DORIA, Pietro
Nacque a Genova agli inizi del secolo XIII da Oberto; suoi fratelli furono Nicolò, Lanfranco, Ansaldo e Tommaso.
Per ragioni cronologiche è certamente un suo omonimo (con ogni probabilità, il figlio di Barca, o Branca, morto prima del 1227) quel Pietro che comandò nel 1219 la flotta genovese, spedita in Egitto in soccorso dei crociati alle prese con l'assedio di Damietta. Sempre per motivi analoghi, non è possibile stabilire chi sia il personaggio che nel 1224 fu inviato dal Comune di Genova in Sardegna presso Mariano [II], giudice di Torres, per ottenerne l'alleanza, e che nel 1232, insieme con Guglielmo Pittavino, si accordò con Bonifacio II, marchese di Monferrato, a nome del Comune genovese, per la difesa di alcune strade montane. In questi anni, infatti, vissero a Genova altri membri della famiglia omonimi.
Il primo documento che ricordi con certezza il D. risale al 1227, quando fu testimone ad una commenda concessa da Ingo Grimaldi (18 settembre). Nel 1237 ottenne il suo primo incarico pubblico, venendo chiamato ad assistere la magistratura degli Otto nobili, per reperire le risorse finanziarie per il pagamento di vari ufficiali cittadini. Nella prima metà del secolo il D. organizzò una delle imprese commerciali più potenti di Genova, proseguendo l'attività del padre, ma riuscendo ad ingrandirne le proporzioni. Egli era affiancato ora dai fratelli, ora dal socio Poncio Riccio (di origine non genovese), ora da altri mercanti, in primo luogo Guido Spinola (inaugurando una collaborazione tra le due famiglie, destinata a reggere la città nel suo periodo più felice); egli agi sia come armatore, sia come finanziatore, sia come grande mercante.
Punto di forza della sua ditta fu la flotta privata, la cui ammiraglia era la "Paradisus magnus", capace di ospitare cento marinai ed impiegata tutti gli anni sulla rotta GenovaTunisi-Terrasanta. Oltre ad essa, il D. possedeva altre navi, tra cui è ricordata una "Paradisus minor" (in società con altri armatori), capace di trasportare settanta marinai.
Anche il fratello Nicolò (che nel 1250 si uni in matrimonio con Taddea, figlia di Federico Grillo) era proprietario di navi, come la "Regina" ed una "Paradisus minor", il cui equipaggio era formato da sessanta marinai; questa nave fu data a nolo nel 1248 a Iacopo da Levanto ed Ugo Lercari, ammiragli della flotta crociata voluta da Luigi IX, perché partecipasse all'impresa.
Di quest'anno è anche la prima missione della "Paradisus magnus" del D., diretta a San Giovanni d'Acri. Due anni dopo, sempre con la stessa destinazione, essa venne data a nolo ad una società di mercanti, che comprendeva anche due fratelli del D., Ansaldo e Nicolò (23 febbraio). Nel documento erano precisate le condizioni del nolo: la nave era locata a partire dal marzo successivo e dopo aver coMpiuto un viaggio a Monaco e ad Antibes, per caricare merce, nel caso in cui la situazione siciliana scoraggiasse il proseguimento per la Terrasanta, essa avrebbe dovuto fare scalo a Tripoli; sulla sua coperta non potevano essere imbarcati più di cento pellegrini diretti in Oriente. Nello stesso anno il D. risulta impegnato nella costruzione di un'altra nave; nel 1251, insieme col suo socio Poncio Riccio, egli noleggiò la sua "animiraglia" (fornita anche di venti balestrieri) ad un altro gruppo di mercanti, diretti a Tunisi e poi nel Mediterraneo orientale (1° agosto); anche la "Paradisus minor" venne data a nolo per caricare lana ed allume sempre a Tunisi (11 agosto), nel 1253 i comproprietari di quest'ultima nave, tra cui il D., la noleggiarono per un viaggio in Oltremare, prevedendo l'imbarco di balestrieri e di non più di cinquanta pellegrini (14 luglio). L'anno seguente la nave ammiraglia era destinata alla rotta orientale, ma si continuava a prevederne uno scalo a Tunisi, poiché il D. contrasse un cambio in bisanti tunisini (23 marzo).
Accanto all'attività armatoriale, il D. svolse quella di grande mercante, impegnato nel tradizionale scambio di merci tra Oriente ed Occidente mediterraneo. In modo particolare, i panni fiamminghi o francesi, giunti e immagazzinati a Genova, erano poi trasportati sui mercati orientali, dove venivano imbarcate le richiestissime materie coloranti e le spezie; all'interesse prioritario per questi prodotti il D. accostava (con la consueta poliedricità d'affari medievale) il traffico di merci di vario genere (come lana e pelli di capra).
Alcuni documenti possono contribuire a chiarire la sua attività: nel 1250 vendette legno di brasile (5 settembre); l'anno seguente consegnò ad un mercante una forte somma investita in chiodi di garofano e noce moscata, da vendere in Francia (10 febbraio); nel 1252 il SUO socio Poncio Riccio, anche a nome del D., comperò un carico di panni di Ypres (27 maggio); nello stesso anno egli ricevette una partita di panni di Arras (7 aprile).
