CONTARINI, Pietro Francesco
Nacque presumibilmente a Venezia nel 1502, da Taddeo di Nicolò, del ramo dei Contarini dai SS. Apostoli, e da Maria Vendramin di Leonardo.
Fu il terzo di quattro fratelli, con Gianandrea, Girolamo e Dario; dì un quinto figlio, Marcantonio, danno notizia gli Arbori dei Barbaro, ma non se ne trova riscontro nei registri dell'Avogaria di Comun, mentre una sorella, Isabella, si sposò nel 1522 con Marco da Molin di Alvise. Nessuno dei fratelli assurse comunque a posizioni di rilievo nella vita pubblica. D'altro spessore fu invece la figura di Taddeo (1466-11 ott. 1540), non tanto per una carriera politica mediocre e discontinua - fu provveditore alle Biade nel 1497, Senatore nel 1510, provveditore alle Mercanzie nel 1517 - quanto piuttosto per la straordinaria ricchezza che ne faceva uno dei maggiori mercanti del tempo, impegnato in commerci col Levante di stoffe pregiate, frumento, carne, legname, non a caso amico e fedele sostenitore, oltreché parente, dì Andrea Gritt i. Ma soprattutto Taddeo nutriva una genuina passione per la cultura, per la pittura in primo luogo - possedeva tra l'altro due quadri di Giorgione, tra cui i Trefilosofi, due di Giovanni Bellini, tra cui il S. Francesco, due di Palma il Vecchio, mentre verosimilmente lo stesso Tiziano ne frequentò la casa - ma non solo per essa: sappiamo infatti che nel 1524 il C. a nome del padre prese in prestito alla Marciana (ma non è detto non fossero in realtà per suo uso) due manoscritti di Galeno, le Storie di Appiano e le opere di Filone Giudeo, mentre l'altro figlio Girolamo nel 1517 vì aveva ritirato un Omero commentato.L'essersi formato in un ambiente così sensibile ai valori culturali - la madre, tra l'altro, era sorella di quel Gabriele Vendramin, appassionato d'arte e committente del Giorgione per la Tempesta - e nel contempo poco compreso del dovere di concorrere al governo della Repubblica - le presenze di Taddeo in Maggior Consiglio erano talmente eccezionali da meritare un'apposita segnalazione da parte del Sanuto - influì in modo profondo e duraturo sul carattere e le inclinazioni dei giovane C., che preferì dedicare allo studio ogni suo tempo ed energia, rinunciando ad impegnarsi in alcun modo nella vita pubblica e tanto meno nella mercatura. Benché nel 1520 si presentasse all'Avogaria di Comun per l'estrazione della Balla d'oro, successivamente il suo nome scompare dai registri pubblici. Lo troviamo invece già uomo maturo a Padova, dove rimase probabilmente per un periodo prolungato, nel quinto decennio del secolo. Secondo la testimonianza di Bernardo Navagero, riferita dal nipote Agostino Valier, il C. partecipava assiduamente alle riunioni filosofiche del gruppo di aristotelici entusiasti che faceva capo a Sperone Speroni e comprendeva un nucleo scelto di allievi di Marcantonio de Passeri, quali lo stesso Navagero, Daniele Barbaro, Domenico Morosini; lo stesso Valier sostiene poi di aver conosciuto il C. proprio a Padova, allorché nel 1547 vi si era recato al seguito dello zio, tornatovi stavolta come podestà. Probabilmente a questa esperienza va dunque fatta risalire l'unica opera che la tradizione attribuisce al C., le Explanationes sul De physico auditu aristotelico, di cui manca però ogni traccia:'se nel 1662 Pietro Angelo Zeno sosteneva che l'opera era stata pubblicata, maggior credito merita certamente l'asserzione dei Valier, secondo cui il C., pur avendo scritto molto, non aveva però pubblicato alcunché.
La mancanza di scritti del C. rende dunque alquanto ardua la ricostruzione del suo itinerario culturale e spirituale, le uniche fonti disponibili essendo l'orazione funebre dedicatagli da Pietro Basadonna e le sparse testimonianze di Agostino Valier, l'una e le altre viziate da intenti agiografici, e le seconde soprattutto nella maggior parte palesemente tese a proiettare sulla sua figura i canoni culturali e ideologici più cari al vescovo di Verona, divenuto nel frattempo uno degli esponenti di maggior rilievo della Controriforma. Alcuni tratti interessanti non mancano tuttavia di emergere: ad esempio, la predilezione, pur nel quadro di un'eradizione praticamente estesa ad ogni campo dello scibile, per le scienze fisiche e naturali, per la matematica, l'astronomia, la musica, l'architettura, la botanica e la medicina; oppure l'interesse riposto nella conoscenza delle lingue - quelle contemporanee non meno delle classiche - come strumento essenziale di una cultura viva ed aperta ad ogni stimolo: "litteratissimo e perito in molte lingue" lo riconosce del resto anche il non sospetto Anton Francesco Doni, mentre il Valier ce lo descrive assiduo frequentatore delle botteghe dei librai. Sul piano filosofico, poi, il C. avrebbe inclinato per una conciliazione tra Aristotele e Platone, secondo un atteggiamento che stava progressivamente diffondendosi negli ambienti aristotelici e che sarebbe stato poi dello stesso Valier. Comunque, il C. era profondamente restio alle dispute filosofiche e scettico sulla validità delle sistemazioni teoriche, e preferiva impegnarsi invece in un lavoro di chiarimento dei testi classici. Una posizione analoga aveva nei confronti della storiografia, che voleva esemplata sulle scritture sacre, ancorata ad uno stile sobrio ed alieno da artifici retorici.
