FACCINI, Pietro
Si suppone che sia nato a Bologna, attorno al 1562 (Marangoni, 1910), ma l'ipotesi non è suffragata da alcuna documentazione. Iniziò a dipingere piuttosto tardi, verso i trent'anni; fino al 1588-89 si era infatti dedicato alla mercatura (Di Giampaolo, Nell'età del Correggio..., 1984, p. 129).
Il Malvasia (1678, p. 400) ricorda che il F. non aveva alcun interesse ad intraprendere la strada della pittura, tanto più che era ".... in istato che potea vivere d'entrata, quando cominciò a dipingere", ma, capitato nella bottega dei Carracci per curiosare, fu ben presto messo in ridicolo dalla pungente ironia degli astanti, sicché colto sul vivo, per vendicarsi "... diede di piglio ad un carbone, con l'inesperta mano seppe così ben aggravare con deformità confacevole il loro profilo che, meravigliati e confusi tutti, sentì prima acclamarsi maestro che aggregarsi scolare, invitandolo Annibale a quella professione, che mai ad avere esercitare sognossi" (ibid., p. 398).Il merito di aver proposto la figura del F. all'esame della critica moderna deve senz'altro attribuirsi al Marangoni (1910), seguito più tardi dal Voss (1915). Tenendo conto delle fonti, Marangoni (1910, pp. 465 s.) abbozzò un elenco delle opere ascrivibili all'artista, distinguendo fra quelle da lui identificate e le altre non reperite. La scarsità dei documenti impedisce, comunque, una ricostruzione esaustiva della produzione del F., cui possono attribuirsi con certezza poche tele ma numerosi disegni. Dei dipinti, soltanto uno è sicuramente datato: si tratta del Martirio di s. Lorenzo, conservato in S. Giovanni in Monte a Bologna.
Dell'opera, eseguita per Laura de' Pensabillis, nel 1590, il primo lavoro noto del pittore in ordine di tempo (Arcangeli, 1959, p. 56), esiste anche un disegno preparatorio (Parigi, Louvre). Considerata giustamente un omaggio ad Annibale (Di Giampaolo, Nell'età di Correggio, 1984, p. 129), la tela tiene conto degli affreschi quasi contemporanei di palazzo Magnani-Salem, dipinti a Bologna dai Carracci, mentre il ductus pittorico ricorda il Battesimo dipinto da Annibale per la chiesa di S. Gregorio a Bologna. Da quest'opera, tra l'altro, il F. copiò o quasi la figuretta di donna con un bimbo in braccio che compare sullo sfondo (ibid.). È interessante notare come il F. sia riuscito a conferire un atteggiamento protettivo nei confronti del bambino, solo accentuando l'inclinazione del capo rispetto al modello carraccesco. Appaiono dunque eccessive le critiche di pressappochismo pittorico che portarono il Marangoni a definirlo "... quasi un dilettante che si affidò del tutto alle sue doti naturali ..." e poco interessato al disegno (1910, p. 461).
Del F. è la Madonna di Loreto e i ss. Bonaventura, Agata, Lucia e Biagio (Ghidiglia Quintavalle, 1960), commissionata dai nobili Otazio, Vulvio e Giovanni Arnoldi, detti Quistelli, e ora conservata nel palazzo comunale di Mirandola (Martinelli Braglia, 1988).
L'affinità dell'impianto compositivo con il Martirio di s. Lorenzo sopra ricordato e la predilezione per quel cannocchiale prospettico che pone al centro due figurette svelte, che "sarebbero piaciute al Mastelletta" (Martinelli Braglia, 1988, p. 40), sembrerebbero deporre per una datazione intermedia fra il Martirio stesso (1590) e la Assunzione della Vergine (1593-1594), conservata nella chiesa di S. Maria dei servi a Bologna (Arcangeli, 1959, p. 60).
Dopo un breve periodo di attività nell'Accademia degli Incamminati, già tra il 1593 e il 1594, in contrapposizione a quella, il F. fondava una propria scuola (Malvasia, 1678; cfr. anche Di Giampaolo, Nell'età di Correggio..., 1984, p. 129).
Il motivo contingente che provocò l'abbandono dell'Accademia carraccesca da parte del F. consistette in uno scherzo di dubbio gusto tiratogli da Annibale in persona. Il F., infatti, che godeva della piena fiducia e stima del maestro, aveva preso l'abitudine di trattenersi a studio senza permesso, dopo che tutti erano andati via. Si attardava così a disegnare uno scheletro che era a disposizione degli allievi. Accortosi del fatto, il Carracci pensò di far recedere lo zelante F. dai suoi propositi di studio; fece in modo di poter muovere di nascosto lo scheletro per spaventare l'allievo. Il F., irritato, tagliò i ponti con i Carracci e impiantò una propria scuola. Al di là della gustosità dell'aneddoto, l'episodio rivela bene quale dovesse essere il clima di concorrenzialità che dominava Bologna in quel periodo. Ma il vero motivo di frizione dovette essere lo spiccato interesse del F. per il cromatismo veneto e parmigiano (Posner, 1960, p. 51) che lo portò ad allontanarsi dalle tendenze dell'Accademia carraccesca.
Il riferimento a Tiziano si fa evidente nel Martirio di s. Stefano della chiesa di Borgo a Budrio che, nella pastosità della gamma cromatica e nella figura del torturatore, rimanda al carnefice del S. Pietro martire di Tiziano (Squellati Brizio, 1984, p. 120).
Dopo il 1593 va collocato il Riposo nella fuga in Egitto del palazzo vescovile di Guastalla; attorno al 1595 è stato ascritto lo Sposalizio mistico di s. Caterina e s. Girolamo (Roma, Pinacoteca capitolina; cfr. Arcangeli, 1959, pp. 59 s.)., in cui è visibile l'influsso dell'arte di Ludovico Carracci, ma anche la ripresa dei modi tintoretteschi (cfr. anche Di Giampaolo, Nell'età di Correggio..., 1984, p. 131).
