DINI, Pietro
Nacque a Firenze nella seconda metà del XVI secolo da nobile famiglia. Fu avviato alla carriera ecclesiastica dallo zio di parte materna, cardinale Ottavio Bandini, che divenne il suo protettore. Nell'Accademia della Crusca si chiamò il Pasciuto e nelle prose fiorentine abbiamo la testimonianza di una sua "cicalata" recitata il 10 ag. 1597, intitolata La nemicizia dell'acqua e del vino. Il suo prestigio nel mondo culturale fiorentino è testimoniato dal consolato del 1605 nell'Accademia Fiorentina.
Ben presto però il D. lasciò Firenze per raggiungere Roma, dove lo zio cardinale preparava per lui una brillante carriera ecclesiastica. Nell'aprile del 1611 insieme allo zio e ad un ristretto cerchio di prelati, tra i quali i monsignori Corsini e Cavalcanti, assisté nei giardini del Quirinale alle dimostrazioni di Galileo Galilei intorno alle macchie solari. Ebbe inizio in questo periodo l'amicizia del D. con lo scienziato pisano. La conoscenza del Galilei ravvivò in lui gli interessi di natura scientifica da sempre coltivati.
Conscio di avere un interlocutore capace di intendere le ragioni scientifiche del suo operare, il Galilei, il 16 febbr. 1615, scrisse al D., divenuto referendario apostolico, una accorata lettera denunciando la campagna diffamatoria in atto - con la complicità di alcuni padri domenicani - nei suoi confronti. In questa lettera, che seguì di pochi giorni la denuncia del domenicano Niccolò Lorini, egli raccomandò al D. di far pressione su padre Cristoforo Grienberger, professore di matematica nel Collegio Romano, e di far giungere al card. R. Bellarmino le prove della sua ortodossia religiosa. Rinnovò per questo l'invito a rileggere la teoria copernicana, ricordando che l'autore stesso, settanta anni prima, aveva dedicato la sua opera a Paolo III.
Ebbe inizio dosi un breve ma fitto scambio epistolare che durerà fino alla fine di maggio. In sintonia con quanto andavano facendo gli amici romani Giovanni Ciampoli e Federico Cesi, anche il D. nelle sue lettere raccomandava soprattutto cautela dichiarando peraltro la sua piena disponibilità e collaborazione. Egli sembrava affannarsi per tranquillizzare lo scienziato pisano al quale scrisse ben dieci lettere in meno di tre mesi. Il Galilei era costantemente informato degli umori delle autorità pontificie. Il card. Bellarmino per interessamento del D. si incontrò con padre Grienberger, come aveva espressamente richiesto il Galilei; lo stesso D. si preoccupava di sapere l'esito del colloquio e rassicurava il Bellarmino della ortodossia galileiana. Avvicinò il card. Barberini, che mostrava simpatia per il Galilei e per suo tramite gli consigliava di "parlar cauto e come professore di matematica". Nella risposta il Galilei protestava contro la riduzione della teoria copernicana ad ipotesi matematico-astronomica senza alcuna validità fisica. Il tono era misurato, ma si intuiva già la rivendicazione della indipendenza della scienza dalla religione. La situazione sembrava precipitare e nell'ultima lettera che il D. inviò al Galilei, il 16 maggio 1615, ribadiva la necessità della prudenza.
Si andava ormai delineando la posizione anticopernicana della Curia romana. Il Galilei non si rendeva conto della situazione, si rammaricava che le condizioni di salute non gli consentissero di potersi "valer della lingua in cambio della penna". Ribadiva le certezze della posizione copernicana e la possibilità di sconfiggere gli avversari. È l'ultima lettera di questo breve ma intenso carteggio: di fronte all'intransigenza galileiana, certamente preoccupato dei rischi cui si andava esponendo, il D. si faceva da parte; da questo momento solo in due occasioni e casualmente Federico Cesi e Giovambattista Rimiccini parleranno di lui al Galilei.
Nel 1621 Gregorio XV pose il D. a capo della Chiesa di Fermo, che, già sede vescovile, nel 1589 era stata eretta a dignità arcivescovile da Sisto V. Il D. vi era stato preceduto dallo zio Bandini e da Alessandro Strozzi, nipote anch'egli del Bandini. La cerimonia di insediamento nella arcidiocesi si svolse il 9 aprile.
Nell'importante centro marchigiano il D. continuò i suoi studi arricchendo in particolare la sua già fornita biblioteca con preziosi manoscritti. Si occupò molto della arcidiocesi promulgando leggi e disposizioni sui tribunali e sulle relative competenze territoriali. Ebbe particolarmente a cuore la difesa della moralità e delle tradizioni, non mancando di considerare gli aspetti economici della vita del territorio di sua competenza, stabilendo tra l'altro un calendario preciso delle fiere e dei mercati. Fece rimodernare e abbellire la chiesa di S. Filippo.
Morì a Fermo il 14 ag. 1625.
Fonti e Bibl.: G. Galilei, Opere (ed. naz.), V, pp. 291-305; XI, pp. 101 ss., 105-116, 343 s.; XII, pp. 144, 151 s., 155, 162 ss., 173-176, 181-185; XIII, pp. 165, 281; Notizie letter. ed istoriche intorno agli uomini illustri della Accademia Fiorentina, Firenze 1700, p. 285; S. Salvini, Fatti consolari dell'Accademia Fiorentina, Firenze 1707, pp. 358 ss.; F. Ughelli-N. Coleti, Italia sacra, II, Venetiis 1717, coll. 727 s.; G. Negri, Istoria degli scrittori fiorentini, Ferrara 1722, p. 463; M. Catalani, De Ecclesia Firmana eiusque episcopis et archiepiscopis, Firmi 1777, pp. 285 s.; G. Fracassetti, Notizie stor. della città di Fermo, Fermo 1841, p. 63; G. Abetti, Amici e nemici di Galileo, Milano 1945, pp. 109, 221; A. Banfi, Galileo Galilei, Milano 1961, pp. 142 s.; L. Geymonat, Galileo Galilei, Torino 1969, pp. 52, 86, 105, 109, 111; P. Gauchat, Hierarchia catholica..., IV, Monasterii 1935, p. 188.