FOSCARI, Pietro
Nacque a Venezia il 21 luglio 1517 da Marco di Giovanni, del ramo a S. Simeon Piccolo, e da Orsa Cappello di Filippo.
Il padre era uomo di forte personalità: abile, colto, ricco, percorse una prestigiosa carriera politica nonostante l'impopolarità causatagli dal tratto naturalmente superbo e dall'aperta adesione a una visione oligarchica dello Stato. Fu lui a procurare il matrimonio del figlio, appena diciassettenne (29 ag. 1534), con la giovanissima Elena Grimani, figlia del patriarca di Aquileia (e in precedenza procuratore) Marco.
Naturalmente un tal legame accrebbe le già notevoli ricchezze dei Foscari: Elena infatti non solo portò in dote 18.000 ducati, ma anche numerosi e cospicui vantaggi legati alla posizione del padre, come la procura generale rilasciata da questo al genero il 15 sett. 1541.
Con tutto ciò gli esordi del F. nel mondo della politica non furono brillanti né assidui, forse per le cure richieste dall'amministrazione patrimoniale, forse anche per il ruolo ricoperto dal padre che, sin quando morì (1551), continuò a rappresentare la famiglia ai vertici dello Stato.
Il F. fu camerlengo di Comun dall'11 genn. 1545 al 10 maggio 1546, provveditore al Cottimo d'Alessandria dal 21 dic. 1547 al 20 apr. 1549; quindi, dopo un intervallo di quasi cinque anni, divenne uno dei tre titolari ai Dieci uffici, dal 27 genn. 1555 al 17 maggio 1556; di lì a qualche mese, infine, accettava il saviato alle Decime, dove rimase per un anno, a partire dal 19 ott. 1556.
Ci fu quindi un'altra lunga latitanza dalla politica, essendo rivolti altrove gli interessi del F.: tra la fine del 1560 e l'inizio del 1563 la morte della moglie e di un fratello vescovo riunirono infatti nelle sue mani ingenti capitali, con i quali provvide ad accasare i figli (anzitutto Girolamo, che nel novembre 1560 contrasse matrimonio con Chiara Mocenigo, poi le femmine: Orsa, sposata nel 1570 al futuro procuratore Barbon Morosini, e Bianca a Marcantonio Priuli, nel 1573); sappiamo inoltre che il 16 marzo 1570 acquistava circa 200 campi nel Vicentino e che nel 1573 era impegnato in operazioni di bonifica nella sua gastaldia di Croce, nel Trevigiano. Ancora, è probabile che proprio in questo periodo egli abbia realizzato una serie di migliorie nelle sue abitazioni, arricchendole di notevoli opere d'arte, come testimonia il Sansovino elogiandone la dimora a S. Simeon Piccolo: "Percioché Pietro Foscari, senatore d'animo egregio dilettandosi della bellezza della scultura et della pittura, come amante delle arti pellegrine et civili, non pure ornò et restaurò il predetto palazzo, ma rendé anco famoso quell'altro suo palazzo situato nell'Arena di Padova, dignissimo alloggiamento del re di Francia", che vi fu ospite nel 1574.
Il F. si accostò nuovamente alla politica attiva soltanto a partire dalla seconda metà degli anni Sessanta: nel novembre 1567 era infatti tra gli elettori del doge Pietro Loredan e qualche mese dopo veniva nominato podestà e capitano a Crema, dove rimase tra la primavera del 1568 e l'estate dell'anno successivo.
Lo stato di enclave entro la Lombardia spagnola che connotava la città e il suo contado rendeva prioritarie le esigenze difensive, ma un notevole problema fu costituito dalla forte conflittualità sociale nella provincia, specie a causa del mancato rinnovamento dell'estimo, la cui ultima rilevazione risaliva al 1544.
Rimpatriato, il 28 ott. 1569 fu eletto nella camera dei Tansadori, quindi (maggio 1570) fu dei quarantuno elettori del doge Alvise Mocenigo e in ottobre entrò a far parte del Consiglio dei dieci, dal quale si dimise il 1° febbr. 1571, optando per la carica di consigliere ducale nel sestiere di Santa Croce.
