Olivi, Pietro di Giovanni
Filosofo e teologo (Serinhan, Béziers 1248 - Narbona 1298). Entrato a dodici anni nell'ordine francescano nel convento di Béziers, venne ancora novizio in contatto, come egli stesso ci dice, col mondo della religiosità rigoristica della Francia meridionale, allora appena uscita dalla tragica vicenda della guerra contro gli Albigesi. Su questo sfondo di fede intransigente, nel contrasto fra eresia, ancora presente e robusta nella sua opposizione alla Chiesa, e fede cattolica, tesa nello sforzo di recuperare le masse vacillanti o sfuggite all'ortodossia, va inquadrato l'O. per comprendere il rigore della sua figura spirituale, la fermezza delle sue idee, il senso scrupoloso della sua obbedienza all'autorità ecclesiastica.
Passato all'università di Parigi, vi ebbe maestri insigni nei tre bonaventuriani Guglielmo de la Mare, Giovanni Peckham e Matteo d'Acquasparta. Da ciò l'ammirazione profonda e devota per lo stesso Bonaventura.
Raggiunto il grado di baccelliere, l'O. rinunciò al magistero alla Sorbona, come egli stesso ci dice, per un intimo senso di umiltà, e iniziò, probabilmente subito, la sua opera d'insegnante negli studia dell'ordine, anche se ignoriamo dove e quando. In questi anni egli venne gettando le premesse di una febbrile attività di scrittore in tutti i campi della cultura religiosa del tempo, filosofica, teologica ed esegetica.
Proprio da quest'attività nacquero i suoi primi contrasti con le autorità dell'ordine: in particolare con fra Girolamo d'Ascoli, ministro generale fra il 1274 e il 1279, a proposito di alcuni scritti sulla Madonna, che fra Girolamo gli ordinò di bruciare ottenendo immediata ubbidienza.
Questo atto di umiltà, l'altezza del suo ingegno e la santità mai messa in dubbio della sua vita, posero l'O. in prima linea nell'ordine. Venne chiamato a Roma per esprimere un parere sulla povertà, insieme con altri teologi ed esperti francescani, in previsione delle precisazioni sulla regola che Niccolò III andava preparando e che determinò nella bolla Exiit qui seminat, del 14 agosto 1279.
Ben più gravi furono le accuse che contro l'ortodossia dell'O. vennero avanzate da sette maestri dell'ordine nel 1282. Ma non si dimentichi che questi anni furono caratterizzati da vivacissime dispute teologiche che posero in contrasto tomisti e bonaventuriani e poi, all'interno delle due scuole, i vari maestri della stessa tendenza. Questa vicenda dell'O. non va quindi interpretata in termini drammatici, come parecchie volte è stato fatto: si tratta di normali contrasti all'interno di un gruppo di teologi, esasperati e stizziti anche, come indicano alcune fonti, dalle posizioni rigoristiche dell'O. per quel che concerneva la vita dei frati minori.
La lettera di riprovazione e di denuncia, che ebbe forma e impostazione discutibile da un punto di vista giuridico - l'O. non fu preavvisato né chiamato a chiarire il suo pensiero -, ottenne, in un primo momento, una rispettosa accoglienza formale dal frate provenzale; ma ebbe, successivamente, un'ampia e articolata discussione con una pensosa quanto energica difesa in una Apologia, giunta fino a noi.
Il contrasto durò a lungo, ma l'O. ne uscì senza danni per gl'indubbi appoggi che ebbe dai ministri generali Arlotto da Prato e Matteo d'Acquasparta. Questi lo nominò nella primavera del 1287 lettore di teologia nello Studio generale di Santa Croce a Firenze, ove restò circa due anni, fin quando, cioè, non venne inviato all'importante università di Montpellier (1289) dal nuovo generale Raimondo Ganfridi, provenzale anch'egli, che ben lo conosceva.
I due anni di permanenza dell'O. a Santa Croce hanno avuto un'importanza eccezionale nella storia del francescanesimo italiano, e in particolare del francescanesimo spirituale. L'O.. vi portò una consapevolezza teorica delle proprie esigenze di vita e delle proprie idee che prima mancava quasi del tutto.
