PIETRO di Anagni, santo
PIETRO di Anagni, santo. – Nacque a Salerno agli inizi dell’XI secolo da famiglia imparentata con la dinastia principesca longobarda. Rimasto orfano, da fanciullo entrò nel monastero cittadino di S. Benedetto, dove trascorse la giovinezza ricevendo una formazione giuridica ed ecclesiastica e dedicandosi, nel contempo, all’esercizio delle virtù monastiche.
È da escludere che Pietro sia stato abate di S. Benedetto, tesi sostenuta a partire da Costantino Caetani (Acta Sanctorum, p. 230) e ripresa da alcuni storici anagnini (soprattutto da Ambrosi de Magistris, 1889, p. 358) e salernitani (Balducci, 1968-83, pp. 35 s., che ipotizza un abbaziato di Pietro tra il 1051 e il 1059). Essa si basa su un generico riferimento, contenuto in una lettera di Pier Damiani (ed. in Die Briefe des Petrus Damianus, hrsg. K. Reindel, Teil IV, nr. 151-180, Register, Munchen 1993 [MGH, Die Briefe der Deutschen Kaiserzeit, 4], n. 158, p. 86, 1).
Trasferitosi a Roma tra il 1049 e il 1062, su richiesta di Ildebrando di Soana (che lo conobbe in occasione di una legazione a Salerno), Pietro si dedicò per qualche tempo papalibus negotiis ecclesie con funzioni non bene determinabili, ma probabilmente non direttive (cfr. Vita s. Petri, a cura di R. Grégoire, 2006, p. 34: è il testo agiografico concernente Pietro, fonte quasi esclusiva delle notizie su di lui). Di lì a poco (1062) fu nominato da Alessandro II vescovo della sede (da lungo tempo vacante) di Anagni, una carica che tenne fino alla morte.
L’assunzione di una carica episcopale dopo un periodo di formazione presso la Curia è uno schema che vale anche per altri vescovi laziali coevi designati direttamente dal papa o dal suo entourage, come Bruno di Segni (1050 circa-1123; cfr. Toubert 1973, II, p. 815). Nel caso di Pietro vi fu probabilmente l’intervento di Ildebrando (ibid.) e forse di Desiderio, abate di Montecassino (Carcione, 1986, p. 75). Egli sarebbe successo a Bernardo cancellarius papale nel 1061 (Cappelletti 1847, p. 302). È stato ipotizzato anche (Cappelletti 1986, p. 163) che Pietro, durante il suo soggiorno presso la Curia romana, abbia svolto un apprendistato presso lo stesso Bernardo, circostanza che spiegherebbe la nomina episcopale presso la sede anagnina e non altrove.
I primi tempi dell’episcopato furono caratterizzati dall’impegno di Pietro nella restaurazione materiale dell’episcopato di Anagni, consistente soprattutto nel recupero di diritti, privilegi e possessi usurpati durante il governo dei suoi predecessori. Probabilmente tra i suoi sforzi ci fu anche quello di rendere effettivo il controllo sulla diocesi di Trevi, soppressa da Niccolò II per il suo scarso patrimonio e incorporata ad Anagni, come ribadiscono nonostante le resistenze locali i papi successivi (Italia pontificia, 1961, p. 137; Cappelletti, 1986, p. 170).
La Vita s. Petri colloca già agli inizi del suo episcopato la valorizzazione del culto di s. Magno, un presunto martire di Trani le cui reliquie, secondo una tradizione locale (che differiva da quella romana che le voleva deposte a Castel Sant’Angelo da Carlo Magno: Licciardello, 2010, p. 619), sarebbero state traslate in epoca imprecisata da Veroli ad Anagni.
Il recupero dei beni territoriali illecitamente sottratti alla Chiesa anagnina impegnò Pietro nel periodo successivo ed egli riuscì a riportare sotto il controllo episcopale il territorio castri Uici Morraceni (Vico Moricino, a circa quattro miglia da Anagni), distrutto e spopolato («Romanorum quondam depopulatione», Vita s. Petri, cit., pp. 36, 137 s.) e successivamente provvide anche a fortificare le chiese di S. Maria de Lisa, S. Bartolomeo e S. Clemente de Griciano.
