DELLA VALLE, Pietro
Nacque a Roma l'11 apr. 1586 da Giovanna Alberini e da Pompeo, la cui nobile famiglia vantava origini medievali (di essa il D. scrisse una Storia oggi perduta).
Il viaggio in Oriente, prolungatosi per dodici anni, cui è legata soprattutto la sua fama, si colloca anche cronologicamente al centro della sua vita e risulta essere costruzione consapevole dei proprio personaggio se già il contemporaneo Bellori, suo primo biografo, affermava che "gli stessi viaggi suoi, diario sono e storia di se stesso".
Partito a ventotto anni, come si legge nel Racconto di ciò che fece Pietro Della Valle prima di partire per l'Oriente, breve scritto autobiografico (l'autografò è conservato nel Fondo Della Valle-Del Bufalo dell'Archivio segreto Vaticano), che fa gravitare verso tale decisione tutta l'esistenza precedente, in modo perfettamente speculare dopo il ritorno, nei ventisei anni precedenti la morte, il D. amministrerà oculatamente il patrimonio di conoscenze e di prestigio acquisiti nel -corso delle sue peregrinazioni. Il Bellori ce lo descrive afflitto da affanni amorosi, in preda ad una irrequietezza che lo spinse a viaggiare dapprima per l'Italia, poi a spostare la propria residenza a Napoli (1609-1614). da dove si allontanò in più occasioni per partecipare a spedizioni militari contro pirati e corsari e infine per intraprendere il pellegrinaggio in Terrasanta, benché il proposito di un più grandioso progetto che includeva nell'itinerario la Persia, fosse già fin d'allora esplicito.
Gli elementi della cultura e dello status saranno determinanti per lo stile, gli scopi e gli esiti che assumeranno il viaggio e le scritture su di esso. I Viaggi risultano dalla raccolta delle lettere spedite al medico e naturalista napoletano M. Schipano, riviste mediante.l'aiuto del diario di viaggio (il cui autografo, riguardante gli anni 1614-1626, è conservato alla Bibl. apost. Vaticana, cod. Ottob. lat. 3382). Il titolo completo della prima edizione romana è infatti: Viaggi di Pietro Della Valle il Pellegrino, con un minuto ragguaglio di tutte le cose notabili osservate in essi, descritti da lui medesimo in 56 lettere familiari, da diversi luoghi della intrapresa peregrinazione mandate in Napoli all'erudito e fra' più cari, di molti anni suo amico Mario Schipano, divisi in tre parti, cioè la Turchia, la Persia e l'India, le quali avran per aggi . unta, se Dio gli darà vita, la quarta parte, che conterrà le figure di molte cose memorabili sparse per tutta l'opera e la loro esplicatione.
L'autore tuttavia riuscì a completare il lavoro di revisione solo per quanto riguarda le lettere dalla Turchia e dalla Persia e a vedere stampata la prima parte riguardante la Turchia. I volumi successivi (lettere dalla Persia e dall'India) uscirono postumi a cura della moglie e dei figli. La quarta parte annunciata nel titolo non fu mai scritta. Ci sono pervenuti i volumi manoscritti preparati per la stampa, oggi presso la Biblioteca della Società geografica italiana, benché mancanti delle prime diciotto lettere. I Viaggi ottennero subito un notevole successo editoriale tanto che furono ristampati più volte nel corso del Seicento. Se ne ebbero immediate traduzioni in francese, inglese, olandese e tedesco e successive ristampe in queste lingue fino alla recente traduzione persiana del 1969.
La quantità di informazioni e di materiali scientifici procurarono al D. fama di valente orientalista, anche in virtù del fatto che aveva appreso nel corso del viaggio il turco e il persiano; ma aveva raggiunto un certo livello di conoscenza anche di altre lingue orientali. I suoi studi e le sue ipotesi su alcune di queste lingue (loro formazione, filiazioni, rapporti reciproci) non risultarono dei tutto prive di fondamento. Raccolse, compilò e tradusse vocabolari e grammatiche di queste lingue confrontandole con quelle circolanti in Occidente allo scopo di rettificarne inesattezze ed errori. Ricordiamo a questo proposito la Grammatica della lingua turca di Pietro Della Valle il Pellegrino, divisa in sette libri, scritta a Isfahan nel 1620 (ora tra i Mss. Vaticani turchi: Cat. Mai, n. 40).
