FARRI (De Farri, Faris), Pietro
Tipografo, figlio di Domenico, nacque a Venezia attorno al 1553.
Poche sono le notizie sulle sue attività giovanili. Apprese l'arte tipografica nell'officina paterna, stampando di tanto in tanto su commissione di terzi, insieme al fratello Onofrio, opuscoli e fogli volanti contenenti sonetti e brevi componimenti, ornati da qualche fregio xilografico, con riferimenti talvolta a vicende d'attualità: la vittoria di Lepanto, il passaggio a Venezia di Enrico III di Francia, la peste. Nel 1575, proprio per uno di questi opuscoli, venne inquisito dal tribunale del S. Officio.
Il breve scritto riportava alcune orazioni superstiziose sulla peste, da recitare per evitare il contagio, nelle quali credenze astrologiche e culto mariano apparivano fusi insieme. Il F. si difese sostenendo che l'iniziativa non era sua, ma che si era limitato ad eseguire quanto gli era stato commesso da alcune gentildonne, di cui non rivelava il nome. Il tribunale del S. Officio dovette credere alle affermazioni dello stampatore, che se la cavò con un invito ad evitare in futuro di stampare senza regolare licenza.
Nessuna notizia sicura si ha di lui negli anni seguenti, sino al 1590- Secondo A. Brizi, nel 1576 sarebbe stato a Perugia dove avrebbe stampato un libro, di cui tuttavia si ignorano titolo e autore. Non appare molto fondata inoltre l'ipotesi di A. Gianandrea secondo cui il F. avrebbe pubblicato nel 1582 a Jesi il libro di Severino Severini De laudibus Rocchae Contratae.
Erano anni molto difficili per l'editoria veneziana. Il grande sviluppo della prima metà del secolo si era ormai arrestato. L'introduzione degli Indici romani e la sempre più vivace concorrenza operata da altri grandi centri editoriali europei avevano posto in crisi in Italia e all'estero le consolidate posizioni delle maggiori imprese lagunari. Molti tipografi dovettero quindi vedere al di fuori della Repubblica di Venezia la possibilità di continuare ad operare con maggiore tranquillità. Se per alcuni grandi imprenditori la meta ambita poteva essere Roma, ove si poteva sperare di operare sotto la protezione pontificia, per i più piccoli il miraggio era di trasferirsi in centri periferici e di porsi al servizio delle autorità locali.
Nel 1590 il F. aprì una stamperia a Fano. La prima opera pubblicata fu un opuscolo contenente una Scelta di facetie, motti, burle et buffonerie del piovano Arlotto. Il marchio tipografico, già utilizzato a Venezia dalla sua famiglia, presentava il motto Satis sull'immagine di un cammello accasciato che stentava ad alzarsi per il peso del carico. Nella prefazione, datata 9 nov. 1590, il F. dichiarava di essere appena giunto nella cittadina marchigiana con l'intenzione di porsi al servizio del nobile fanese Galeotto Forestieri, a cui il libro era dedicato. La sosta a Fano non durò molto. Nel 1593 accolse l'invito del vescovo di Senigallia Pietro Ridolfi, che auspicava l'istituzione di una stamperia. Il F. si dichiarò immediatamente disponibile ad aprire "bottega di stampa e di libraria" dietro adeguato compenso. Si giunse all'accordo per 25 scudi per il primo anno. In seguito si sarebbe deciso.
Anche la permanenza a Senigallia fu breve: nel 1595 l'accordo non venne più rinnovato. Nel frattempo erano uscite due sole opere, entrambe di limitato impegno tipografico: un Canto alla ss. Vergine di Loreto ad imitazione della cantica di Salomone di Nicola degli Angeli, dedicato a Margherita Arsilli, ed una Relazione sul modo ed ordine che si è tenuto nella cerimonia solenne della traslazione delle venerande reliquie del corpo di s. Gaudenzio vescovo e martire.
