EMMANUELE (Emanuele, Emmanueli), Pietro
Nacque forse sullo scorcio del secolo XVI o agli inizi del XVII, a Palermo dato che tutte le fonti concordi lo designano come "Panormitanus". Assolutamente nulla si sa della sua famiglia. Intraprese la carriera ecclesiastica senza però fare in essa significativi progressi, visto che è ricordato sempre come semplice "sacerdos". Analogamente oscura rimane la sua formazione culturale. Dalle opere che di lui ci restano si può arguire che conoscesse il latino, che avesse anche qualche rudimento di greco, che fosse in possesso di una certa preparazione in campo geometrico e matematico (tale da consentirgli di prendere parte alle dispute su questi problemi) e che molto interesse ebbe per la chimica e l'alchimia (probabilmente anche per il loro risvolto pratico come strumento di preparazione dei metalli preziosi).
Visse con ogni probabilità quasi sempre a Palermo, forse insegnandovi, visto che talora viene menzionato come "professore delle matematiche". Ma di questa sua attività non resta traccia nei documenti. Analogamente la notizia di un suo viaggio "per l'Italia quasi tutta" e "specialmente a Roma", per insegnare al fiore della nobiltà colta locale, "curiosa di tali scienze", il metodo, che sarebbe stato da lui inventato, per estrarre le "radici da molti nomj composti con Dignità Algebratiche, e con quantità irrationale", non trova altra conferma oltre alle affermazioni di un suo estimatore, don Andrea Terranova della città di Trapani, nella dedica di una delle sue opere.
Dalla prima delle operette dell'E. a noi pervenute risalente al 1641 si rileva il carattere dei suoi interessi culturali e scientifici, incentrati sulla matematica, ma solo per farne uno strumento di conoscenza filosofica volta a ritrovare nel simbolismo dei numeri la trama di una realtà metafisica, oscura e inattingibile, e xin mezzo per la penetrazione nei segreti della natura. L'occasione della stesura del breve scritto che reca il titolo Risposta alli quesiti di Benedetto Maghetti…, Palermo 1641, venne offerta dall'invio di una serie di quesiti matematici del Maghetti all'E. da parte di Ippolito di Palermo dell'Ordine di s. Francesco di Paola.
Nella dedica dell'operetta a un notabile locale, scritta dal già ricordato don Andrea Terranova, si mette in luce l'importanza dei quesiti proposti dal Maghetti la cui soluzione racchiuderebbe in sé "il vero modo di fare la tanta da tutti bramata Pietra Filosofale". Detti quesiti, stampati in Ancona nel 1638 e poi ancora a Palermo nel 1641, erano in tutto nove. L'E. li esamina e risolve procedendo in senso inverso e cioè partendo dall'ultimo. È sua convinzione che la loro soluzione non sia accessibile per via puramente matematica, ma che ci si debba rivolgere alla filosofia, scienzache, unica, possederebbe il mistico significato dei numeri. Piace all'E. illustrare queste sue posizioni con antichi miti, depositari ai suoi occhi di arcane e perenni verità, facendo ricorso in questo caso a quello di Cassandra e di Apollo che incarnava, a suo avviso in modo esemplare, il difficile rapporto fra aritmetica e filosofia. Cosi, ad esempio, egli risolve il primo quesito, in realtà ultimo del Maghetti, richiedente la radice quadrata di un settinomio, affermando che, poiché la radice indica il principio e l'origine della cosa e il sette è il numero proprio dei metalli, detto quesito non richiederebbe altro se non "la produttione, e il modo di fare la pietra filosofale", rivelandosi cosi piuttosto un problema chimico-alchimistico che matematico. Questa stessa verità sarebbe altresi nascosta nel mito di Astrea, vergine discesa dal cielo per abitare con gli uomini e poi nuovamente ripartita verso il cielo, a indicare come l'arte di fare la pietra filosofale (Astrea) una volta posseduta dai "calcolatori", in seguito alla trasformazione in senso vilmente utilitaristico della matematica, si sarebbe rifugiata presso gli "speculatori" o filosofi. Il discorso dell'E. si conclude con una tabella nella quale egli mostra la corrispondenza fra i numeri figurati esposti misticamente e gli "enigmi" con i quali gli antichi occultavano il sapere, indicando in Pietro Bongo la sua fonte per questa "mistica significatione".
Certamente di questo scritto che in epoca di grande sviluppo delle scienze matematiche e delle filosofie razionalistiche riproponeva vecchie e superate elucubrazioni pitagorico-alchimistiche non sarebbe rimasta traccia se l'E. non si fosse incautamente e infelicemente invischiato in una lunga e penosa polemica con alcuni tra i più insigni matematici del suo tempo comé Daniele Spinola e soprattutto Giovanni Alfonso Borelli. Ci riferiamo alla disputa sorta fra alcuni matematici siciliani sulla soluzione di un problema di geometria proposto da padre Antonio Santini, matematico della Congregazione dei padri somaschi, e trasmesso da Davide Imperiale contemporaneamente all'E. e a Daniele Spinola perché lo risolvessero. I due matematici pervennero a due diverse soluzioni; e quella dell'E., fatta conoscere allo Spinola, venne da questo aspramente criticata in quanto fondata su un falso ragionamento o paralogismo. Questo fatto fu l'occasione di un altro scritto dell'E. dal titolo Lettera in difesa di un problema geometrico…, Palermo 1645, in cui l'autore si difende appunto dalle accuse dello Spinola, ribadendo, per bocca di un matematico suo contemporaneo, Lorenzo Attardi, la chiarezza e semplicità della sua soluzione "tolta da alcune propositioni di Euclide", che aveva solo il difetto di non piacere allo Spinola che ne voleva una "per numeri".
