DUODO, Pietro
Figlio di secondo letto di Luca di Pietro, del ramo a S. Angelo, e di Oria Bon di Alessandro di Scipione, nacque a Venezia nel luglio 1445. Sappiamo pochissimo della sua giovinezza: ventiduenne, nel 1467, sposò Contessa Grimani di Bartolomeo, trasferendosi in una casa a S. Sofia, nel sestiere di Cannaregio, portatagli in dote dalla moglie.
Secondo una prassi allora diffusa, separò cosi la propria esistenza da quella del fratello Gerolamo e dei fratellastri Tommaso e Cristoforo, il futuro procuratore di S. Marco; questo nonostante la famiglia fosse assai ricca: il padre, attivamente impegnato nel settore del credito mercantile, lasciò infatti numerosi beni sia a Venezia sia a Padova, e lo stesso D. avrebbe poi (1493) fatto sposare l'unica figlia, Oria, a Gregorio Barbarigo, del doge Marco.
Dopo il matrimonio il D. non rimase a lungo in città: il 4 genn. '68 entrò a far parte del collegio dell'Armamento, ma poi non ebbe più alcuna carica politica per oltre un decennio, la qual cosa induce a pensare ch'egli si sia dedicato alla pratica commerciale, sull'esempio dei fratelli, tanto più che, quando il suo nome torna a comparire nei documenti ufficiali, lo troviamo tra quelli dei comandanti di "mude": di Aigues-Mortes nel 1481, di Beirut l'anno seguente; ancora, a fine secolo il Sanuto riporta come il D. risultasse proprietario o, quantomeno, compartecipe nella proprietà di diverse navi, tra le quali una capace di ben 500 botti.
Era appena rimpatriato dal Levante allorché, nell'agosto 1483, venne nominato comandante delle fuste nel lago di Garda, col compito di provvedere alla difesa di quei luoghi, minacciati dal marchese di Mantova, nell'ambito delle operazioni collegate alla guerra del Polesine; l'incarico, che gli venne rinnovato nel giugno dell'anno seguente, non comportò problemi particolarmente gravi, e la condotta del D. riscosse il gradimento del Senato, al punto che nella primavera del 1485 gli fu affidato un compito di ben maggiore importanza, consistente nel comando delle navi armate che operavano tra il mare Jonio e l'Egeo per proteggere i convogli veneziani dagli attacchi dei Genovesi e dei pirati; trascorse in tal, modo un anno intero, quindi svernò in Sicilia e poi riprese il mare, alternando la scorta alle galere di Fiandra, che accompagnava fino a capo San Vincenzo, con il pattugliamento del tratto di mare compreso tra Candia ed il Peloponneso.
Al termine di questo periodo cosi intenso il D. tornò a Venezia, da dove non si sarebbe allontanato per qualche tempo, dedicandosi alla cura dei suoi interessi commerciali ed all'attività politica: il 18 ag. 1488 entrò a far parte dei provveditori al Sale, quindi fu savio di Terraferma per il semestre marzo-settembre nel 1491 e poi ancora nel '92; infine (11 maggio 1493) andò a Ferrara, per esercitarvi la carica di visdomino, sorta di governatore e, ad un tempo, rappresentante presso gli Estensi della numerosa e ricca comunità mercantile veneziana.
Nuovamente a casa, fu eletto savio di Terraferma per il primo, semestre del '95, ma l'evolversi degli avvenimenti collegati alla delicata situazione politica venutasi a creare in seguito alla spedizione italiana di Carlo VIII lo costrinse a lasciare nuovamente la sua città per assumere il comando di 600 cavalieri greci e albanesi che avrebbero dovuto collaborare con l'esercito della Lega. Una ducale all'ambasciatore a Roma, in data 9 maggio, avvisava che il D. "hinc jani triduum discessit preparatque Ravenne strathiotas ordinatos"; di li il mese seguente il contingente passò a Bologna e il 6 luglio prese parte alla battaglia di Fornovo.