La formazione umanistica, la conoscenza del latino e del greco lo misero in grado di consultare costantemente nel corso del viaggio le fonti classiche, sulla base delle quali procedette a congetture archeologiche, a tentativi di identificazione di luoghi e rovine, in un confronto continuo con la propria viva esperienza, le documentazioni raccolte e le opere recenti e contemporanee sui paesi visitati. Sulla base di tali confronti nasce l'esigenza di precisazioni e rettifiche mediante ulteriori ricerche storico-etnografiche, mediante calcoli astronomi ' ci e misurazioni volte a correggere errori di geografi e cartografi, anche rispetto alla toponomastica dei paesi attraversati. La cultura umanistica di cui è in possesso interviene inoltre quasi automaticamente nella riproduzione di moduli e modelli letterari: la sposa georgiana del D. il cui ritratto pare modellato sulle eroine tassiane, l'ascesa al monte Sinai esemplata su quella del Petrarca al monte Ventoso, il disegno stesso di un'ideale autobiografia secondo il modello antico sottesa all'insieme di queste scritture di viaggio.
Salpato da Venezia in abito e con le insegne di pellegrino l'8 giugno 1614, giunse il 15 agosto a Costantinopoli dove si trattenne un anno, dopo aver toccato vari porti e isole dell'Egeo e visitato i luoghi in cui sorgeva Troia. Da Costantinopoli si diresse in Egitto. Risalendo il Nilo giunse al Cairo e visitò le piramidi. Acquistò sul luogo due mummie che inviò a Roma insieme a vari oggetti che raccolse anche in seguito con passione da collezionista e da antiquario. Allo Schipano, che gliene faceva richiesta, spedì sistematicamente minerali, animali, droghe e spezie (le lettere dello Schipano al D., insieme ad altre lettere al e del D. sono conservate nel Fondo Della Valle-Del Bufalo, vol.51). Si recò poi nel Sinai, quindi a Gerusalemme, minutamente descritta nelle lettere. Fin qui il viaggio in veste di pellegrino. Passando per Damasco e Aleppo raggiunse Bagdad, poi, non senza difficoltà, essendo iniziate nell'estate del 1616 le ostilità tra Turchi e Persiani, passò in Persia. Nel febbraio del 1617 era a Isfahan da dove si trasferì sul Caspio per incontrare lo scià Abbas il Grande che aveva stabilito la propria residenza presso Fehrabad. Nell'agosto del 1618 si preparava a partecipare alla guerra di Abbas contro i Turchi, ma sopravvenuta urla tregua e riprese le trattative di pace in seguito ad una sconfitta turca, si trasferì a Isfahan, dove si trattenne fino all'ottobre 1621.
In viaggio per Sciraz, visitò le rovine di Persepoli studiando iscrizioni, chiarendo dubbi di carattere archeologico e identificando tra i primi un sistema di scrittura nei caratteri cuneiformi. Organizzò quindi il ritorno. Durante il viaggio verso Hòrmuz morì Sitti Maani, che aveva sposato cinque anni prima a Bagdad. Vista l'impossibilità di varcare lo stretto a causa delle operazioni belliche in corso, si imbarcò su una nave inglese per l'India, della quale visitò la costa occidentale da Calcutta a Goa e alcune zone dell'interno. Si imbarcò per il ritorno il 15 nov. 1624, sostò a Mascat, risalì la penisola arabica, visitò Antiochia e riprese il mare ad Alessandretta per giungere a Napoli il 6 febbr. 1626. Rientrò a Roma il 28 marzo dello stesso anno (i diversi percorsi del D. sono visualizzati nella cartina che il Pennesi ha allegato alla sua monografia).
Morì a Roma il 21 apr. 1652 e fu seppellito nella cappella di famiglia in S. Maria in Aracoeli.