La soluzione dell'E. procedeva attraverso tre proposizioni con relative dimostrazioni a cui seguiva una "constructione" del triangolo stesso con le caratteristiche proposte dal Santini. Alla polemica vennero via via interessati altri matematici fino a coinvolgere lo stesso Giovanni Alfonso Borelli. Dalla ricostruzione che della disputa egli stesso fece un anno più tardi nel Discorso… nel quale si manifestano la falsità e gli errori, contenuti nella Difesa del problema geometrico, risoluto dal r. d. P. E., Messina 1646, risulta che aveva incontrato alcuni anni prima, nel 1638, l'E. in occasione di un suo viaggio a Palermo e che gli era parso personaggio alquanto bizzarro ed enigmatico, presentatogli soltanto come tuomo che si dilettava di matematiche". Sembra che tale incontro si risolvesse in uno scambio di foglietti contenenti quesiti geometrici e che il celebre matematico non ebbe alcuna possibilità di farsi una qualche idea sulla personalità scientifica dell'E., che gli rimase cosi del tutto estraneo e indifferente. Cosicché, quando, scoppiata la polemica dell'E. con lo Spinola, G.A. Borelli si pronunciò contro l'uso dei paralogismi in campo scientifico e l'E. lo accusò di malanirno nei suoi confronti, egli poteva in tutta onestà affermare di non nutrire alcun pregiudizio negativo verso l'E., poiché neppure lo conosceva, e di aver parlato soltanto in nome della verità scientifica.
Ma l'attacco più violento venne all'E. proprio dallo Spinola che si prese il gusto non solo di smontare punto per punto la soluzione dell'E. scrivendo sotto lo pseudonimo di Landino Alpesei IlCrivello … nel quale si vagliano alcune cose contenute nella lettura in difesa di un problema geometrico risoluto da donno P. Emmanueli, Macerata 1647, mostrando non solo la "falsità" del suo ragionamento, ma riportando anche il parere negativo di illustri scienziati come, oltre al Borelli, il Cavalieri, il gesuita Fabrizio Brizio, Evangelista Torricelli e Giovanni Ventimiglia che chiamava l'E. un "grammaticuzzo". Difendeva altresi Galilei e il suo cannocchiale, a cui l'E. aveva fatto derisorio quanto incauto riferimento. Ma ancor più duro è l'attacco che lo Spinola sferra, ormai deciso a rovinare la reputazione scientifica del sacerdote siciliano, contro la prima delle opere dell'E. in risposta ai quesiti del Maghetti, scrivendo La bietolata … intorno alla Risposta alli quesiti di B. Maghetti fatta da donno P. E., ibid. 1647. Qui egli contesta l'originalità del metodo di risolvere le radici dei polinomi proposto dall'E., mostrandone i precedenti nella terza parte del libro secondo della Aritmetica di Simone Stevin, stampato nel 1634 e nella sesta e settima delle Esercitazioni matematiche della terza deca di Giovanni Camillo Glorioso, uscite nel 1639. Ma soprattutto egli mette in ridicolo la dottrina aritmetico-alchimistico-pitagorica dell'E., degna, a suo avviso, piuttosto di un ciarlatano che di uno scienziato.
Oltre alla polemica cui si è accennato non abbiamo altre notizie sulla vita e sull'attività dell'Emmanuele. Le fonti menzionano, accanto alle opere che abbiamo analizzato, un Discurso, en que propone, y resuolve algunos problemas astronomicos, hidographicos para conocer la longitud en el arco equinocial desde el meridiano, por facilitar los vaxelles en la navigacion, Panormi 1661.
Sembra che l'E. attendesse a ricerche nel campo dell'alchimia al punto da riuscire ad ottenere da metalli assai vili oro e argento, e che fosse tanto preso da questa sua attività da rimanere intossicato dai fumi di zolfo provocati e da contrarne grave malattia, in seguito alla quale mori il 9 ottobre 1669, molto probabilmente a Palermo.
I numerosi manoscritti che di lui gli storici ricordano, fra cui un De triangulis, sembra fossero rubati alla sua morte e pubblicati col nome del rapitore.
Bibl.: A. Mongitore, Bibliotheca Sicula…. Panormi 1714, I, p. 138; A. Narbone, Bibliografia sicola…, Palermo 1854, III, p. 11; IV, p. 486; Nouvelle Biographie générale, Paris 1858, XV, col. 931; G. M. Mira, Bibliografia siciliana, Palermo 1875, I, p. 323; P. Riccardi, Biblioteca matematica italiana…, Modena 1893, coll. 157, 191, 427, 471; G. Nigido Dionisi, L'Accademia della Fucina di Messina (1639-1678)…, Catania 1903, p. 48; G. Garollo, Dizionario biografico universale, Milano 1907, I, p. 736; Dizionario dei Siciliani illustri, Palermo 1939, p. 203; L. Ferrari, Onomasticon, Milano 1947, p. 286; U. Baldini, Borelli, Giovanni Alfonso, in Diz. biogr. degli Ital., XII, Roma 1970, p. 544.