Gli spirituali italiani, infatti, ricavavano i motivi della loro posizione in seno all'ordine soprattutto dal ricordo ancora vivo, ma ormai sempre più evanescente, di s. Francesco e dalla ‛ tradizione ' dei suoi primi compagni; l'O., a tutto questo, aggiunse, per l'esperienza degli spirituali della Francia, una più precisa motivazione ricavata dalla riflessione teologica e scritturale su di un piano di sviluppo provvidenziale della Chiesa.
Lo stesso motivo gioachimitico, comune ai due movimenti, aveva avuto un ben diverso approfondimento: mentre in Italia aveva ispirato i due commenti - di modesto impegno culturale - su Geremia e Isaia e l'esasperato Introductorius in Evangelium aeternum di Gerardo di Borgo San Donnino, in Francia aveva avuto due personalità di eccezione, Ugo di Digne e appunto lo stesso O.: ambedue - ma specialmente quest'ultimo - avevano passato l'opera dell'abate calabrese al vaglio di tutto il complesso della cultura ecclesiastica con un impegno critico di eccezione che, naturalmente, molto aveva escluso ed eliminato, mantenendo solo l'essenziale, che si può sintetizzare nella necessità provvidenziale dell'ordine minoritico - realizzazione appunto della profezia di Gioacchino - e nell'attesa della vicina, anzi imminente azione di Dio, che condannerà la Chiesa carnale quando questa avrà fatto soffrire i veri fedeli e seguaci di Gesù Cristo.
Le idee dell'O. imporranno una svolta decisiva alle idee dei due più grandi spirituali italiani, Angelo Clareno e Ubertino da Casale. Entrambi faranno propri gli schemi delle idee oliviane; in particolare Ubertino attingerà a piene mani dall'O. per il suo Arbor vitae crucifixae Jesu, che nel suo quinto libro, almeno, riprende spesso alla lettera e per larghi tratti soprattutto il prologo della Lectura super Apocalipsim del suo maestro provenzale.
Senza poter ulteriormente entrare nei particolari diremo solo che da Santa Croce, in Firenze, l'O. entrò in contatto - documentato - anche con gli Spirituali e Toscani e Marchigiani (e più precisamente con Corrado da Offida) e che con loro rimase sicuramente in relazione epistolare anche dopo il suo ritorno in Francia. È, comunque, indubbio che Santa Croce rimase per lo scorcio del sec. XIII, per tutto il XIV e buona parte del XV il centro di diffusione del ricordo dell'O. e della conoscenza delle sue opere, che furono silenziosamente conservate e trascritte, nonostante le diffide, le minacce e le condanne più volte pronunciate nei capitoli generali dell'ordine francescano. Per l'O. e D. si veda più oltre.
Da Montpellier l'O. fu poi trasferito a Narbona, ove esercitò un'intensa attività pastorale, acquistando fama di santità, che largamente si diffuse, se a lui si rivolsero per conforto e aiuto spirituale i figli di Carlo II d'Angiò, allora trattenuti come ostaggi in Catalogna.
La vastissima produzione dell'O. si sviluppa nelle tre direzioni delle opere filosofico-teologiche, esegetiche e ascetiche. Senza poterne qui dare un elenco (che si può trovare del resto, ottimamente compilato, in D. Pacetti, Petri Joannis Olivi Quaestiones quatuor de Domino, Firenze 1954, 15-29) noteremo che in filosofia egli rimane legato al filone tradizionale agostiniano, qual era stato ripreso e approfondito da s. Bonaventura, anche se non mancano in lui spunti e posizioni del tutto originali, come la sua teoria dell'impulsus, in cui giustamente si è colto uno dei momenti iniziali della dinamica moderna, distinguendosi dalle posizioni aristoteliche.
Fu poi grande nell'esegesi, per cui elaborò e perfezionò il sistema detto delle Postille, per cui accanto alle tradizionali interpretazioni letterali, allegoriche, morali e anagogiche, venne aggiungendosi una serie di veri e propri trattati teologici che prendevano le mosse e la ragione dal testo biblico per illustrarlo e approfondirlo.
