1682 in quella di S. Nicolò in Arcione.
Il D. nei primi mesi del 1683 era ancora a Roma (partecipava alle riunioni dell'Accademia di S. Luca) e dovette probabilmente partire poco dopo (e non nel 1679, come affermato dal De Dominici). Dopo un breve soggiorno a Palermo l'artista si stabilì a Napoli risiedendo alla Dogana del sale (Prota Giurleo, 1955, p. 260). Un documento lo ricorda in città nel maggio del 1683 (Delfino, 1984, p. 159). Citato in documenti del febbraio e del novembre 1693, la sua data di morte.va perciò collocata per lo meno alla fine del 1693 (Strazzullo, 1978, pp. 25 s.; Rabiner, 1978, p. 8), verosimilmente a Napoli.
Per quanto attiene ai fatti biografici va infine citato un lungo viaggio che il D. avrebbe compiuto, secondo il Pascoli (1736, pp. 97 ss.), in compagnia di C. Cesi e di un altro pittore in molte località dell'Italia centrale in un momento di poco antecedente il viaggio di ritorno a Napoli. Da una notazione di F. S. Baldinucci (1725-30 c., p. 342) sembrerebbe inoltre che il pittore fosse stato anche a Venezia.
Data la mancanza di notizie, si deve supporre che la formazione del D. sia avvenuta a Palermo, dove intorno al 1635-40 la personalità predominante era quella di Pietro Novelli detto il Morirealese; è quindi probabile che il D. abbia studiato gli esempi di questo maestro, ma non figura tra i suoi allievi.
Il D. fu certamente in contatto con il Monrealese almeno una volta, allorché, nel 1641, incise l'arco trionfale eretto per il viceré J.A.E. de Cabrera su disegno del Novelli (cfr. G. Di Stefano, Pietro Novelli, Palermo 1940, tav. LXVII).
Questa data esclude un ipotetico alunnato presso il Domenichino a Napoli visto che questi morì nel 1641, né esiste alcuna documentazione su un suo viaggio a Napoli prima di tale data (Prosperi Valenti Rodinò, 1981, p. 175).
Sembra da escludere anche un apprendistato del D. presso G. Lanfranco a Napoli. Il D., infatti, conobbe certamente l'opera del Lanfranco ma non risulta che abbia mai lavorato alle dipendenze del pittore parmense, benché alcuni studiosi lo indichino addirittura come il suo principale collaboratore nelle opere napoletane tarde. I dipinti noti del D. mostrano inoltre uno stile assai diverso da quello del Lanfranco e semmai molto più domenichiano e classicheggiante in senso lato (Schleier, 1979, p. 117; 1983, p. 211).
Un soggiorno a Napoli era assolutamente in linea con la formazione culturale di un artista siciliano e il trasferimento a Roma ne era la naturale prosecuzione. Questo spostamento, nel 1647, dovette avvenire non al seguito del Lanfranco (Prota Giurleo, 1955, p. 79) ma probabilmente in occasione della rivolta di Masaniello.
A Roma il D. si inserì rapidamente e con successo nell'ambiente artistico locale; fu infatti iscritto all'Accademia di S.Luca dal 1652, e nell'ambito di questa istituzione ebbe incarichi diversi, anche di cospicuo prestigio (nel 1668 fu eletto principe ma rinunciò alla carica); dal 1652 fu associato anche alla Congregazione dei virtuosi al Pantheon (cfr. schede inedite di F. Noack presso la Bibl. Hertziana a Roma, con numerosi altri riscontri di documenti).
I contatti del D. furono prevalentemente con pittori classicheggianti, come il Cesi e F. Cozza indicati come suoi amici (cfr. Pascoli, 1736, p. 68; Giannone, sec. XVIII, p. 132); conobbe anche importanti personaggi dell'ambiente culturale locale quali Cassiano Dal Pozzo, il cardinal Azzolino, il cardinal Cibo, e alcuni degli ambasciatori spagnoli di quegli anni, fra cui Gasparo de Haro marchese del Carpio.
Le uniche opere note del D. dopo la metà del secolo sono incisioni, soprattutto da autori classicisti. Si può affermare che il D. è noto sinora prevalentemente attraverso le stampe; il suo nome compare infatti in tutti i principali repertori di incisioni; la sua tecnica piuttosto raffinata e complessa prevedeva l'uso dell'acquaforte e del bulino combinati assieme. I soggetti, fedelmente trascritti, sono per lo più opere del Poussin (Blunt, 1960, p. 401), dei Carracci, di Domenichino, di Lanfranco, Giulio Romano, Raffaello, forse Ribera (Du Gué Trapier, 1952, p. 263).
Difficilmente era egli stesso l'ideatore dei soggetti incisi; negli ultimi anni romani alcune stampe furono tratte da disegni del figlio Giacomo. Va notato che nessuna incisione datata è riferibile al soggiorno napoletano mentre assai numerose sono in questi anni le stampe dei suoi due figfi, Teresa e Giacomo, sia da soli sia associati, quasi che l'anziano padre avesse voluto lasciare maggiori opportunità di lavoro ai due giovani figli (per un dettagliato esame delle incisioni del D. si veda Prosperi Valenti Rodinò [1981], con alcune aggiunte al catalogo del Bartsch [1870], Illustrated Bartsch [1982, XLV]).