Fu un successo parziale, come è noto, e a determinarne l'esito contribui almeno in parte anche il comportamento del D., sul quale ci restano testimonianze di segno opposto, ma tutto sommato tali da gettare più ombre che luci sulla sua condotta e la sua figura: al giudizio infatti, chiaramente favorevole, del suo segretario Antonio Vinciguerra, il quale, l'indomani della battaglia, ne sottolineava fl coraggio e l'energia ("è un Ettor moderno. Sta continoamente armato su la sela con i suoi Stradhiothi, per darli animo. Hieri gli passò davanti due bombarde: ringraziato Dio che l'ha salvato. Invero non bisognava altro huomo con questa nazione"), si contrappone quello, verosimilmente più credibile, del cronista Domenico Malipiero, cui pure dobbiamo la precedente testimonianza che sarcasticamente sottolineava la rapacità e la spregiudicatezza dei concittadino: "Se dise che Pietro Duodo, Proveditor de Stradiothi, ha tegnù 300 de loro per segurtà della so persona e ne ha mandà 300 a bottin. Dio ne aiuta: ogn'un attende al particolar e restemo miracolosamente vincitori".
In effetti un tale agire suscitò l'ira dello stesso comandante generale delle truppe venete, il marchese di Mantova Francesco Gonzaga, che, convocato il D. alla sua presenza, "se ha lamentà che 'l no habbia esseguido i ordeni che l'ha dà de combatter con i so Strdhioti, e che 'l ne habbia lassà andar 300 a far preda; e ghe ha ditto che per so colpa, Francesi no è restai rotti del tutto. E 'l Duodo giustificandosse, ghe ha ditto nel corso del so parlar, che n'anche lui ha fatto quello che 'l doveva far; e ch'era stà error investir esso primo 'l campo de Francesi, e lassar l'esercito senza governo. E 'l Governator ne ha scritto alla Signoria, e lo ha accusà de inobedientia". Fu subito richiamato in patria, dove giunse all'inizio di agosto: "et è vegnù a S. Marco, trionfante, in vesta de veludo cremesin in do peli; e dise che 'l giustificherà beneissimo le so cose" (ibid.).
C'è tutto il D., in queste annotazioni del Malipiero: un uomo energico e dinamico, capace di passare con disinvoltura dal comando di una galera a quello di un reparto di cavalleria, dal dibattito nelle assemblee di palazzo ducale alla dura vita del campo; e però avido e privo di scrupoli nell'approfittare di ogni situazione e perciò disposto a passar sopra alle sofferenze di popolazioni inermi, taglieggiate da soldati dediti alla rapina ed al sopruso; e poi ancora tenace e sicuro di sé, pronto a rintuzzare le accuse, a passare a sua volta al contrattacco, a meditare la vendetta (per tutta la vita rimase un irriducibile avversario del Gonzaga), forte delle protezioni familiari di cui sapeva di poter disporre, cosciente sempre della propria lucida intelligenza, dell'innata capacità di persuadere gli uomini e di guadagnarsene la fiducia grazie ad un'indole apparentemente spontanea e cordiale.
Dunque il D. non subi conseguenza alcuna per le accuse del suo comandante; nell'agosto del '96 fu anzi eletto avogador di Comun, quindi savio alle Acque, e nell'aprile '98 entrò a far parte dei savi di Terraferma; non esercitò a lungo l'incarico, giacché il 20 giugno venne nominato provveditore delle truppe che sostenevano Pisa contro i Fiorentini.
Venezia aveva preso su di sé la difesa della città, ma le cose si erano subito messe male: nell'Arno la flotta poco poteva e sul fronte terrestre le operazioni registravano fortune alterne; il D. parti provvisto di molto denaro, ma appena giunto sul posto non tardò a rendersi conto della gravità della situazione: praticamente egli non scrisse lettera al Senato con cui non chiedesse sovvenzioni e rinforzi; poi, dopo che alcuni suoi uomini fatti prigionieri gli vennero restituiti con le mani tagliate, fu preso dalla paura e non usci più dalla cinta muraria: scrive il Sanuto ch'egli orinai "havia una mala fama, et tutti si lamentava et de pusilanimo et pocho governo". In ottobre si ammalò di febbri e chiese il rimpatrio; questo gli fu prontamente accordato, ma la debolezza gli impedi di mettersi in viaggio; in pratica, egli lasciò Pisa solo nella primavera del '99, assieme al contingente veneziano, che il Senato aveva deciso di ritirare.
