DOLCE, Pietro
Nacque a Venezia, nella parrocchia di S. Marcuola, il 6 ag. 1604, primogenito dei tre figli maschi di Agostino quondam Giovanni Battista o Daniel e di Andriana Contarini.
Rampollo di una famiglia "cittadina originaria", la cui presenza a Venezia era stata oltretutto di notevole rilievo nel periodo precedente alla "serrata" del Maggior Consiglio (dalla quale risultò però esclusa), il D. si dedicò fin dalla giovane età a quella rapida e brillante carriera nelle fila della burocrazia statale che il lignaggio della sua casata e l'indubbia influenza del padre ebbero agevolmente modo di assicurargli.
Personaggio di grande prestigio, nonché di vaste ed altolocate aderenze, Agostino si adoperò infatti di persona affinché il D. si preparasse sin dall'adolescenza ad intraprendere una degna attività nella Cancelleria marciana. Alla prima occasione propizia, quando erano in previsione "elettioni di estraordinarii", fu infatti il potente genitore a caldeggiare formalmente, il 16 giugno 1622, l'elezione del D. a quel primo incarico, presentando un ampio memoriale nel quale, oltre alle testimonianze relative alla "cittadinanza originaria"del figlio e al suo essere frutto di matrimonio legittimo, venivano allegate molte informazioni sulla sua costante ed assoluta astinenza da qualsivoglia "arte mecanica", sul fatto che non era mai "stato notato di alcuna infamia" e, soprattutto, sul valido ed approfondito corso di studi che egli aveva seguito nella vicina Padova.
Forte della significativa raccomandazione, il D., il 6 luglio 1622, venne pertanto eletto "estraordinario". È possibile arguire, perlomeno a prestar fede alle fonti, che egli concentrò dapprima la sua attività in mansioni prevalentemente interne, non dovendo cioè, com'era d'uso per i membri della Cancelleria ducale, abbinare alle stesse frequenti soggiorni all'estero. Nel primo decennio del suo servizio, infatti, non risulta essersi mai mosso dalla sua città, e le uniche notizie che lo riguardano sono quelle dei suoi progressivi avanzamenti nella carriera burocratica. Con brillante celerità, e forse non del tutto indipendentemente da appoggi e calde raccomandazioni che la benevola ombra paterna certo gli garantiva, il D. divenne in effetti "ordinario" il 18 giugno del 1629 e segretario dei Pregadi l'8 giugno 1639.
Arricchito dalla grande esperienza nel frattempo maturata, solo dopo l'elezione succitata, che doveva essere per lui comunque l'ultima, il D. iniziò quel costante pellegrinaggio in Italia ed Europa che lo avrebbe tenuto lontano da Venezia per quasi tutto il resto della sua vita. In ottemperanza all'abitudine invalsa a Venezia di inviare membri della propria Cancelleria in qualità di residenti, facenti quindi funzione di ambasciatori veri e propri, il D. conseguì subito, senza passare per l'usuale trafila rappresentata dalla nomina in un primo tempo come semplice segretario, l'ambita designazione nella sede di Zurigo, che già era stata affidata a lungo a suo padre, e vi rimase dal 5 apr. del 1640 al 30 dic. del 1641.
Tornato a Venezia, il D. ebbe modo di rimanervi ben poco, poiché già il 3 giugno 1642 si ritenne di avvalersi della sua solerte perizia nell'espletamento della funzione di residente in una sede ancor più prestigiosa, quella di Napoli. Qui protrasse la sua permanenza fino al novembre del 1646. Più che nelle normali attività alle quali la sua qualifica lo chiamava, che a quanto pare svolse in ogni caso con la migliore efficacia, egli si impegnò prevalentemente nell'opera di restauro del palazzo di Venezia a Napoli.