Eletto capitano di Padova, assunse la carica nell'ottobre 1571. Conosceva assai bene la città e i suoi problemi: da tempo - come si è accennato - la famiglia vi possedeva il complesso dell'Arena, dove egli amava soggiornare: nel settembre 1573 P. Ramusio annunciava a M. Mantova Benavides il suo prossimo arrivo a Padova, appunto in compagnia del "clarissimo" Foscari. Risale a questa epoca il completamento della torre del palazzo pretorio, ch'egli volle pure ornato di un orologio in grado di servire la vicina università.
Nuovamente a Venezia, fece parte del Consiglio dei dieci dal 1° ott. 1573 al 24 maggio 1574, giorno in cui si dimise dalla prestigiosa carica per accettare quella di consigliere per il sestiere di Santa Croce, che conservò sino al 31 maggio 1575. A suggerirgli di lasciare i Dieci non fu solo l'aver egli sempre sentito più congeniale il ruolo di consigliere ducale, ma probabilmente anche il fatto che il 21 maggio 1574 era stato nominato fra i tre provveditori sopra la fabbrica del Palazzo, danneggiato da un incendio il giorno prima.
Insieme con i colleghi Andrea Badoer e Vincenzo Morosini sostenne l'incarico sino al luglio 1577, appoggiando la progettazione e l'esecuzione dell'opera del "proto" Antonio Da Ponte; i lavori erano stati ultimati solo da pochi mesi quando un altro incendio (20 dic. 1577) scoppiò nell'edificio, stavolta con effetti devastanti.
Il 19 genn. 1578 il Senato procedeva alla nomina di una nuova commissione che curasse il rifacimento del palazzo; entrarono a farvi parte, accanto al F., Giacomo Foscarini e Girolamo Priuli, tutti patrizi di sentimenti "romanisti"; ciononostante, dopo aver interpellato diversi architetti, tra cui A. Palladio, essi respinsero la pur suggestiva idea di un totale rinnovamento della monumentale costruzione e ripiegarono, in omaggio alla tradizione veneziana, su un progetto che prevedeva un semplice restauro dell'immobile.
Congiuntamente a questo prolungato impegno, il F. sostenne altre rilevanti cariche: già membro del Consiglio dei dieci dall'ottobre 1575, aveva lasciato ancora una volta anzitempo l'incarico per divenire savio del Consiglio (14 febbraio-30 giugno 1576); quindi il 31 dicembre era stato nominato sopraprovveditore alla Sanità. A Venezia infieriva la peste, e questo può forse spiegare perché al F. - che diversamente da molti colleghi non abbandonò la città per cercar scampo nella propria villa di campagna - finirono per essere addossati incarichi di norma incompatibili tra loro: nel difficile 1577 egli infatti, oltre che responsabile del servizio sanitario (sua la decisione di erigere un nuovo lazzaretto a S. Giacomo di Paludo), fu savio del Consiglio dal 26 marzo al 30 settembre e consigliere ducale dal 28 aprile al 31 genn. 1578.
Passata la terribile congiuntura, nel marzo del 1578 fu ballottato doge, in concorrenza con Nicolò Da Ponte che, poi risultò eletto; divenne quindi membro del Consiglio dei dieci (1° ottobre-31 dic. 1578) e savio del Consiglio (gennaio-marzo 1579). Entrò successivamente a far parte del Collegio delle Acque e dal 12 maggio 1579 all'11 maggio 1580 del magistrato dei conservatori delle Leggi; savio del Consiglio per il primo semestre del 1580, optò ben presto per la carica di consigliere ducale, alla quale prestò giuramento il 10 aprile, ma qualche giorno dopo accettava di recarsi capitano a Brescia, dove era stato eletto il 4 aprile.