Neppure questa volta l'operato dei D. appariva esente da censure, pure la sua relazione venne'accolta positivamente e, a conferma di ciò, nel giugno del 1500 Ottenne il saviato di Terraferma; fu quindi consigliere ducale, tra gli elettori dei doge Leonardo Loredan (30 sett. 1501), membro del Consiglio dei dieci, savio del Consiglio: una carriera ricca di prestigio, dunque, nell'ambito delle massime cariche dello Stato (il 19 dic. 1501 era stato anche proposto alla dignità procuratoria), e che si spiega più con la forte personalità del D. che con gli effettivi meriti (tra l'altro, proprio in questo tomo di anni si vociferò di un presunto ammanco di pubblico denaro verificatosi durante il suo esercizio di savio cassiere).
Nel 1502 rifiutò sia la luogotenenza della Patria del Friuli sia un'ambasceria presso il sultano; l'anno seguente fu consigliere per il sestiere di Cannaregio, e il 6 dicembre venne eletto capitano a Cremona, allora veneziana, dove si occupò particolarmente delle strutture difensive. Rimpatriato nel settembre 1505, di li a poco entrò a far parte del Consiglio dei dieci, e in tale veste - riferisce il Sanuto - il successivo 4 gennaio "andò a la Signoria, cridando era stà trovù la partida manchava, quando lui fo cassier…, ergo sier Pietro Duodo fo restaurato di l'onor et dil danno", Fra il 1507 ed il 1509 fu ancora consigliere ducale, savio del Consiglio, membro dei Dieci, dimostrando un atteggiamento sostanzialmente moderato e prudente in politica estera, ma bene attento a tutelare le posizioni veneziane in Levante.
Era consigliere ducale quando sopraggiunse la rotta di Agnadello: il Senato deliberò subito la nomina di due provveditori in campo, uno con sede a Brescia e l'altro a Verona; poiché i primi eletti rifiutarono, la scelta cadde rispettivamente su Cristoforo Moro e sul Duodo.
Ma ecco in proposito il Sanuto: "Li qualli rimasti, il Duodo si levò davanti il principe, et disse forte, che tutto il pregadi l'udite, che non havia bramà altro, e acetava ben e volentiera …. Et tutti di pregadi se indolzi …. Et in quell'horra 22 si veneno zoso di pregadi per andar questa notte via. Et venendo, era piena la corte di patricij, tutti li laudava".
Senonché a Verona il D. poté fare ben poco: a fine mese la città si diede agli Imperiali e il D. dovette riparare a Treviso, dove poteva contare sulle truppe di Andrea Gritti. accampato tra Mestre e Cittadella; ma già all'inizio di agosto veniva nominato in sua vece Pietro Marcello, "perché sier Pietro Duodo si porta male a Treviso; niun lo lauda, sta sempre in casa et poco provede", e ancora una volta gli si attribuirono soprusi e derubamenti.
L'ostilità che lo circondava fu manifesta quando, il 10 agosto, si presentò in Collegio a riferire, e non fu lasciato terminare il discorso. Tuttavia ancora una volta il D. riusci a recuperare il credito perduto presso i concittadini, al punto che due mesi dopo venne chiamato a far parte della zonta del Consiglio dei dieci.
Una prodigiosa rinascita che non mancò di stupire lo stesso Girolamo Priuli, il quale a proposito del D. annotava: "in tuti li regimenti, che sempre havea habuto et hera stato, sempre hera ritornato cum vergogna indriedo et lamenctatione deli populi per aversse diportato male. Tamen, perché havea bona lengua et hera molto agratiato cum li nobelli veneti, faceva le, sue pratiche et subito ritornava in la sua pristina reputatione, et se dismentichava deli sui mali portamenti passati".