Secondo il testo agiografico, nel decennio successivo Pietro sarebbe stato inviato presso l’imperatore bizantino Michele VII Ducas (1071-1078) «pro concordia fidei et agendis ecclesie» (Vita s. Petri, cit., p. 37). Ma la circostanza è molto dubbia; è stato osservato che la qualifica attribuitagli per l’occasione dall’agiografo (apocrisario apostolico) non solo era anacronistica nell’XI secolo, ma anche tradizionalmente riservata al diaconato romano, al quale Pietro non apparteneva (Grégoire, 2006, p. 19).
Tuttavia è stata rilevata la plausibilità del contesto: la legazione potrebbe inserirsi entro i progetti di pacificazione romano-bizantina di Desiderio abate di Montecassino e nell’ambito delle trattative intercorse tra Michele VII e Roberto il Guiscardo per il matrimonio tra Costantino e Olimpiade, figlia del duca normanno; mentre il presupposto dell’utilizzo di Pietro da parte del Cassinese si spiegherebbe all’interno dei presunti rapporti tra lo stesso Desiderio e il vescovo di Anagni (Carcione, 1986, pp. 79-83). Si è anche ipotizzato, però, che la legazione costantinopolitana fosse stata il frutto di un’elaborazione agiografica anagnina tesa ad attribuire a Pietro meriti spettanti a omonimi: un Pietro di Amalfi, infatti, aveva fatto parte della delegazione pontificia di Leone IX presso Michele Cerulario nel luglio del 1054.
Prima o dopo la presunta missione costantinopolitana, Pietro aveva assistito, nel 1071, alla consacrazione della nuova basilica desideriana a Montecassino, anche se, come per altri prelati, il suo nome non è precisato (Chronica Casinensis, a cura di H. Hoffmann, Die Chronik von Montecassino, in MGH, Scriptores, XXXIV, Hannover 1980, p. 399). Ad Anagni, infine, egli intraprese la riedificazione della cattedrale, procedendo anche alla traslazione e a una nuova sistemazione delle reliquie dei santi Magno, Secondina, Aurelia e Neomisia.
Promozione dei culti locali, inventio e translatio di reliquie e attività edilizia sono del resto due facce della stessa medaglia, per lui come per altri vescovi coevi. Ma proprio l’impegno anche finanziario per la costruzione della cattedrale fu all’origine (durante il pontificato di Gregorio VII, 1073-1085) di aspre critiche rivolte a Pietro dall’ambiente anagnino.
In più punti della Vita si accenna (anche se in modo un po’ stereotipato) alle persecuzioni da lui subite nell’esercizio della sua funzione (pp. 43, 358 s.), ostilità che continuarono anche dopo la morte, quando un chierico falso corporis abitu profanò una sua reliquia e mise in dubbio la sua santità (pp. 48, 513-520). Tali opposizioni sono state interpretate come provenienti soprattutto da chierici antigregoriani. In particolare egli avrebbe avuto come nemici alcuni personaggi quali Hugues de Remiremont, cardinale vescovo di Palestrina, seguace dell’antipapa Clemente III e parte attiva negli attacchi condotti contro Gregorio VII nell’inverno 1075-76, nonché lo stesso antipapa. Infatti Urbano II risiedette ad Anagni più volte durante l’episcopato di Pietro, un «vescovo fedele a fronte di una Campagna romana che tanto fra i chierici quanto fra i laici era in buona parte schierata col partito imperiale» (Cappelletti, 1986, pp. 168 s.). Si è anche ipotizzato, infine, che tra i suoi nemici ci fossero Ildimundus e Landus, scomunicati da Gregorio VII nel 1080 (ibid., p. 170).
Le ostilità lo avrebbero spinto a lasciare la sede anagnina e a seguire – per quanto fosse ormai molto anziano – Boemondo d’Altavilla nella prima spedizione crociata. Anche in questo caso la fonte è la sola Vita s. Petri e il dato risulta estremamente incerto.