L'O. ha con questo metodo esegetico interpretato quasi tutta la Bibbia; ma i suoi grandi commenti sono quelli Super Genesim, Super Matthaeum, Super loannem, Super lamentationes Ieremiae e soprattutto il famosissimo Super Apocalypsim, la sua opera più amata e più detestata.
Ricche d'intensa, spesso fine spiritualità, sono le sue operette ascetiche, che, tradotte in volgare occitanico, hanno esercitato larga e profonda influenza anche sotterranea: basterà qui ricordare che il ben noto trattato De Vita spirituali di s. Vincenzo Ferrer è in gran parte ricavato dai Remedia contra tentationes spirituales appunto dell'Olivi.
Per quanto riguarda le relazioni tra l'O. e D. non riproporremo la questione più volte discussa di una conoscenza personale fra i due: impossibile pensare che D. abbia potuto trascurare o addirittura ignorare la presenza dell'O. nella sua Firenze; ma non possiamo certo precisare se e come questa conoscenza ebbe luogo. Non va, infatti, trascurata la circostanza - troppo sopravvalutata, ma non per ciò irrilevante - che in questi anni D. era preso, più che dagli studi di teologia, dal suo impegno di poeta stilnovista e dai problemi della vita cittadina. La conoscenza dell'O. fu, comunque, approfondita quando il poeta cominciò a frequentare le scuole de li religiosi, fra cui va inclusa, senza dubbio, appunto quella francescana di Santa Croce, che D. mostra di conoscere assai bene, se rammenta e nomina Ubertino da Casale e Pietro Pettinaio, due fra le personalità più caratteristiche e tipiche del convento francescano fiorentino.
Più difficile è il problema delle relazioni fra il mondo delle idee dell'O. e quello di D., in quanto il poeta non ricorda mai esplicitamente il frate nelle sue opere né sembra mai farne citazione indiretta.
Ciò premesso, bisogna però anche ricordare che la concezione che D. ha della storia della Chiesa si riconduce, nelle sue linee generali, alla concezione francescana spirituale d'impronta oliviana; e che l'interpretazione che D. svolge dell'Apocalisse mostra, in modo che non ci par dubbio, l'influenza del commento dell'O. sull'Apocalisse; e che, infine, le attese, le speranze e le profezie dantesche vanno anch'esse ricondotte al filone d'idee che fa capo al frate provenzale.
Va in proposito precisato come queste relazioni, cui avevano già pensato studiosi come il Kraus, il Tocco, il Salvadori, il Dempoff, il Buonaiuti e il Benz, siano state curiosamente negate - spiace dirlo e con rifiuti inconsistenti, anche da studiosi di valore come il Barbi o anche attenuati e sfumati da dantisti competenti in storia francescana come il Cosmo.
In realtà non basta dire, come fa il Barbi, che D. poteva giungere alle sue idee dalla sola lettura della Bibbia, quando sappiamo che l'interpretazione ufficiale della Bibbia - in specie per quel che riguarda l'Apocalisse - era ben diversa da quella di Dante. Le idee che la Curia romana fosse ‛ meretrix magna ' con cui hanno fornicato i principi della terra, che la cattedra di Pietro ‛ vacasse ' al cospetto del figliuol di Dio, e che presto la Chiesa sarebbe stata libera dall'adulterio, hanno un senso solo se inquadrate nella concezione francescano-spirituale della storia della Chiesa, quale l'impostò e la svolse appunto l'Olivi.
Anche la scelta di Bonaventura per il canto XII del Paradiso e per il giudizio sui francescani, allontanatisi dai loro veri maestri sia per rilassatezza, come Matteo d'Acquasparta, sia per coartazione della regola, come Ubertino da Casale, accosta D. all'Olivi. Questi aveva infatti professato sempre una filiale devozione a s. Bonaventura, di cui aveva continuato le idee e la spiritualità, diversamente da quel che avevan fatto e facevano gli spirituali d'Italia, assai polemici verso il loro antico maestro generale. L'O. inoltre aveva professato un'interpretazione rigorosa della regola, ma non ‛ coartante ', cioè coercitiva, proprio di tipo analogo a quello che s'intravvede dalle parole di Dante.