Savio del Consiglio, consigliere ducale, membro del Consiglio, dei dieci tra il '10 ed il '12, dimostrò in diverse occasioni un atteggiamento antiromano e, più in generale, antiecclesiastico, che mantenne anche verso i regolari padovani, allorché nel luglio 1512 fu inviato come podestà nella città euganea, la quale praticamente costituiva la base operativa per le truppe impegnate nel Veronese ed in Polesine.
A Padova si spense dopo breve malattia, dovuta ad una infiammazione della pleura, la notte tra il 18 ed il 19 apr. 1513; ancora una volta è il Sanuto ad informarci, ma senza alcun commento sull'uomo: "cussì fo portato qui in una cassa el suo corpo e posto in una cassa in chiexia, e il zorno seguente fu sepolto a la Misericordia".
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Misc. codd., I, St. veneta 19: M. Barbaro-A. M. Tasca, Arbori de' patritii…, III, pp. 375, 379; Ibid., Avogaria di Comun, reg. 107: Cronaca matrimoni, c. 118v; Venezia, Bibl. del Civ. Museo Correr, Cod. Cicogna 3781: G. Priuli, Pretiosi frutti…, I, c. 271r; Ibid., Mss. P. D. 110 c: Famiglia Duodo, cc. 3r, 7v. Per la carriera politica cfr. Arch. di Stato di Venezia, Segretario alle Voci. Misti, reg. 6, cc. 16, 27, 84 s. 110, 132; reg. 15, c. 137r; Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. It., cl. VII, cod. 198 (= 8383): Reggimenti, cc. 108v, 262r, 266v, 335v; sull'attività di comandante delle navi armate nel Mediterraneo, Arch. di Stato di Venezia, Senato. Delib. secreta, reg. 32, cc. 150v, 157v; reg. 33, c. 50r; sui saviati di Terraferma del 1491-92, ibid., reg. 34, cc. 96r, 115v; sulla campagna militare del '95, ibid., reg. 35, cc. 69v, 109v, 112v, 117r, 125v, 145rv, 155r, 156v, 211v; sul capitanato a Cremona, Ibid., Capi del Consiglio dei dieci. Lettere di rettori, b. 72bis, n. 75.
Per l'attività economica cfr. Venezia, Bibl. del Civ. Museo Correr, Mss. P. D. C 2169/17; Mss. P. D. C 2445/11, 13, II; Mss. P. D. C 2467/II. Cfr. inoltre: A. Navagero, Historia veneta…, in L. A. Muratori, in Rer. Ital. Script., XXIII, Mediolani 1733, coll. 1205, 1214; G. Priuli, I Diarii, in Rer. It. Script., 2 ed., XXIV, a cura di A. Segre, p. 198; P. Bembo, Rerum Venetarum historiae, in Degl'istorici delle cose veneziane…, II, Venezia 1718, pp. 125, 186; M. A. Sabellico, Historiae rerum Venetarum ab urbe, condita, ibid., p. 851; M. Sanuto, Commentarii della guerra di Ferrara…, Venezia 1829, pp. 94, 132; D. Malipiero, Annali veneti, a cura di F. Longo-A. Sagredo, in Arch. stor. ital., VII (1843), 1, pp. 299, 349, 360, 362 s., 370, 376 s., 379, 506, 517, 530, 551; M. Sanuto, Diarii, I-XVI, Venezia 1879-1886, ad Indices; I Libri commemoriali della Repubblica di Venezia. Regesti, a cura di R. Predelli, VI, Venezia 1903, pp. 33, 35, 44, 49, 108; Petri Delphini Annalium Venetorum pars quarta, a cura di R. Cessi - P. Sambin, Venezia 1943, pp. 137, 162, 229; Acta graduum academicorum Gymnasii Patavini ab anno 1501 ad annum 1525, a cura di E. Martellozzo Forin, Padova 1969, p. 226; E. A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, II, Venezia 1827, pp. 262 s.; III, ibid. 1830, p. 417; VI, ibid. 1853, p. 587; Mantova. La storia, II, Da Ludovico secondo marchese a Francesco secondo duca, a cura di L. Mazzoldi, Mantova 1961, pp. 149, 176, 178.
G. Gullino