Nell'intensa circolazione monetaria che animava la piazza genovese, il D. fu all'inizio finanziato da altri mercanti, per poi dedicarsi lui stesso al prestito di grandi dimensioni e al cambio.
Nel 1227, quando egli doveva essere ancora giovane, fu più volte finanziato da uomini d'affari genovesi; nel 1250 risulta essere socio di Guido Spinola, insieme col quale fu debitore di una forte somma a Guglielmo Mallono (11 gennaio); sempre insieme con lo Spinola, si accordò nello stesso anno con Opizzo ed Alberto Fieschi per un cospicuo cambio monetario in tornesi (iq dicembre); nel 1253 finanziò con una commenda Percivalle, figlio del fu Guglielmo Doria (23 settembre). I dissesti bancari che sconvolsero la città dopo la vittoriosa lotta contro Federico Il finirono in parte col coinvolgerlo, perché nel 1259 risulta creditore di Guglielmo Leccacorvo, il cui banco (forse il più potente in città) era clamorosamente fallito. Proprio la diversificazione degli investimenti (nel 1237 il D. risulta essere interessato alla Maona di Ceuta; egli era anche compartecipe nella gabella del Finale) dovette metterlo al sicuro da difficoltà insormontabili. Tuttavia, a differenza del padre Oberto, non sembra aver curato in modo particolare l'investimento terriero (si conosce un solo acquisto di terre da lui fatto, a Bavari nel 1247).
Vissuto negli anni difficili della lotta tra Genova ed Impero, di cui i Doria erano tradizionali alleati, egli non ebbe modo di rivestire cariche pubbliche di una certa importanza; solo nel 1242 è ricordato come consiliator, nell'atto in cui i visconti di Savignone giurarono la "Compagna" (7 maggio). Egli poté, tuttavia, continuare a risiedere in città e probabilmente si adoperò, alla fine delle ostilità, per la riconciliazione dei fuorusciti della sua famiglia (guidati da Manuele) coi guelfi vincitori, dato che nel 1250 lo vediamo in buoni rapporti con uno dei capi del partito guelfò, Alberto Fieschi. Negli anni seguenti il D. dovette appoggiare i tentativi compiuti per mettere in crisi il predominio guelfò; contemporaneamente apri la strada della carriera politica al figlio Oberto (cosi come ne aveva aiutato l'apprendistato mercantile), garantendogli l'appoggio del populus. Infatti (usando la terminologia sociale di Iacopo da Varagine, arcivescovo di Genova negli ultimi anni del secolo), pur appartenendo ai potentes della città almeno per tradizioni familiari, il D. non vantava interessi tali da diversificarlo dai divites, che costituivano il nerbo del populus genovese: ne il possesso di "ville" o castelli rivieraschi o nelle isole tirreniche (di cui sia il padre sia il D. si disinteressarono) né il controllo di cariche pubbliche, data la soffocante egemonia guelfa, sostenuta dall'invadente Curia papale e dagli Angiò. Nel 1251 è ricordato come consigliere nell'accordo tra Genova e Savona (13 febbraio); tre anni dopo, sempre con tale ruolo, avallò la scelta di Simone Embrono ad ambasciatore a Firenze (24 novembre).
Non abbiamo prove di un suo ruolo attivo nella rivolta popolare che portò alla creazione del capitano del Popolo con Guglielmo Boccanegra (1257); un qualche controllo sul regime, tuttavia, dovette essergli permesso dall'Ospitalità che il suo palazzo (ereditato dal padre) concesse al podestà. Quando nel 1262 la reazione oligarchica e guelfa abbatté il Boccanegra, questi si rifugiò proprio nella casa del D., forse implicitamente coinvolto nel fallito esperimento di regime democratico. Gli anni seguenti videro poi la folgorante carriera di Oberto, per cui il D. rimase ancora una volta nell'ombra. Nel 1264, insieme col fratello Ansaldo, assistette il nipote Pietro (figlio del fu Lanfranco) nel suo contratto nuziale con Adelasia, figlia di Guidetto Spinola (altro segno dello stretto rapporto tra le due famiglie, che saliranno al potere, sei anni dopo). Nel 1268 si impegnò in prima persona nell'allestimento della flotta crociata voluta da Luigi IX, re di Francia; il 27 novembre, con altri soci, egli diede a nolo ai rappresentanti del re la nave "Paradiso", impegnandosi a consegnarla per l'estate seguente.
Un Pietro Doria si imbarcò, come altri membri della famiglia, sulla nave; quando la flotta giunse al largo di Cagliari, i soldati francesi furono tranquillizzati sulla rotta, che si stava rivelando più lunga del previsto, proprio da costui, che esibi loro una mappa mundi, uno dei più antichi ricordi di mappe medievali. Non è possibile, tuttavia, stabilire chi sia il personaggio in questione, data la presenza a Genova di numerosi membri della famiglia con lo stesso nome.
Il D. mori prima del 1278; egli aveva sposato Mabilia Casiccia, figlia di Detesalve, da cui ebbe Oberto, Nicolò, Iacopo e Lamba.
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