Non dobbiamo poi meravigliarci del silenzio sull'O. da parte di D.; in apparenza il frate provenzale sembra scomparire anche dal ricordo di Santa Croce; ma poi sappiamo, come si è già detto, che egli continua a essere presente per oltre un secolo e mezzo nella vita di quel convento. Basterà osservare che s. Bernardino da Siena, pur adoperando nelle sue raccolte di prediche le opere dell'O. con una larghezza di cui solo studi recenti hanno mostrato l'eccezionale entità, non lo cita mai nominativamente.
In realtà D. dovette ben presto venire a sapere dell'accanimento con cui dai primi anni del Trecento in poi venne perseguitata la memoria dell'O., furono condannati i suoi scritti, colpiti e poi dispersi, con l'aiuto dell'Inquisizione, i suoi seguaci della Francia meridionale.
Ci sembra di poter perciò concludere che l'ideale che D. ha della Chiesa, pur con tratti che gli son propri, come ad esempio quelli della convergenza delle forze imperiali con quelle della Chiesa per la salvezza del genere umano, è singolarmente vicino a quello dell'O., e che entrambi, contro la decadenza della Chiesa mondana, contro i compromessi col danaro e con la cupidigia terrena, hanno condiviso l'ideale della Chiesa spirituale, povera, perseguitata, ma proprio per ciò davvero simile al Cristo crocifisso.
Bibl. - L'O. è una conquista della moderna ricerca storiografica francescana; per cui rinviamo a E. Benz, Ecclesia Spiritualis. Kirchenidee und Geschichtstheologie der franziskanischen Reformation, Stoccarda 1934, 201-205; R. Manselli, La " Lectura super Apocalipsim " di P. di G.O. - Ricerche sull'escatologismo medioevale, Roma 1955 (con bibl.); C. Davis, D. and the Idea of Rome, Oxford 1957, passim (partic. pp. 239-243); R. Manselli, D. e l'" Ecclesia Spiritualis ", in D. e Roma, Firenze 1965, 115-135. Le relazioni fra l'O. e Ubertino da Casale con riferimento a D. sono discusse da R. Manselli, P. di G.O. ed Ubertino da Casale, in " Studi Medioevali " s. 3, VI (1965) 95-122.
Quanto agli studiosi precedenti che hanno intravvisto questi problemi e hanno intuito le linee essenziali della questione, si veda, oltre a un saggio di J. Von Döllinger, D. als Prophet, in Akademische Vorträge, Nordlingen 1881-1891, specialmente: F.X. Kraus, D. - Sein Leben und sein Werk, sein Verhältniss zur Kunst und Politik, Berlino 1897, 473 ss.; F. Tocco, Il canto XXXII del Purgatorio, in Lectura Fiorentina, Firenze s.a., 24 ss., che pubblica in appendice il capitolo XVII della Lectura super Apocalipsim dell'O.; G. Salvadori, Sulla vita giovanile di D., Roma s.a., 123-135 (sottolinea i rapporti con Ubertino); C. Huck, Ubertin von Casale und dessen Ideenkreis. Ein Beitrag zum Zeitalter Dantes, Friburgo in B. 1903, 70-107 (particolarmente per i rapporti di D. con Gioacchino da Fiore e Ubertino); E. Buonaiuti, D. profeta, Modena 1936². Non convincono, come abbiamo già accennato, le obbiezioni, che nascono da un'imprecisa conoscenza dei testi di questo mondo spirituale francescano, di M. Barbi, Il Veltro, il DXV e il gioachinismo francescano (1935), in Con D. e con i suoi interpreti, Firenze 1941, 299-303; U. Cosmo, L'ultima ascesa. Introduzione alla lettura del Paradiso, Bari 1936, 172-189. È interessante, infine, la posizione di B. Nardi, che è venuto sempre più accettando la relazione fra D. e il mondo ‛ spirituale ' pur sottolineando sempre le caratteristiche e le peculiarità del pensiero dantesco, per quel che concerne l'Impero: si veda particolarmente B. Nardi, Dal Convivio alla Commedia, Roma 1960, 133 e passim. Su questi problemi, in relazione alla poesia di D., cfr. anche N. Mineo, Profetismo e Apocalittica in D. - Strutture e temi profetico-apocalittici in D.: dalla Vita Nuova alla D.C., Catania 1968.