DURAZZO, Pietro
Nacque da Giacomo e da Maria Maggiolo tra il 1550 e il 1560: dichiarava infatti cinquantasei anni in un documento del 1610.
Il padre fu eletto doge di Genova, primo della famiglia Durazzo, per il biennio 1573-75 e dovette affrontare la difficile esperienza della guerra civile tra le due fazioni della nobiltà di Genova, i "vecchi" e i "nuovi". La famiglia del D. apparteneva ai nuovi e, insieme con i Balbi, i Moneglia, i Saluzzo, costituiva la punta emergente della nuova aristocrazia che, in polemica con le grandi famiglie degli assentisti filospagnoli - Doria, Fieschi, Spinola, Grimaldi -, puntava sul ripristino dei commerci e della navigazione, ritenuti fonte di ricchezza più sicura, e perché non condizionata da una potenza straniera e perché in grado di fornire lavoro ai vari strati di una popolazione tradizionalmente legata al porto e al mare. Che poi il programma dei nuovi servisse sopra tutto ai più dinamici tra loro proprio per garantirsi la piena partecipazione a quel potere politico fino ad allora egemonizzato dai vecchi divenne chiarissimo durante le fasi conclusive della guerra: accantonati i progetti di grandi riforme istituzionali (che avevano suscitato indesiderati movimenti dal basso) e ottenuta l'abolizione del "garibetto", i nuovi accettarono soluzioni moderate che, se favorirono l'amalgama della classe dirigente, ne segnarono il più compatto e netto distacco dal resto della società. Proprio il padre del D. assunse allora quel ruolo di grande moderatore tra le parti che gli consenti di suggellare a livello politico l'ascesa economico-sociale della famiglia.
I Durazzo, arrivati dall'Albania alla fine del XIV secolo, avevano raggiunto un notevole benessere col commercio della seta, e nel 1528 il nonno del D., Giovanni, e i suoi figli (Giacomo, Pietro, Antonio, Bernardo) furono ascritti al libro della nobiltà ed aggregati all'"albergo" Grimaldi. Giovanni nel 1545 denunciava nel testamento la proprietà di 6 case per un valore complessivo di 59.000 lire, di una volta da seta e di una bottega in Genova; ma il giro dei suoi affari si estendeva da Anversa (dove possedeva un negozio gestito dai figli Pietro e Vincenzo) a Venezia (dove visse un altro zio del D. Nicolò, che vi sposò una Morosini). Sempre Giovanni sottolineò l'immagine sociale con l'erezione del sepolcreto di famiglia nella chiesa della Consolazione e di una sua statua in palazzo S. Giorgio.
Il D., cresciuto in una famiglia ormai pienamente integrata nel sistema dei grandi gruppi di potere economico e politico della Repubblica, raccolse la lezione paterna di moderatismo tra i gruppi e, dei Durazzo, seppe potenziare la presenza in S. Giorgio e il prestigio sociale, con la costruzione della splendida regale dimora in strada Nuovissima.
L'attività del D., specie sotto il profilo economico-imprenditoriale ed artistico-sociale, fu autorevolmente fiancheggiata dal fratello Agostino, che seppe imprimere alla propria discendenza il ruolo forse più incisivo (oltre ad averle acquisito il titolo marchionale con l'acquisto del feudo di Gabiano nel 1624). Il D. ebbe un altro fratello, Giovanni (il primogenito, che mori giovane nel 1592, lasciando la moglie Virginia Giustiniani con due bambini, Giovanni ed Emilia), e quattro sorelle: Lucrezia (poi sposa di Pantaleo Balbi), Maddalena (in Federico De Franchi Toso, doge nel 1623), Battina (in Gian Francesco Balbi) e Laura.
Si ignora dove il D. abbia compiuto gli studi; ma tutte le fonti concordano nel riconoscergli una giovinezza improntata a rigorosa severità di costumi e una precoce maturità psicologica e culturale. Il primo incarico fu di natura militare, secondo una prassi usuale tra i giovani patrizi: dal 1585 fece parte del corpo di trenta capitani preposti alla custodia della città. E che la sfera militare facesse parte delle competenze del D. è confermato dall'incarico di commissario della fortezza di Savona, affidatogli diversi anni dopo, nel 1606. Ma i veri interessi del D. dovevano essere di natura economico-finanziaria: cosi, dopo essere stato estratto senatore nel 1591 - e come tale aggregato ai governatori della Repubblica - fu eletto protettore della Casa di S. Giorgio per ben sette volte, unico caso nella storia del Banco.
L'annualità della carica e la sua incompatibilità con magistrature pubbliche esercitate in contemporaneità, ma ovviamente ricercate in alternanza, consentirono al D., nell'arco di venti anni, di ruotare da S. Giorgio agli uffici economico-finanziari della Repubblica: cosi, tra il 1594 e il 1617, fu ai Cambi, alle Imposte straordinarie, all'ufficio dei Caratati, tra i provvisori dell'Olio, tra quelli del Vino, alle Monete (e in quest'ultimo, nel 1616, presiedette una commissione di riforma). Nel 1600 e nel 1608 fu eletto anche sindacatore supremo, una delle più alte magistrature giuridiche, con funzione di controllo sul doge e i due Collegi. Nel 1609 fece parte del magistrato di Corsica, e nel 1616 vi ritornò con il grado di preside. Nella primavera 1618 fu inviato nel Finale in visita ufficiale al duca di Feria, governatore di Milano, insieme con Giovan Battista Doria, che sostitui il dimissionario Ambrogio. L'anno successivo, il 3 maggio 1619, venne eletto doge, probabilmente con i voti della nobiltà vecchia.