Non si fermò a lungo nella città lombarda - solo pochi mesi, tra il settembre 1580 e il marzo 1581 -: forse per questo non ne lasciò relazione (l'unica testimonianza che rimane del suo operato consiste in tre lettere indirizzate al Consiglio dei dieci).
Tornato a Venezia, entrò a fare parte della zonta del Consiglio dei dieci e fu eletto savio del Consiglio per il secondo semestre del 1581.
Ricopriva appunto tale carica quando morì, nella stessa Venezia, il 30 novembre 1581, dopo dodici giorni di febbre, allorché stava per conseguire - a detta del Priuli - la nomina a procuratore di S. Marco.
Nel testamento, redatto due giorni prima del decesso, aveva dichiarato di volere essere sepolto nella chiesa dell'Arena di Padova, di cui era prevosto il fratello naturale Paolo. Sin dal 18 apr. 1578 aveva infatti permesso ai monaci di S. Giobbe - dove tradizionalmente erano sepolti i Foscari di S. Simeon Piccolo - di distruggere l'arca che si era fatto costruire nella cappella di famiglia.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Misc. codd., I, Storia veneta, 19: M. Barbaro - A.M. Tasca, Arbori de' patrizi veneti…, III, p. 513; Ibid., Avogaria di Comun. Necrologio dei nobili, I, b. 159, 30 nov. 1581; Ibid., Notai di Venezia. Testamenti, b. 1246/607; il testamento della moglie Elena, insieme con altri documenti dotali, Ibid., Arch. Gradenigo rio Marin, b. 340/I: Catastico Foscari, cc. 18, 28, 97-101, 105; b. 59/2; sulla consistenza patrimoniale e questioni a essa attinenti, ibid., bb. 92/24; 100/25-30; 333: P. Gradenigo, Lavoro storico cronologico biografico sulla veneta famiglia Foscari, pp. 102 s.; per la carriera politica, Ibid., Segr. alle Voci. Elezioni al Maggior Consiglio, regg. 2, cc. 18, 34; 3, cc. 19, 23; 4, cc. 7, 142; 5, cc. 6, 9, 140; Segr. alle Voci. Elezioni in Pregadi, regg. 3, c. 90; 4, cc. 25, 29, 79, 95, 109, 118; 5, cc. 4 s., 21, 131; Ibid., Senato. Terra, reg. 52, cc. 3v, 39r, 144r; per l'incarico a provveditore per la ricostruzione del Palazzo (1574), ibid., reg. 50, cc. 17r, 38r; sulla podestaria a Crema, Ibid., Consiglio dei Dieci. Lettere dei rettori, b. 67, n. 48; sul capitanato a Brescia, ibid., b. 24, nn. 58 ss. Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. It., cl. VII, 828 (=8907): Consegi, 6 sett. 1573; 829 (=8908): Consegi, 3 ag. 1578; Ibid., Bibl. del Civico Museo Correr, Mss. Venier 63: Consegi, 3 ag. 1578, 18 ott. 1579, 4 apr. 1580, 18 ag. 1580, 1° ott. 1580, 1° ott. 1581; Ibid., Cod. Cicogna 3782: G. Priuli, Pretiosi frutti…, II, cc. 24v-25r. F. Sansovino, Venetia città nobilissima, et singolare…, Venetia 1663, p. 389; E.A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, IV, Venezia 1834, p. 669; V, ibid. 1842, p. 495; VI, ibid. 1853, p. 676; L. Puppi, A. Palladio, Milano 1973, pp. 329, 409, 424; Carte Foscari sull'Arena di Padova. La "Casa grande" e la cappella degli Scrovegni, a cura di E. Bordignon Favero, Venezia 1988, pp. 7 s.; P.F. Grendler, The leaders of the Venetian State, 1540-1609: a prosopographical analysis, in Studi veneziani, n.s., XIX (1990), p. 73; M. Tafuri, Il disegno di Chatsworth (per il palazzo ducale di Venezia?) e un progetto perduto di J. Sansovino, in A. Palladio: nuovi contributi, a cura di A. Chastel - R. Cevese, Milano 1990, p. 100.