DURANTE, Pietro (Piero o Piero Antonio)
Appartenente a una famiglia di notai, nacque a Gualdo Tadino (Perugia) presurnibilmente intorno al 1450 e vi mori verso il 1510: al 1507 si interrompono i rogiti notarili di sua mano iniziati nell'anno 1472 ed ora custoditi nell'Archivio notarile antico di Gualdo Tadino. Scarse le notizie che si hanno sulla sua vita: oltre al fatto che esercitò la professione di notaio, sappiamo che ebbe due figli, Magio e Massimino, che come il padre furono notai e rogarono rispettivamente dal 1527 al 1551 il primo, dal 1524 al 1525 il secondo.
La discreta notorietà legata al nome del D. non fu però dovuta alle qualità di notaio quanto ad un fortunato (almeno stante il numero delle edizioni) poema cavalleresco, che pubblicò nel 1508 con il titolo di Libro chiamato Leandra, "libro d'arme e d'amore". Ilpoema, appartenente al ciclo carolingio, su cui si innestano secondo una tradizione tipicamente italiana i motivi delle peregrinazioni in Oriente e dell'amore, propri del ciclo bretone, riveste una particolare importanza bibliografica in quanto è divenuto molto raro, nonostante le numerose edizioni dal XVI al XVII secolo: alla prima cinquecentina rarissima (un esemplare è ora appartenente alla Biblioteca Trivulziana di Milano), "in Venetia per jacopo da Lecho stampatore nel 1508 a di 23 del mese di marzo", fecero seguito ben venti edizioni veneziane con poche variazioni nel titolo (1517, 1521, 1534, 1536, 1541, 1549, 1550, 1551, 1553, 1556, 1562, 1563, 1565, 1568, 1569, 1587, 1612, 1629, 1669, 1678, 1683), più una edizione di Lucca, Marescandoli, e di Verona, Bartolomeo Merlo, senza data, e una citata da N. F. Haym (Bibl. italiana, Milano 1803, II, p. 146), senza anno né luogo di stampa. In conclusione ventiquattro edizioni, di cui ben sedici in tutto il Cinquecento, testimonierebbero di una fortuna che non viene cancellata neppure dalla fama di Pulci e Boiardo fino all'indiscussa sovranità di Ariosto.
In effetti La Leandra, pur appartenendo ad una mediocre produzione letteraria umbromarchigiana, rappresenta per più motivi un poema interessante. Prima di tutto per la data abbastanza precoce di pubblicazione, in secondo luogo per la scelta bizzarra dell'uso della sesta rima in luogo della tradizionale ottava ("Chiusa in sei versi questa nostra rima, / perché è più breve et è più resonante. / In quella d'otto versi, dico, prima / che venghi al fin, / se scorda quel davante"). La Leandra è cosi il frutto che un buon umanista di provincia ha potuto raccogliere da un'immaginazione votata al meraviglioso, da uno sperimentalismo stilistico piuttosto ingenuo, e dall'essere incappato in una edizione della Cronica di Turpino arcivescovo parisiense, fonte principale dell'epopea romanzesca italiana. Edizione, altra curiosità, mancante dell'inizio e della fine. Una mutilazione che il D. ha traslato tout court nel suo poema: "La istoria che trovai si dilettosa / era senza principio e senza fine; / era squarciato il libro et ogni cosa: / giacea la rosa morta tra le spine. / Quanto era il libro in rima traslatai, / solo per passar il tempo e li miei guai". Questa ingenua dichiarazione ad apertura del poema si risolve, sottolinea Dionisotti, in una "degradazione dell'arte, della metrica, della lingua", motivo per cui La Leandra entra nel calderone dei poemi cavallereschi maledetti dal Folengo.
Nei ventiquattro canti l'eroe narrato è Rinaldo di Montalbano, protagonista assoluto, nonostante il titolo fuorviante. Rinaldo, partito da Parigi, arriva a Gerusalemme. Qui incontra Leandra, figlia del "soldano" di Babilonia, vince la sua mano in una gara indetta dal "soldano" stesso. La fanciulla si innamora perdutamente di lui fino ad accettare di seguirlo nella sua fuga quando il padre, sobillato dal più traditore fra tutti i traditori, Gano, vuol farlo prigioniero. Si rifugiano in una rocca da dove Leandra si precipita giù, credendo per errore che Rinaldo sia stato ucciso, e muore.
Il compassionevole episodio avviene appena al canto VI e il poema continua trascinandosi stancamente per altri diciotto, narrando le avventure di Rinaldo e degli altri paladini di Francia. Fino a quando, e siamo al canto XXIII, per vendicarsi di Gano, entra in Parigi sotto false spoglie e lo smaschera. Il poema si interrompe bruscamente qui, alla vigilia della partenza dei paladini per una nuova spedizione. Siamo in un banchetto organizzato da Gano (che nel frattempo ha ricevuto il perdono da Carlo Magno), in cui il burlone Malagigi trasforma starne e capponi in rospi e scorpioni con grande disappunto di Rinaldo che si crede beffato. In conclusione: un poema cavalleresco La Leandra che, pur di modeste pretese, andando incontro al gusto dei lettori più che imponendo uno stile proprio, raggiunge una fortuna di pubblico, se non di critica, considerevole. Resta da dire che in Francia viene imitato e quasi letteralmente tradotto dal poeta A. Nervèze, che lo pubblica col titolo Les avéntures guerrières et amoureuses de Léandre a Parigi nel 1600.
Fonti e Bibl.: T. Folengo, Orlandino, in Opere italiane, a cura di U. Renda, Bari 1911, I, p. 3; Id., Baldus, III, in Opere di Folengo, Aretino, Doni, a cura di C. Cordié, Milano-Napoli 1976-1977, I, pp. 140e n., 141: n.; G. M. Crescimbeni, Dell'istoria della volgar poesia, Venezia 1730, V, pp. 228-229; F. S. Quadrio, Della storia e della ragione d'ogni poesia, II, Milano 1742, I, p. 227; 3, p. 231; IV, Bologna 1739, 5, p. 333; 8, p. 572; G, Ferrario, Storia ed analisi degli antichi romanzi di cavalleria e dei poemi romanzeschi d'Italia, I, Milano 1828, p. 272; IV, ibid. 1829, pp. 173-176; L. Gautier, Les epopées françaises, Paris 1892, II, p. 379 nota; M. Catalano, Ilromanzo di Perugia e Corciano, in Boll. della R. Deputaz. di storia patria per l'Umbria, XXVII (1924), p. 58; R. Guerrieri, Storia civile ed eccles. del Comune di Gualdo Tadino, Gubbio 1933, pp. 698-700; F. Briganti, L'Umbria nella storia del notariato ital., Perugia 1950, pp. 145-146; C. Dionisotti, Fortuna e sfortuna del Boiardo nel Cinquecento, in IlBoiardo e la critica contemporanea, Firenze 1969, pp. 239-240; F. Foffano, Ilpoema cavalleresco dal XV al XVIII secolo, in Storia dei generi letterari italiani, Milano s.d., II, p. 56; G. Melzi-P. A. Tosi, Bibliogr. dei romanzi e poemi cavallereschi ital., Milano 1838, pp. 248 ss.; App., pp. 358 s.; Biblioteca nazionale Marciana, Catalogo Codici Marciani ed edizioni italiane antiche di epopea carolingia, Venezia 1961, p. 20.
F. Calitti