Infatti i due candidati favoriti erano Paolo Sauli e Federico De Franchi, cognato del D., di fatto rappresentanti rispettivamente dei vecchi e dei nuovi. Ma la voce diffusasi prima delle elezioni che il De Franchi fosse il candidato degli "artefici" (come i vecchi definivano sprezzantemente i nuovi) ricorrendo alla componente meno prestigiosa aveva provocato il risentimento di molti suoi sostenitori, che, per protesta, non avevano votato, facendogli cosi mancare la maggioranza necessaria. Nello scrutinio successivo, poiché neppure il Sauli raggiungeva il quorum sufficiente, parte dell'elettorato vecchio dovette far confluire i propri voti sul D., che fu eletto con 199 voti contro i 197 del De Franchi: a conferma che i Durazzo aspiravano a integrarsi con i vecchi e che costituivano un elemento di innovazione, se non proprio di scardinamento, all'interno delle alleanze tradizionali e della logica dei due gruppi. Comunque, alla scadenza del mandato del D., la tradizionale alternanza sarà ribadita con l'elezione di Ambrogio Doria.
L'incoronazione del D. venne celebrata in S. Lorenzo il 29 giugno 1619; le orazioni furono pronunciate in palazzo da Lelio Levanto, dottore in legge, e in duomo dal gesuita Tomaso Reina, giunto appositamente da Milano: entrambe furono date alle stampe.
Il dogato del D. fu complessivamente tranquillo: Genova conosceva un periodo di relativa pace interna - che la stretta autoritaria dei primi anni del secolo aveva assicurato - e di discreta autonomia in campo internazionale, visto che la guerra dei trent'anni non aveva ancora coinvolto a fondo lo scacchiere italiano. Le uniche preoccupazioni furono causate dal passaggio delle truppe spagnole dirette contro i Grigioni e da una serie di fenomeni naturali giudicati di cattivo auspicio (poi giustificate, per la superstizione popolare, dalle morti dell'imperatore Mattia e di Filippo III). Il D. poté profondere le proprie energie a consolidare l'immagine della propria famiglia al vertice della società genovese: sotto il suo dogato si completò strada Nuovissima, o strada Balbi, come ideale continuazione di quella strada Nuova (o Aurea; oggi Garibaldi) lungo la quale le grandi famiglie nobili avevano costruito le loro principesche dimore circa mezzo secolo prima (offrendo tra l'altro all'aristocrazia di tutta Europa, a cominciare dalla Roma di via Giulia, il modello della strada per la classe di potere: per un "congresso di re" - secondo quella che sarebbe stata la felicissima definizione di madame de Staël). E in strada Nuovissima il D., insieme al fratello Agostino e al figlio Giacomo, fece erigere dall'architetto lombardo Giovan Angelo Falcone il palazzo che sarebbe diventato il più splendido (e che nell'Ottocento diverra palazzo reale).
Concluso il mandato dogale, il D. continuò ad occuparsi, come procuratore perpetuo, dell'amministrazione dello Stato cui riprese ad alternare la direzione degli affari finanziari in S. Giorgio. Per quattro volte (nel 1622, '26, '30 e '31) fu prescelto come preside dei magistrato di Corsica; nello stesso 1622, avendo la Repubblica istituito il magistrato di Guerra con pieni poteri, per fronteggiare l'attacco sabaudo e i rischi dell'aggravarsi del conflitto franco-spagnolo nello scacchiere italiano, il D. ne fu uno dei cinque componenti. Infine, nel 1631, fu scelto come uno dei due protettori del S. Offizio, ma dovette lasciare la carica per ragioni di salute.
Mori a Genova il 18 dic. 1631 e venne sepolto nella chiesa della Consolazione, nel sepolcreto fatto costruire dal nonno Giovanni (mentre il fratello Agostino aveva fatto erigere un'altra cappella nella chiesa gesuitica di S. Ambrogio, dove era stato sepolto il padre).
Il D. aveva sposato il 17febbr. 1586 Aurelia Saluzzo di Agostino, appartenente come lui alla nobiltà nuova in ascesa, sorella di Giacomo, uno dei componenti la deputazione incaricata, nel 1608, di studiare le possibilità di riarmo navale della Repubblica. Dal matrimonio erano nati sette figli: Giacomo nel 1587, Maria nel 1588 (poi sposa di Bernardo Garbarino), Nicolò nel 1589, Cassandra nel 1591 (o Violante, poi sposa ad un Menghi di Forlì), Battista nel 1592, Cesare nel 1593 (sarà a sua volta doge nel 1665) e infine Stefano nel 1594, che sarà combattivo arcivescovo di Genova dal 1635 al 1664 e poi cardinale. Da Cesare discenderanno altri due dogi della famiglia Durazzo: il figlio Pietro, nel 1685, e il figlio di lui Stefano, nel 1734.
Fonti e Bibl.: Genova, Civ. Bibl. Berio, m.r. X, 2, 168: L. Della Cella, Famiglie di Genova, c. 32; A. Oldoini, Athenaeum Ligusticum, Perusiae 1680, p. 392; F. Casoni, Annali della Repubbl. di Genova, Genova 1800, II, p. 273; V, pp. 10, 78, 207; L. Grillo, Elogi dei liguri ill., Genova 1846, II, p. 274; G. Banchero, Genova e le due Riviere, Genova 1846, p. 346; A. Roccatagliata, Annali della Rep. di Genova, Genova 1873, p. 157; L. Levati, Dogi biennali della Rep. di Genova, Genova 1930, pp. 389-396 (con bibl.); D. Puncuh, L'archivio dei Durazzo marchesi di Gabiano, in Atti d. Soc. ligure di storia patria, n. s., XXI (1981), p. 622; Id., Collezionismo e commercio di quadri …, in Rassegna degli Archivi di Stato, XLIV (1984), p. 167.
M. Cavanna Ciappina