Sul piano dell'attività propriamente letteraria figurano tra l'altro il testo di una azione drammatica per il carnevale del 1606, Carro di Fedeltà d'Amore (riprodotto in Solerti, 1903), musicato da P. Quagliati; composizioni poetiche in versi, tra cui una serie di"sonetti in lode di Sitti Maani, la Corona Gioeridia (l'autografò è conservato alla Bibl. ap. Vat., cod. Ottob. lat. 3384), e una riflessione sulla metrica contenuta nel discorso letto nel novembre 1633 all'Accademia degli Umoristi, Di tre nuove maniere di verso sdrucciolo, pubblicato in Roma nel 1634. Di questa Accademia era membro col nome di Fantastico fin dagli anni precedenti la partenza da Roma e, anzi, essa appare il referente ideale delle relazioni di viaggio, al di là del destinatario diretto delle lettere, e tramite nei confronti di un più vasto pubblico, come risulta dall'"Avviso" al lettore premesso dal D. alla prima edizione dei Viaggi. All'Accademia degli Umoristi tenne diverse lezioni; il Bellori testimonia di aver assistito ad una di esse in cui venivano messi a confronto Virgilio e altri poeti latini con un poeta persiano dal D. tradotto-1 forse Hafez. Compose anche versi in lingua turca che si leggono, insieme a gran parte della sua produzione poetica nel cod. Ottob. Lat. 3384 della Bibl. ap. Vaticana. Scrisse nel 1629, in occasione della nascita del primo figlio avuto da Mariam Tinatin di Ziba, sposata in seconde nozze, il testo poetico di una "veglia" drammatico-musicale, La valle rinverdita..., conservata nel Fondo Campori della Bibl. Estense di Modena, e riprodotta in Solerti.
Di un'altra accademia il D. risulta frequentatore assiduo, insieme a T. Campanella di cui divenne amico, quella riunita intorno ad Andrea Capranica. Morto il Capranica, le riunioni si tennero nel palazzo dello stesso Della Valle. Nel 1629, su proposta dei naturalista Fabio Colonna, fu accettato Come socio all'Accademia dei Lincei.
Incompleta tuttavia ne risulterebbe la figura e non appieno leggibile nel clima del suo tempo, se non si facesse cenno al gusto teatrale, tipicamente seicentesco, al quale conformò il proprio comportamento in alcune rivelatrici occasioni e importanti episodi della sua vita, a cominciare dal cerimoniale sfarzoso e solenne osservato all'atto dell'annuncio pubblico della partenza per l'Oriente (i particolari si possono leggere nel già citato Racconto di ciò che fece ...). Anche l'apparato del quale si circondò nel corso del viaggio fu tale "che mai non era stato visto un privato viaggiare con tanto fasto..., quasi con una corte intera" (Ciampi). Circostanza che gli fruttò in ogni caso accoglienze adeguate alla pompa con cui si presentava. Analogo scalpore dovettero suscitare le cerimonie funebri del 1627 a S. Maria in Aracoeli per l'inumazione di Sitti Maani, la cui salma aveva indefettibilmente trasportato per cinque anni nel corso delle peregrinazioni successive alla morte di lei, con l'evidente proposito di tale grandioso esito. In tale occasione scrisse l'orazione In morte di Sitti Maani Gioerida sua consorte pubblicata, insieme ad altri scritti di elogio di vari autori e alla descrizione della cerimonia, nel volume di G. Rocchi, Funerale della sig.ra Sitti Maani Gioerida della Valle (Roma 1627). Da allegare a questo aspetto della personalità del D. è l'episodio dei suoi screzi con l'ambasciatore spagnolo presso Abbas narrato in alcune lettere dalla Persia, segnale quanto mai significativo, oltre che dell'orgoglio dinastico, dello spirito che informa l'impostazione e la conduzione di tutta l'impresa del viaggio. Analogamente la circostanza nella quale ferì gravemente un domestico dei Barberini venuto a diverbio con un suo staffiere (aprile 1636), contribuisce ad illustrare l'aspetto della personalità del D. che differenzia nettamente le sue relazioni di viaggio da quelle di altri viaggiatori.
A seguito di questo episodio fu condannato in contumacia essendosi rifugiato a Paliano e trascorse l'esilio tra Napoli e Gaeta fino a quando, ottenuta la grazia, rientrò in Roma nel marzo del 1638 (per questo ed altre notizie della vita del D. per gli anni dal 1627 al 1651 va consultato il diario autografo conservato nel Fondo Della Valle-Del Bufalo). Nelle sue relazioni di viaggio il D. non mostra infatti di perseguire obiettivi settoriali o di agire per altrui delega, ma quasi offre nelle diverse occasioni la propria personalità tutia intera come terreno di incontro e di confronto tra due culture, sviluppando tra l'altro doti di tolleranza e duttilità da cui dipendono le ripetute professioni di cosmopolitismo che hanno colpito tutti i suoi biografi. Nell'esperienza del viaggio coinvolse infatti e risolse il prestigio della propria figura, del proprio casato e quello della romanità intesa come punto d'incontro di valori ecumenici, umanistici e cattolici insieme.