Tra le ultime opere del F. va annoverata la tela della parrocchiale di Quarto Inferiore (Bologna) con la Madonna del Rosario, in cui è molto chiaro il riferimento ad Annibale Carracci (Benati, 1989, p. 733).
Alla pacatezza della scena centrale, caratteristica dell'ultima produzione, nel dipinto di Quarto si contrappongono i Misteri del Rosario dai ritmi molto veloci.
Non va invece ascritto al F. il supposto autoritratto (Firenze, Pitti), che il Marangoni (1910, p. 464) ritiene eseguito a Roma e che l'Arcangeli (1959, p. 57) interpreta stilisticamente "... quasi a mezza via fra il Tintoretto e il Borgianni o il Fetti"; infatti, come asserisce la Borea (1975, p. 57), si tratta del ritratto di un tal Pietro di Roma dipinto dalla mano feconda di Domenico Feti. Del resto lo stesso Malvasia (1678, I, pp. 400 s.) attribuì troppo frettolosamente al F. il Martirio di s. Sebastiano, nella chiesa di S. Paolo a Bologna, eseguito invece da F. Brizio.
Cospicua è inoltre la produzione di disegni che ci è pervenuta (di cui più di venticinque al Louvre) che talvolta - come nel caso della Sacra Famiglia e santi (in coll. priv. inglese: Di Giampaolo, Note..., 1984, fig. 47) - documenta l'importanza degli studi preparatori nell'evoluzione del processo creativo del Faccini.
L'interesse per Tiziano appare nel bel disegno con la Presentazione della Vergine (Parigi, Louvre), che si ispira alla Presentazione conservata presso la Galleria dell'Accademia a Venezia (Posner, 1960, p. 52, fig. 3).
Non è difficile scorgere dietro la scarsa considerazione del Marangoni per la produzione del F. la vecchia opposizione fra Firenze e Venezia, con l'implicita considerazione che gli adepti della scuola veneta non sapessero disegnare, quando invece è evidente che il F. fu un abile disegnatore e questo lo dovevano sapere in primo luogo i Carracci. L'acuta ricostruzione del Posner (1960, pp. 54 s.) dimostra infatti che Ludovico non disdegnò di copiare un bel disegno del F., raffigurante la Resurrezione di Lazzaro (Parigi, Louvre).
I due disegni sono praticamente identici per soggetto e per impaginazione, salvo il fatto che quello di Ludovico (Leicester, Museo, coll. Ellesmere), che si può datare al 1605 (Posner, 1960, pp. 54 s., figg. 39 s.), è più arioso mentre quello del F., eseguito fra il 1595 e il 1597, è più contrastato e incisivo. Non solo, ma Ludovico non si fece scrupolo, a tre anni dalla morte del F., di utilizzare la propria "copia" (probabilmente fatta all'uopo) per realizzare una scena dei perduti affreschi del chiostro di S. Michele in Bosco a Bologna.
Il F. morì nell'aprile del 1602 e fu sepolto a Bologna il 27 di quel mese (Bologna, Bibl. com. dell'Archiginnasio, Ms. B. 126: M. Oretti, Notizie dei professori del disegno..., [1760-1780], c. 84).
Fonti e Bibl.: C. C. Malvasia, Felsina pittrice. Vite dei pittori bolognesi [1678], a cura di G. Zanotti, I, Bologna 1841, pp. 397-401; F. Baldinucci, Notizie dei professori del disegno... [1846], III, Firenze 1974, pp. 350 ss.; M. Marangoni, P. F. pittore bolognese, in L'Arte, XIII (1910), pp. 461-466; H. Voss, in U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, XI, Leipzig 1915, pp. 177 s.; M. Marangoni, in Enc. Ital., XIV, Roma 1932, pp. 708 s.; F. Arcangeli, in Maestri della pittura del Seicento emiliano. Catalogo critico, Bologna 1959, pp. 56-62; D. Posner, P. F. and the Carracci: Notes on some drawings in the Louvre, in Paragone, XI (1960), 131, pp. 511-57; A. Ghidiglia Quintavalle, in Arte in Emilia, I, a cura di A. Ghidiglia Quintavalle-A. C. Quintavalle, s. l. né d. [ma Parma-Piacenza-Modena 1960], pp. 1005, scheda n. 61; U. Ruggeri, Note emiliane, in Musei ferraresi, III (1973), pp. 20 s., 25-28; E. Borea, Pittori bolognesi del Seicento nelle gallerie di Firenze (catal.), Firenze 1975, pp. 57-63; M. Di Giampaolo, Un appunto su P.F. disegnatore, in Boll. d'arte, s. 4, LXIV (1979), 2, pp. 103-106; Id., Note in margine a una "Sacra conversazione" di P.F., in Itinerari. Contributi alla storia dell'arte in memoria di M. L. Ferrari, III (1984), pp. 59-61; Id., in Nell'età di Correggio e dei Carracci (catal.), Bologna 1984, pp. 129-131; p. Squellati Brizio, Per P. F., "irregolare" bolognese, in Annali. Fondaz. di studi di storia dell'arte R. Longhi, I (1984), pp.
115-137, figg. 78a-104; G. Martinelli Braglia, Le pale mirandolesi di P.F. e Alessandro Tiarini, in Quaderni della Bassa Modenese. Storia, tradizione, ambiente, II (1988), 2, pp. 39-43; D. Benati, in La pittura in Italia. Il Seicento, Milano 1989, p. 733e ad Indicem.