Né è dimostrabile l’ipotesi pur suggestiva avanzata dal Cappelletti (1986, p. 153) che Pietro possa aver preso parte a una seconda legazione in Oriente presso Michele di Serbia, sostenuta anche sulla base del fatto che nella Vita s. Petri si rilevano oscillazioni nella qualificazione di Michele VII (imperatorem grecorum, imperatorem illiricum, grecorum principem), rivelatrici di una possibile sovrapposizione tra questi e Michele di Serbia. Di conseguenza sono da revocare in dubbio anche la sosta compiuta da Pietro al ritorno da Costantinopoli, in Sicilia e presso Rogerius novus rex (Vita s. Petri, cit., p. 41), dal quale ottenne ulteriori donativi per la cattedrale, poiché Ruggiero divenne re di Sicilia solo nel 1130; e così pure la successiva tappa salernitana presso il monastero di S. Benedetto, prima del ritorno ad Anagni ove, completati i lavori della cattedrale, fece costruire una cappella in onore del Salvatore e di s. Benedetto, consacrandola lui stesso, riservando in essa uno spazio per sé dove potersi dedicare a pratiche religiose e di studio e predisponendo anche un’area destinata all’accoglienza di ospiti e pellegrini.
Morì il 3 agosto 1105.
Il suo è il caso tipico di un intreccio quasi inestricabile, e metodologicamente molto delicato, tra deboli dati biografici storicamente documentati e ricostruzione agiografica prevaricante e per giunta tarda (la redazione pervenutaci della Vita risale al 1325 circa), che tende a inserire il presule in un contesto di rapporti internazionali alti e nobilitanti e a renderlo destinatario di donativi il cui presupposto era evidentemente la fama di virtù e di santità di cui si era circondato.
Il 4 giugno del 1109 (o 1110) Pasquale II emanò un diploma di canonizzazione di Pietro, rivolto ai vescovi di Anagni e della Campagna, nel quale richiamò le virtù e i miracoli del prelato, precisando che essi erano stati fedelmente annotati da Bruno vescovo di Segni e disponendo che la sua memoria si celebrasse il 3 agosto (PL, 163, col. 261B-C; si dubita della sua autenticità in Italia Pontificia, 1961, p. 138). Il testo di Bruno è andato perduto e, secondo quanto ipotizza Vincenzo Fenicchia (1944, pp. 262 s.), fu rielaborato da un chierico anagnino tra la metà del XII secolo e il 1181, cioè tra la morte di Oiolino, l’ultimo successore di Pietro citato nella Vita pervenutaci e ancora in vita nel 1141, e prima del 1181 (anno in cui fu canonizzato Bruno di Segni, che nel testo agiografico non è denominato santo).
Pietro è dunque ‘santo subito’, forse per una spinta puramente romana e papale (Toubert, 1973, II, p. 828), con la collaborazione di Bruno vescovo di Segni; ciò rientra bene nella politica di Pasquale II che aveva avuto a che fare con la ribellione di alcune città «della Campania romana sotto l’egida di Tolomeo di Tuscolo» (Cappelletti, 1986, p. 171). Del resto, anche l’assunzione all’episcopato di Pietro – in una sede povera e in una diocesi piccola, ma (come Segni) «di grande valore strategico» dal punto di vista territoriale (Barone, 2000, p. 164) e campo di sperimentazione privilegiato dell’azione riformatrice del Papato (Toubert, 1973, I, p. 75) – era molto funzionale alla politica papale. In questa prospettiva Pietro e Bruno di Segni sono stati visti come figure ideali dell’episcopato gregoriano, anche per la continuità tra l’esperienza monastica e l’ufficio episcopale (Toubert, 1973, II, pp. 811-813), come braccio locale del papato riformatore, sempre legati alla Curia e forse impiegati in missioni diplomatiche. Ma l’ulteriore marcatore specifico di Pietro sarebbe quella del costruttore, del restauratore materiale della sua diocesi. Una tesi convincente, benché forse troppo fiduciosa, nel caso di Pietro, delle informazioni desunte dalla Vita e dunque in buona parte irrimediabilmente ipotetica.