A questo tratto caratteristico dei personaggio sono dovuti i progetti politici di vasto respiro di cui si fa latore e promotore in proprio: il progetto di un'alleanza in funzione antiturca tra i Cosacchi stanziati nella zona del Mar Nero e i Persiani; le intercessioni presso Abbas per interventi a favore di Assiri e Caldei di Georgia, patria di sua moglie; il disegno di cui parlò con Abbas, che gliene fece sperare l'attuazione, della fondazione di una nuova Roma presso Isfahan in cui si sarebbero trasferite trecento famiglie siriane cristiane e che avrebbe riprodotto i principali, e per il D. simbolici, monumenti romani: S. Pietro, il Campidoglio e La Valle (l'insieme degli edifici della propria famiglia). Per la circostanza scrisse una Lettera al Senato e al Popolo romano. Ma il progetto portante, che questi minori include e che guida il D. nelle sue relazioni con Abbas, è quello di una grande alleanza europeo-persiana contro i Turchi, in accordo con la politica orientale del Papato inaugurata da Clemente VIII. Non a caso al ritorno dal viaggio ottenne onorificenze da Urbano VIII e fu indicato quale consigliere per 1?attività missionaria in Oriente, in particolare per la missione inviata in Georgia dalla congregazione di Propaganda Fide.
A questo proposito scrisse dapprima l'Informatione della Georgia data alla Santità di N. S. Papa Urbano VIII l'anno 1627 e successivamente l'Informatione ai padri teatini che hanno d'andar ai Georgiani (entrambe segnalate da Andreu presso gli Archivi della Prop. Fide, ma la prima già pubblicata a Parigi nel 1663 da M. Thévenot in Rélations de divers voyages curieux..., vol. I). Da ascriversi a questo settore di interessi del D. è pure l'operetta Delle conditioni di Abbas re di Persia, messa all'Indice dalla censura ecclesiastica.
Uscì nel 1628 a Venezia col cauto espediente della mancanza di autorizzazione da parte dell'autore. In essa Abbas assumeva, rispetto ai principi cristiani, proporzioni eccezionali per lungimiranza politica e grandezza d'animo. Ciò mostra, nonostante l'organicità del D. ai disegni del Papato, l'indipendenza di spirito e la libertà di giudizio che contraddistinsero le sue posizioni e che provocarono interventi censori anche nel corpus delle lettere che compongono i Viaggi (ipassi censurati, controllati dal Ciampi sui volumi manoscritti in possesso della Società geografica, furono pubblicati in appendice alla sua monografia sul Della Valle. La recente edizione dei Viaggi-Lettere dalla Persia, a cura di Gaeta e Lockart, restaura nella sua integrità originaria il testo per quello che riguarda questa parte). Neppure l'Epistola Petri a Valle peregrini, patricii romani ad nobilem Persam Mir Muhamed Abd' el Vahabi, di contenuto teologico e religioso, ottenne l'imprimatur. Il D. la scrisse in persiano nel 1621 a Isfahan e al ritorno la fece stampare in versione latina, ma, come ritiene l'Almagia, non fu mai propriamente pubblicata e fatta circolare. Si conserva nel Fondo Della Valle-Del Bufalo.
Questo aspetto della personalità e dell'opera del D. è in certa misura anche confermato dal costante interesse, nonostante gli eventuali rischi che poteva comportare, per l'astrologia e per la magia (risultano espunti dalla censura anche alcuni passi dei Viaggi sull'argomento); interesse non smentito dalle instancabili ricerche di codici antichi da lui compiute in Orientel tra di essi figurano un Liber indicus de arcanis, Tabulae lunationum et ascendentium e un De magia (un elenco dei codici portati a Roma dal D., ora alla Vaticana, si trova in appendice alla monografia del Ciampi. Scritture autografe di astrologia sono conservate nel Fondo Campori della Bibl. Estense di Modena, cfr. Almagià, 1951). Si impegnò inoltre nella traduzione in latino di alcune opere persiane di contenuto astrologico, oltre che di opere storiche e di antichi testi iranici. Di esse dà il catalogo il Bianconi in appendice al volume Viaggio in Levante.