Nel 1594 il F. si trasferì a Jesi, ove ebbe modo di svolgere un'attività più intensa di quella praticata nelle altre città marchigiane. Anche in questo caso, tuttavia, determinanti furono le commesse pubbliche. Non a caso una delle prime opere edite fu la Bolla sopra il governo della mag. et nobile città di Iesi et suo contado con più le tasse fatte alli ss. ministri di iustitia..., disposta per ordine dei protonotario apostolico e governatore della città Francesco Leonardi nel 1595. Lo stesso spostamento a Jesi fu determinato dall'intenzione della città di disporre di una tipografia "per la comodità e per la reputazione che apporta la stampa alla città", come si legge negli atti del Comune che assegnavano al F. uno stipendio di 25 scudi l'anno. In seguito però i pareri dei componenti il Consiglio cittadino sulla sua permanenza furono discordi. Nel 1605 l'assegnamento gli venne sospeso; gli fu ripristinato l'anno successivo per altri quattro anni. In quest'occasione molte voci si levarono contro l'opportunità di continuare a finanziare lo stampatore: 64 membri votaronoa favore, ma ben 50 si opposero. Al 1608 risale l'ultima notizia certa della permanenza del F. a Jesi.
Negli anni del soggiorno jesino, oltre a soddisfare le esigenze pubbliche, il F. pubblicò qualche libro su commissione di autori locali: non fu mai in grado di svolgere attività editoriale di propria iniziativa e a proprio rischio. Nel 1595 stampò la versione di Giovanni Giorgini, patrizio di Jesi, de I cinque libri delle odi di Orazio detti in canzoni, sestine, ballate e madrigali, in 12º, dedicata al cardinale F. Sforza. L'anno successivo lo stesso autore gli commissionò la pubblicazione di una sua opera tipograficamente più impegnativa, il Nuovo Mondo, in 4º, un poema in 24 canti sulla scoperta dell'America. Di patrizi marchigiani furono anche le altre edizioni jesine del F. di cui è rimasta notizia. Nel 1597 uscirono le Lettioni sopra i versi latini del Sanazaro nella passione di Nostro Signore Giesu Christo di Angelo Giovannini da Cingoli, nel 1599 una composizione di Annibale Gritio sull'ingresso in Jesi del cardinale Camillo Borghese, vescovo della città, e nel 1600 un'orazione di Marco Lilio in occasione dei funerali di Gherardo Cibo.
Le edizioni del F. non si segnalarono mai per qualità e correttezza. La sua carriera è del resto tipica di quei piccoli tipografi veneziani, privi di proprie risorse finanziarie che, stentando ad emergere in patria, tentarono la fortuna offrendo al di fuori di Venezia la propria perizia. Peraltro la scelta dell'emigrazione non sempre si rivelò felice: una volta persa l'opportunità di ottenere commesse dai grandi editori e librai veneziani, le sorti erano spesso incerte, tanto più che le esigenze tipografiche dei piccoli centri erano ancora esigue. A parte qualche componimento stampato a spese degli autori locali, le necessità pubbliche erano ancora insufficienti per sostenere a lungo una piccola stamperia. Dalla constatazione di simili difficoltà dovette maturare la decisione del F. di tornare in patria.
Si ignora la data precisa del rientro a Venezia. Fu probabilmente la morte del fratello Onofrio, iscritto alla corporazione degli stampatori veneziani nel 1604 dopo la scomparsa del padre Domenico, ad indurlo a ritornare e a prendere il suo posto nell'officina paterna. Di certo il 22 luglio 1613 venne immatricolato all'arte della stampa veneziana. Da allora rimase a Venezia, svolgendo una discreta attività tipografica, concentrata, com'era stata quella paterna, sulle ristampe e sulle commissioni.
Non molto intensa fu la sua presenza nell'ambito degli organismi dell'arte degli stampatori. Solo in un'occasione ricoprì incarichi corporativi, venendo eletto il 24 ag. 1620 tra i sei membri della giunta. Ma la sua permanenza fu breve. Il 3 sett. 1621 il parroco della parrocchia di S. Canziano annotava che il "messer Piero Faris de anni 68" si spegneva colpito "da febre maligna". Alla sua morte la stamperia continuò a lavorare per alcuni anni con la denominazione di "eredi Farri". Sotto tale dicitura, ancora nel 1628, fu pubblicata l'opera di Angelo Gabrielli, Angelo monarca di Persia.
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