Fonti e Bibl.: La Vita s. Petri è inclusa nel Lectionarium per annum ad usum ecclesiae Anagninae, proveniente da Anagni, ma ora a Roma, Biblioteca apostolica Vaticana, Chig. C. VIII, cc. 195v-207v (ediz. critica in R. Grégoire, La memoria agiografica liturgica di Pietro da Salerno, in Pietro da Salerno (+1105), monaco benedettino e vescovo di Anagni, a cura di L. Cappelletti - A. Molle, Venafro 2006, pp. 32-50; per le precedenti edizioni: p. 31). Il testo fu trascritto due volte (1597 e 1604), dall’abate Costantino Caetani: cfr. Roma, Biblioteca Alessandrina, Mss. 94, pp. 353-366, e ms. H. 12, ff. 203-209. F. Ciammaricone, Santuario anagnino dove si leggono l’historie delli gloriosi santi..., Velletri 1704; G. Marangoni, Acta passionis, atque translationum S. Magni episcopi Tranensis, et martyris ex pervetustis codicibus, tum Casinensi; tum Anagninae basilicae cathedralis…, Aesij 1743; A. De Magistris, Istoria della città e Santa Basilica cattedrale d’Anagni, Roma 1749; G. Cappelletti, Le chiese d’Italia dalla loro origine fino ai nostri giorni, VI, Venezia 1847 (pp. 271-385 per la Chiesa anagnina); R. Ambrosi de Magistris, Storia di Anagni, I, Anagni 1889, pp. 338-373, II, Anagni 1900, pp. 9-41; V. Fenicchia, Intorno agli atti di San Pietro di Salerno, vescovo di Anagni nel secolo XI, contenuti nel Cod. Chigiano C. VIII.235, in Archivio della R. Dep. romana di storia patria, LXVII (1944), pp. 253-267; Italia Pontificia sive repertorium..., congessit P. F. Kehr, II, Latium, Berolini 1961, pp. 137 s.; V. Fenicchia, Magno, vescovo di Trani, santo, martire, in Bibliotheca Sanctorum, VIII, Roma 1966, coll. 552-557; A. Balducci, L’Abbazia salernitana di S. Benedetto, in Rassegna storica salernitana, XXIX-XLIII (1968-1983), pp. 1-78; V. Fenicchia, Pietro, vescovo di Anagni, santo, in Bibliotheca Sanctorum, X, Roma 1968, coll. 663 s.; P. Toubert, Les structures du Latium médiéval. Le Latium méridional et la Sabine du IXe siècle à la fin du XIIe siècle, I-II, Roma 1973, ad ind.; M. Simonetti, Sulla tradizione agiografica di S. Magno di Trani, in Il paleocristiano in Ciociaria. Atti del Convegno... Fiuggi... 1977, Roma 1978, pp. 95-122; F. Carcione, Pietro da Salerno e la sua missione presso l’imperatore bizantino Michele VII in Pietro da Salerno, 1986, pp. 65-92; S. Pietrobono, La formazione di Pietro da Salerno e il culto di S. Magno tra Campania e Lazio. Contributo storico-topografico, ibid., pp. 93-128; L. Cappelletti, Pietro da Salerno e la storiografia anagnina tra XVIII e XIX secolo, ibid., pp. 129-178; G. Barone, Tra Roma e Lazio. Vita religiosa e culto dei santi nel basso Medioevo, in Santi e culti del Lazio. Istituzioni, società, devozioni, a cura di S. Boesch Gajano - E. Petrucci, Roma 2000, pp. 161-173; L. Cappelletti, Su gli affreschi della cripta della cattedrale di Anagni, in Archivum Historiae Pontificiae, XL (2002), pp. 307-322; L. Cappelletti, Gli affreschi della cripta anagnina. Iconologia, Roma 2002; A. Degl’Innocenti, Agiografia latina, in Hagiographies. Histoire internationale de la littèrature hagiographique latine et vernaculaire en Occident des origines à 1550, V, Turnhout 2010, pp. 739-744; P. Licciardello, Agiografia latina dell’Italia centrale, 950-1130, ibid., pp. 601-619; J. Dalarun, Bérard des Marses (1080-1130). Un éveque exemplaire, Paris 2013; Id., Vie et miracles de Bérard éveque des Marses (1080-1130). Introduction, édition critique du texte latin et traduction francaise, Bruxelles 2013.