Di problemi di edizione e di studio dei codici orientali in suo possesso, di interpretazioni cabalistiche, discusse epistolarmente con S. Sgambati, professore di teologia all'Accademia di Vienna, con S. Tengnagel, sopraintendente della Biblioteca imperiale della stessa città e con G. Morin, orientalista ed ebraista francese. Di tali lettere, che nel loro insieme coprono l'arco di circa un decennio (1628-1637) ha fornito il catalogo, notizie ed argomenti il Ciampi nell'Appendice citata. Quelle al Morin si leggono nel volume Antiquitates Ecclesiae Orientalis clarissimorum virorum ... (Londini 1682). Il D. risulta anche autore di innumerevoli altre opere erudite e storiche inedite tra cui il De recentiori Imperio Persarum subiectis regionibus (Fondo Campori della Bibl. Estense di Modena) scritta a Goa nel 1624, ma di cui esistono altre due redazioni, rispettivamente del 1626 e del 1628.
Principali edizioni dei Viaggi: la prima parte, cioè la Turchia, dei Viaggi di Pietro Della Valle il Pellegrino, con un minuto ragguagilio di tutte le cose notabili osservate in essi, descriiti da lui medesimo in 54 lettere familiari..., compare in Roma, presso lo stampatore Mascardi nel 1650, vivo l'autore. Dopo la sua morte, a cura della moglie e dei figli, a spese del Deversin e ancora nella stamperia Mascardi, dopo una reimpressione del volume già pubblicato (La Turchia, 1657), uscirono La Persia, nel 1658, con una dedica ad Alessandro VII e nel 1663, sempre a spese del Deversin cui si associò il Cesarelli, presso lo stesso stampatore e con una dedica al card. Flavio Chigi, L'India col ritorno alla patria.
Nel 1662, sempre a spese del Deversin, ma nella stamperia del Dragondelli, cominciò ad uscire la seconda edizione dei Viaggi. Due edizioni comparvero a Venezia, nel 1660 e nel 1667; a Bologna, nel 1662 e nel 1667, di nuovo a Venezia, 1681-87; infine a Torino (con la falsa indicazione Brighton) nel 1843.
Recentemente un certo numero di lettere dalla Turchia è stato pubblicato da L. Bianconi col titolo Viaggio in Levante, Firenze 1942. I viaggi di Pietro Della Valle, Lettere dalla Persia si leggono nell'edizione a cura di F. Gaeta e L. Lockart, Roma 1972.
Per la sua intensa e poliedrica attività di teorico, compositore, poeta e librettista, il D. può essere considerato come una delle figure più interessanti dell'ambiente musicale romano seicentesco.
La sua educazione musicale poté svilupparsi sotto la guida di alcuni dei più prestigiosi maestri romani dell'epoca: fra questi si ricordano Stefano Tavolaccio, Quinzio Solini e Paolo Quagliati per il cembalo, Marco Fraticelli per la viola da gamba, ancora il Solini per la tiorba, il contrappunto e la pratica del basso continuo, infine Fabrizio Caroso per la danza.
La precocità degli interessi musicali del D., ed insieme la sua immediata adesione alle tendenze innovatrici di matrice fiorentina, sono testimoniate dal libretto Il carro di Fedeltà d'Amore, scritto all'età di venti anni e musicato dal Quagliati in occasione del carnevale rornano del 1606. Il breve componimento definito dallo stesso D. come "una delle prime azioni (per dir così) rappresentate in musica che in Roma si siano sentite; benché non vi intervenissero più che 5 voci e 5 instrumenti" (cfr. Discorso, Roma 1640, ripubbl. in Le origini...,A. Solerti, Torino 1903, p. 155) fu una delle prime "azioni drammatiche" in "stile monodico", a carattere profano, mai eseguite a Roma, di cuì oggi abbiamo notizia.
La particolare apertura culturale che sin dagli esordi caratterizzò l'eruditismo del D. acquista, anche sotto l'aspetto musicologico, un ulteriore arricchimento nel corso dei viaggi nell'Italia meridionale e in Oriente durante i quali venne compiuto il lavoro, in gran parte perduto, di raccolta e studio di canti popolari nel Napoletano, in Sicilia, Turchia, Egitto, Persia e India, in seguito divulgati in ambiente romano per opera dei D. stesso.