L'unica opera pubblica romana di cui si abbia notizia è una tela rappresentante S. Leone Magno, donata alla chiesa dei Siciliani, S.Maria di Costantinopoli, eseguita prima del 1674 (Titi, 1674, p. 362). La tela non è più rintracciabile e la mancanza di ulteriori opere pubbliche del D. può forse essere spiegata con la sua predilezione per i quadri di piccolo formato, spesso dipinti su rame, che realizzò soprattutto per collezionisti privati. Non è identificabile nessuna delle opere elencate dal Pascoli, eseguite soprattutto per gli ambasciatori spagnoli, alcune delle quali anche inviate all'estero. Appartengono invece a questo periodo, intorno al 1666, le diciannove lastrine di rame, dipinte dal D. ed inviate alla cattedrale di Toledo.
Queste opere, pubblicate da Pérez Sánchez (1965), in un articolo che segna il recupero conoscitivo dell'autore, furono eseguite per incarico dell'ambasciatore card. Pasquale di Aragona. Lo Schleier (1979, p. 116) ha inoltre recentemente affiancato a queste opere un piccolo rame del Kunsthistorisches Museum di Vienna, raffigurante il Battesimo di Costantino, e le due opere del collegio Alberoni di Piacenza con i Martirii di s. Paolo e s. Pietro, note anche al Lanzi. Lo stile di tutti questi dipinti mostra una spiccata predilezione per gli elementi bolognesi derivati dal Domenichino combinati con singolari accostamenti ai poussiniani francesi come J. Stella e C. Mellin (cfr. Pérez Sánchez, 1965).
Non si conosce il motivo per cui il D. decise di abbandonare Roma e trasferirsi a Napoli; il Prota Giurleo (1955, p. 263) suggerisce che egli abbia seguito il marchese del Carpio, ambasciatore spagnolo a Roma, e dal 1683 viceré a Napoli. Le opere pubbliche napoletane citate dalle guide, più numerose di quelle romane, sono: i pennacchi della cupola nella chiesa di S. Maria Regina Coeli (Galante, 1985, n. 124 p.64), due angeli nella chiesa dei Gerolomini (Catalani, 1845; attribuzione tradizionale da respingersi, cfr. Rabiner, 1978, p.226) ma soprattutto la decorazione della chiesa di S.Barbara in Castel Nuovo. Il complesso dei dipinti posto nella cappella è descritto ancora da De La Ville sur Yllon (1893, p. 118); probabilmente le opere furono realizzate prima del 1688 e furono asportate dalla cappella in occasione del restauro novecentesco; se ne persero così le tracce sino alla recente segnalazione del Borrelli (1984, pp. 24-6). Sedici di queste opere sono attualmente conservate nelle chiese di S.Francesco di Paola (tredici nella sacrestia e nei depositi) e in S. Maria della Stella (tre nella copertura dei transetto).
I dipinti furono trasferiti in S. Francesco di Paola poiché questa chiesa ha assolto le funzioni già spettanti alla parrocchia sita entro Castel Nuovo e da qui tre tele furono ulteriormente spostate in S. Maria della Stella (Borrelli, 1984). Quadri, raffiguranti Storie di Maria e di Gesù, sono assai rovinati e probabilmente anche in parte ridipinti; è probabile che per la loro realizzazione siano stati impiegati allievi e collaboratori fra cui Giacomo. Essi mostrano una impostazione stilistica piuttosto diversa da quella delle opere precedenti, sono caratterizzati da colori assai vivaci, forti contrasti di luci e ombre, volti arrossati o immersi nella penombra, una resa pittorica niente affatto minuziosa ma al contrario rapida ed a tratti persino sommaria. Tutto questo fa pensare che il D., negli anni del secondo soggiorno partenopeo, abbia avuto un certo mutamento stilistico: forse risentì dell'esempio del suo stesso figlio e comunque assimilò influenze della scuola partenopea in generale, allontanandosi così dal classicismo della fase romana quale è dato vedere nelle opere di Toledo.
Sia negli anni romani sia nel successivo periodo partenopeo il D. sembra essersi occupato di architettura, seppur marginalmente, come prova del resto anche la biografia del Pascoli (1736, p. 95) in cui si accenna a disegni per opere forse mai realizzate.
Su disegno del D. fu eretto il colonnato di recinzione di piazza Navona nel 1675 in occasione delle feste promosse dall'Arciconfraternita di S. Giacomo degli Spagnoli. Ancora nel campo dell'effimero lavorò a Napoli nel 1685 per l'allestimento della festa offerta dal marchese del Carpio in occasione dell'onomastico della regina e nel 1689 per celebrare la nuova moneta. Dell'allestimento della festa per la moneta, realizzato in collaborazione con il figlio Giacomo, è rimasta una testimonianza precisa in una incisione della figlia Teresa (Mancini, 1968, fig. 6). Va infine notato che nel 1693 fu pagato per una consulenza a proposito della facciata dei Gerolomini (Rabiner, 1978, p. 8).
Le seguenti opere citate dalle fonti (escluso il Pascoli), non sono state finora rintracciate: uno stendardo con L'Annunciazione e cinque misteri gaudiosi dipinto nel 1675 (Caetano, 1691); un'Assunta su tela inserita nel soffitto del duomo di Benevento (Meornartini, 1889); un Bagnodi Diana nellacollezione del principe di Avellino (Don Ferrante, 1902, p. 159), S. Antonioda Padova nella chiesa di Gesù e Maria delle Trombe a Messina (Susinno, 1724); una Immacolata Concezione nella collezione del principe di Ischitella (Pacelli, 1979).
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