A scorrere il fitto scambio di corrispondenza che intrattenne in quegli anni con i suoi superiori, balza subito evidente la grande importanza, in termini anche propagandistici, che il D. attribuiva a quella sorta di impegno preponderante che era divenuto per lui l'abbellimento, con il palazzo che ne costituiva l'emblema visivo, dell'immagine stessa di Venezia nella città partenopea. Interpellato dal principe Della Rocca circa i motivi dell'evidente fatiscenza della dimora veneziana, riferiva ad esempio il D. con notevole finezza alle autorità marciane, egli aveva prontamente risposto che le "grandi potenze" solevano differire alcune spese solo per "farle poi più magnifiche", e a mantenere senz'altro quella promessa egli finì col dedicare le sue migliori risorse.
Dopo numerose e pressanti richieste, il D. ottenne infine, nell'autunno del 1642, la tanto attesa autorizzazione da Venezia circa l'inizio dei lavori, e da quel momento in avanti si impegnò costantemente, dirigendo personalmente le maestranze e controllando materiali e conti spese, a far sì che essi venissero celermente e nel migliore dei modi ultimati.
Solo nell'ottobre del 1645 il radicale e definitivo restauro del palazzo fu portato a compimento, e il D., dopo non poche dispute con superiori che non sembravano gradire granché gli ingenti esborsi cui erano costretti, riuscì a realizzare il progetto per il quale non aveva esitato, e a più riprese, ad anticipare di tasca propria le spese.
Non solo di carattere architettonico furono comunque le occupazioni cui il D. si applicò in quegli anni; anzi, egli dovette dimostrare discrete capacità anche in altri settori se, scaduto definitivamente il suo mandato il 10 nov. 1646, gli venne richiesto di svolgere una missione in Puglia, della quale ci rimane memoria in una serie di dettagliati e minuziosi dispacci che inviò in patria da Molfetta e Barletta.
Rientrato a Venezia alla fine del 1646, al D. già pochi mesi più tardi, l'8 marzo 1647, fu imposto di dirigersi, sempre come residente, alla volta di Mantova. Tornato finalmente in laguna il 13 febbr. del 1648, dopo un mandato tutto sommato breve e caratterizzato da avvenimenti di normale amministrazione, il D. ritenne assai presto fosse giunto il momento di rivendicare, per sé e per la sua famiglia, un riconoscimento che sancisse pubblicamente i numerosi meriti a suo parere acquisiti. Il 9 giugno 1648 inoltrò, infatti, in forma di supplica, un circostanziato memoriale che, ricostruendo grado per grado la storia della sua casata, si concludeva con l'esplicita richiesta di ammissione di essa nei ranghi del patriziato.
L'ambito inserimento in questione, che rappresentava probabilmente per il D. il coronamento, in una dimensione sovraindividuale, di un'aspirazione a lungo coltivata, venne in effetti autorizzato solo nel 1657; ma in quella data, scapolo e senza figli, il D. era già morto, poiché l'offerta di 100.000 ducati che valse "il marchio della patrizia nobiltà in perpetuo" venne presentata dai suoi due fratelli Giovanni Francesco e Lodovico, e furono pertanto solo costoro, ed i loro eventuali eredi, gli effettivi beneficiari del provvedimento.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Avogaria di Comun. Cittadinanze originarie, busta 440, fasc. 80; Avogaria di Comun, busta 370, fasc. 99; Collegio, Risposte di dentro, 9 giugno 1648, in filza alla data; Senato. Secreta, Dispacci da Napoli, filze 59-64; Ibid., Dispacci Svizzera Zurigo, filze 37-38; Ibid., Dispacci da Mantova, filza 22; Ibid., P. Toderini, Cittadini, II, c. 749; Venezia, Biblioteca nazionale Marciana, Mss. Ital., classe VII, 1667 (= 8459): Elenco degli ordinari, estraordinari, Segretari di Pregadi e Cancellieri Grandi dal secolo XIII fino al secolo XVIII, c. 10 v.; Ibid., Mss. Ital., classe VII, 5 (= 7926): A. Zilioli, Le due corone della nobiltà viniziana, c. 50 v.; Ibid., Mss. Ital., classe VII, 926 (= 8595): M. Barbaro, Genealogie..., II, cc. 239-243; G. Pagano de Divitiis, Il napoletano Palazzo di Venezia, Napoli 1980, pp. 33, 35, 40-42, 60-68, 71, 73-76, 80, 88, 106.