Al suo ritorno a Roma il D. riprese immediatamente gli studi musicali e letterari, riallacciando stretti rapporti con gli ambienti colti e mondani della città. Nel 1629 scrisse il libretto per La valle rinverdita, definita nel titolo Veglia drammatica da rappresentarsi in musica: stando ad una testimonianza del Doni (p. 64) nello stesso periodo il D. lavorò ad un componimento "in forma di dialogo" (tra Sofonisba e Massinissa), anch'esso disperso, concepito probabilmente - secondo A. Ziino (1980) - in stile madrigalesco.
Intorno al 1635 la sede dell'Accademia degli Umoristi si spostò nella casa del D., che divenne luogo privilegiato per incontri ed accademie musicali private. Più o meno allo stesso anno si può far risalire l'incontro con G. B. Doni, di importanza decisiva per il futuro sviluppo dell'attività musicale del D., che da questo momento si indirizzò quasi interamente verso lo studio della musica antica. Un interessante carteggio documenta per circa dieci anni (1637-47) il rapporto di reciproca stima ed amicizia che si venne ad instaurare fra i due eruditi, ed insieme l'evolversi degli esperimenti teorici e pratici comunemente intrapresi, rivolti al recupero dei "modi" e dei "generi" della musica greca e al loro ripristino nella pratica musicale contemporanea.
Dalle Lettere (in parte pubblicate dal Solerti) si apprende come l'atteggiamento del D. fosse inizialmente animato da una sorta di fetìcistica venerazione per il Doni e per le sue teorie. In seguito tuttavia l'entusiasmo si affievolì, a causa della sostanziale diffidenza con cui le nuove idee venivano accolte in ambiente romano, oltre che per il sorgere di difficoltà pratiche insormontabili. Già in una lettera del 17 dic. 1640 il D. scriveva: "questi signori Musici queste compositioni di nota contro nota le hanno per cose triviali, e difficilmente si troverà chi voglia applicarsi né a comporne né a cantarne. ... La difficoltà sta ne gli stromenti che non ci sono e non c'è chi li faccia; e senza essi la musica non vale.... Ne gli stromenti c'è poi un'altra difficoltà di più, che quel sonar per gli tasti neri, com'è necessario ne' Tuoni Eolio, Jonio e simili, si ha per difficilissimo e non c'è chi ne voglia sentire". Nelle lettere seguenti sembra crescere non solo lo scoraggiamento, ma anche qualche dubbio sulla validità di alcuni aspetti del sistema teorico dell'amico erudito fiorentino, e sulla sua reale possibilità di applicazione pratica. Nel complicato sistema di scrittura elaborato dal Doni ogni cambiamento di "Tuono", o modo, presupponeva un analogo mutamento di chiave: il D. cercò di semplificare tale procedimento rendendo ugualmente possibile la "varietà di tuoni", ma in maniera che "le parti non di meno non cambino mai chiavi", tramite l'opportuna aggiunta di segni grafici speciali. Anche il nuovo sistema del D. si rivelò però assai poco pratico, in quanto, a causa dei rapporti enarmonici che ne derivavano, obbligava l'esecutore a continue e complicate trasposizioni. Analogamente i nuovi strumenti fatti costruire dal D. - ossia il ".cembalo triarmonico" o "hessarmonico", il "violone panarmonico", i "violini delle, tre armonie", la "tiorba triarmonica" e la "chitarra co' tre manichi" - dopo alcuni sfortunati tentativi scomparvero ben presto dalla pratica romana. Il complesso "cembalo triarmonico" era munito di ben tre "tastature" differenti: alla "tastatura bassa" corrispondeva il modo ipolidio, a quella "mezzana" il modo dorio, infine alla "alta" i modi eolio, frigio e lidio.
Al "violone panarmonico" e al suo inventore il Doni dedicò un lungo capitolo nelle sue Annotazioni ("Discorso Quarto Sopra il Violone panarmonico al Signor Pietro Della Valle", pp. 34-36). Secondo il Doni fra i maggiori pregi di questo strumento vi era quello della "risonanza maggiore" - rispetto alle "viole comuni", i bassi di viola da gamba - in virtù delle notevoli dimensioni della cassa armonica; ma soprattutto era possibile "suonare tanti Tuoni, o' Armonie ... ch'è la perfetta unione con gli instrumenti di tasti", potendo agire su di una varietà di ben cinque "Accordi" o "Scompartimenti": ciò non era possibile, stando al Doni, nei normali bassi di viola, dotati di tastatura fissa. Il fallimento del "violone panarmonico" - sfortunato ma pur sempre interessante incrocio fra i bassi delle famiglie del violino e della viola da gamba - è testimoniato da più di una lettera del D. (cfr. in particolare le lettere del 10 nov. 1641, del 23 marzo 1641, e del 24 ag. 1647, ed. in Solerti, 1905).
Gli studi dei D. sulla "musica erudita" non si fermarono all'elaborazione teorica e alla sperimentazione organologica, ma si concretizzarono anche sul piano artistico e compositivo. Il Dialogo di Ester, per 5 voci, cembalo triarmonico, violone panarmonico e violini delle tre armonie- definito anche "historia sacra" o "oratorio" - è la prima composizione in cui il D. cerca di applicare l'insegnamento del Doni: il lavoro venne eseguito all'oratorio del Crocifisso in S. Marcello il 2 apr. 1641. Lo stesso D. commentò che "Ai dotti, et agli intendenti dell'arte, piacque assai; ma al volgo no, per la pochezza degli strumenti che vi erano" (cfr. documento 10 pubbl. da A. Ziino, 1967, pp. 107 ss.). Il documento testimonia il carattere squisitamente erudito di tale musica; e tale carattere venne mantenuto anche nelle successive composizioni ove "il gusto per le "novità curiose " della musica non è stimolato da una coscienza avanguardistica, ma semplicemente dal desiderio di apparire eccentrico ed originale; è, in breve, una manifestazione di singolarità ed esotismo" (ibid.).
Sempre al 1641 risalgono altri due lavori, il Dialogo della partenza e quello Per la festa della Santissima Purificatione, l'unica composizione del D. della quale si è conservata la partitura, in copia manoscritta: nel titolo è definito Dialogo in musica a cinque voci con varietà di cinque tuoni diversi cioè Dorio, Frigio, Eolio, Lidio, et Hipolidio, e dedicato al padre Girolamo Rosini della Congregazione dell'oratorio della Vallicella alla Chiesa Nuova.
Il breve "dialogo" è suddiviso in sei sezioni, ciascuna concepita per un numero gradualmente crescente di voci (da una a tre, fino al coro conclusivo a cinque), sovrapposte ad un basso continuo realizzato dal "cembalo triarmonico" e dal "violone panarmonico". I passaggi solistici sono scritti in quello che il Doni definì stile "recitativo arioso", con particolare effetto cromatico derivato dal repentino cambiamento dei modi. L'importanza della Purificatione è soprattutto di carattere storico-documentario più che artistico: si tratta di una delle prime composizioni scritte per essere eseguite in un oratorio, a cui sia stato applicato il termine specifico "oratorio" (alternato a "dialogo"), e di cui si sia conservata la partitura. In diversi contesti documentari il D. continua tuttavia ad usare ambedue i termini -"dialogo" e "oratorio" - indifferentemente, confermando "il passaggio e l'intima connessione tra queste forme, nel fatto e nella nomenclatura" già fatto notare dall'Alaleona.
Il Dialogo di Luys Camões (1649),ultima composizione del D., è concepito "con mescolanza di tutti tre i generi Diatonico, Cromatico, et Enarmonico e con varietà di sette Tuoni diversi". La partitura, dispersa, fu spedita dal D. a Lisbona, al re Giovanni IV di Portogallo, raffinato musicofilo e amante della "musica erudita", il quale in seguito si fece mandare anche un "cembalo triarmonico".
Come già intuì Charles Burney (IV, pp. 3548),la reale importanza del D. nella storia della musica non è legata tanto alla sua produzione musicale e ai tentativi di restaurazione della musica antica (a suo tempo criticati dal Berardi, p. 195), quanto soprattutto al celebre Discorso intitolato Della musica dell'età nostra che non è punto inferiore, anzi è migliore di quella dgll'età passata (1640), indirizzato a Lelio Guidiccioni. Questo scritto, unito alle già citate Lettere, e alle Note ... sopra la musica antica e moderna, indirizzato al Sig.r Nicolò Farfaro (1641), costituisce forse la più completa testimonianza storica e critica sulla vita e sulla produzione musicale romana del primo Seicento.
Nel Discorso il D. risponde polemicamente all'amico erudito Guidiccioni, che in precedenza si era mostrato convinto oppositore delle nuove forme musicali seicentesche, e nostalgico sostenitore della musica dei secoli precedenti. Di quest'ultima il D. contesta inizialmente la eccessiva e artificiosa applicazione delle tecniche polifoniphe: il "cantare troppo d'artifizio" non solo impedisce una corretta e limpida pronuncia, e soffoca il significato del testo poetico, ma ne sovverte anche il senso espressivo; "le composizioni de' maestri passati ... in effetto son belle musiche, ma musiche solo per note, non per parole". Al contrario i "maestri dell'età nostra ... più che negli artifizi sottili premono negli affetti, nelle grazie e nella viva espressione dei sensi di quello che si canta", se necessario trasgredendo le regole della tradizione: ciò ha portato, ad esempio, ad un più libero uso della dissonanza; l'"eccellenza de' moderni" non si esprime solo nelle "monodie" e nello "stile recitativo": il D. parla anche di "concertini a due, a tre, a quattro, e bene spesso anche di cori a più voci, e fin di turbe numerose di., più cori" impiegati dal Quagliati e da altri maestri nelle chiese romane, con imponente partecipazione strumentale. A nel "Sonar solo" strumentale che "più che in altre guise fanno bene tutti i maggiori artifici del contrappunto": a -tal proposito il D. nomina tutti i più grandi virtuosi dell'epoca, dai suoi celebri maestri a meno noti liutisti, violinisti e cornettisti,---fornendoanche preziose notizie sulla prassi esecutiva.
L'arte del "cantar solo", introdotta a Roma da Emilio de' Cavalieri, è descritta come "arte del piano e del forte, del crescere la voce a poco a poco, dello smorzarla con grazia, dell'espressione degli affetti ... e di altre galanterie, che oggidì dai cantori si fanno in eccellenza bene ...", quali il "buon mettere di voce" e la "giudiziosa" esecuzione degli ornamenti. Segue una lunga lista di cantanti solisti e compositori del tempo attivi a Roma, arricchita da puntuali annotazioni a carattere biografico, estetico e da ulteriori osservazioni pratiche. Gli ultimi generi musicali presi in considerazione dal D. sono le "composizioni ecclesiastiche" e l'"oratorio". Pur ammirando le messe del Palestrina, il D. afferma che "queste cose si hanno ora in pregio non per servirsene, ma per conservarle e tenerle riposte in un museo come bellissime anticaglie". La conclusione dei Discorso, dedicata al Doni e alla "musica erudita", dimostra ancora una volta come "il recupero della musica antica nel pensiero di Della Valle non si pone affatto in chiave alternativa ... ma come arricchimento in chiave 'colta' del linguaggio musicale allora in uso", (Ziino, 1967).
Questa posizione è ulteriormente chiarita e sviluppata nelle Note indirizzate al Farfaro, uno dei tanti eruditi del tempo che si professava contrario alla moderna musica "ornata", e nostalgico sostenitore della musica antica, di cui però non riteneva possibile l'esatta ricostruzione. Tra i vari argomenti tecnici affrontati nella discussione, di particolare interesse risulta quello riguardante la divisione dell'ottava in semitoni uguali, sistema di temperamento già conosciuto e usato al tempo dei Greci, a cui però il D. si dichiara contrario.
Opere e scritti di argomento musicale: Della musica dell'età nostra che non è punto inferiore, anzi è migliore di quella dell'età passata ("al sig. Lelio Guidiccioni", 16 genn. 1640), pubbl. in G. B. Doni, Trattati di musica, a cura di A. F. Gori, Firenze 1763; ripubbl. in A. Solerti, 1903; Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. It., cl. VI, 181: Note sopra la musica antica e moderna (in risposta a N. Farfaro, Roma 1641); Firenze, Bibl. d. conservatorio, Lettere a G. B. Doni, pubblicato parzialmente in Solerti, 1905; Il carro di Fedeltà d'Amore (libretto), Roma 1611, ripubbl. in Solerti, 1903, Modena, Bibl. Estense, Fondo Campori, La valle rinverdita ... Veglia drammatica (libretto, Roma 1629), pubbl. in Solerti, 1905; Roma, Bibl. naz., Mss. Musicali 123: Per la festa della Santissima Purificazione. Dialogo in musica (partitura, Roma 1940).
S. La Via
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C. Micocci
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S. La Via