Ancor più difficile è individuare un suo qualche rapporto con altri gruppi culturali veneziani. La dedica al C. di due, edizioni postume, le Orationesquinque di Vettor Fausto ed il De exemplis illustrimm virorum dell'Egnazio, rispettivamente ad opera di Paolo Ramusio il Giovane e del nipote Marco da Molin (figlio di Isabella), non sembra sufficiente, priva com'è di alcun altro appoggio, a mettere in luce l'esistenza di autentici legami tra loro. In particolare, la dedica dell'opera egnaziana non ci sembra possa in alcun modo avvicinare il C. al circolo di amici di Gasparo Contarini, da cui dovevano tenerlo lontano, prima ancora che motivi generazionali, l'assenza di una spiritualità intensamente vissuta e lo stesso disimpegno dalla vita politica. Quanto poi al suo legame col Valier, non fossaltro che per la differenza d'età, esso va considerato esclusivamente sul piano dei rapporti tra maestro e discepolo; e difatti il futuro cardinale, che in più occasioni riconoscerà la grande importanza dell'insegnamento del C. per la sua formazione, era solito inviargli le sue esercitazioni filosofiche ed anche le orazioni pubbliche, pregandolo di volerle correggere.
In definitiva, a rendere interessante questa figura è proprio il suo innegabile isolamento, un isolamento ricercato e non subito, in quanto essenziale al perseguimento di un ideale di vita permeato di valori stoici, dove lo studio e la speculazione sono visti in antitesi all'adempimento dei doveri civili, alla formazione dì una fainiglia, alla ricerca delle ricchezze, delle "voluptate", degli onori mondani. Un'esperienza di vita contemplativa, dunque, quasi una variante laica - fondata cioè su valori filosofici e generalmente culturali anziché su esigenze mistiche e spirituali (ma dove la "sapienza" resta pur sempre la via migliore per avvicinarsi a Dio) - della vicenda di poco precedente e sotto certi aspetti analoga di Tommaso Giustiniani e Vincenzo Querini. E come il loro ritiro a Camaldoli aveva suscitato esplicite accuse di tradimento, così pure l'aperto rifiuto della vita attiva da parte del C. non era stato accolto senza preoccupazioni e malumori, a riprova ulteriore del disagio in cui dovevano trovarsi gli intellettuali, se appartenenti al ceto dominante, nella Venezia del primo Cinquecento.
Di fatto, non è certo per artificio retorico che il Valier, ancora lontano dalla fonnulazione controriformistica della superiorità della vita contemplativa attribuitagli nel dialogo parutiano e attestato su di una posizione ambigua ma sostanzialmente ortodossa che dell'impegno politico disapprovava solo le degenerazioni dovute all'ambizione, si affannava a controbattere le accuse di egoismo e di tiepido amor patrio formulate contro il suo maestro, rivendicando una funzione positiva, in parziale contraddizione con altri suoi scritti, anche a chi si era dedicato esclusivamente allo studio e alla meditazione.
Fosse poi per queste critiche, o in seguito al contatto con uomini come il Barbaro e il Navagero, che avevano saputo felicemente conciliare lo studio con la politica, o ancora, come vuole il Valier, grazie alle pressanti sollecitazioni perché mettesse finalmente il suo sapere al servizio della Repubblica, il C., benché tardivamente, decise di entrare nella vita pubblica. Subito eletto al delicato ufficio di avogadore di Comun dal 1547 al 1549. fu richiamato nella stessa carica l'anno successivo, nonostante che, secondo il Basadonna, col suo rigore eglì avesse urtato numerosi interessi.
Come avogadore, tra l'altro, il C. fece ottenere a Bartolomeo Spatafora, il nobile messinese vicino agli ambienti valdesiani e spirituali, rifugiatosi a Venezia da Roma dopo la condanna dell'Inquisizione siciliana, il riconoscimento, evidentemente preziosissimo nella sua posizione, dell'appartenenza al patriziato veneziano.Nell'aprile del 1551 il C. era stato poi eletto riformatore allo Studio di Padova, carica in cui si era sforzato di migliorare il livello dell'insegnamento delle lingue classiche, chiamando nuovi docenti e offrendo loro stipendi più elevati. Governatore alle Entrate dal 1552 al 1553, nel gennaio del 1554 era stato eletto al prestigioso ufficio di censore, e contemporaneamente chiamato nella commissione di cinque nobili incaricati di inquisire sull'operato del deflinto doge Trevisan e di rivedere le leggi di palazzo. Deteneva appunto la carica dì censore quando, il 21 ag. 1554, il Senato decise di eleggerlo al patriarcato, inaugurando appunto con lui, dopo la tempestosa esperienza di Girolamo Querini, la prassi di chiamare un laico alla guida della diocesi veneziana.
Circondato da una fama di assoluta morigeratezza e di completa estraneità da giochi di potere e da interessi di parte, il C. doveva apparire l'uomo ideale per procedere a quell'opera di moralizzazione e rigenerazione del clero veneziano che tutti riconoscevano impellente, senza al contempo ledere le prerogative giurisdizionalì della Repubblica.
Era però un auspicio destinato a rimanere deluso. Quando prese solennemente possesso del patriarcato, il 7 ott. 1554, il C. era già gravemente minato da una malattia allo stomaco. Senza esser riuscito a produrre alcun atto pastorale significativo, morì il 25 dic. 1555 a Venezia.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, M. Barbaro, Arbori del patritii veneti, II, p. 465; Ibid., Avogaria di Comun, Balla d'oro, reg. 165, c. 84v; la "condition" del padre è Ibid., Dieci savi alle Decimo, b. 32, S. Fosca n. 68; Ibid., Segretario alle voci, Maggior Consiglio, reg. 2, cc. 7, 14; reg. 3, cc. 6, 191; Ibid., Segret. alle voci, Pregadi, reg. 1r, c. 44; l'elezione al patriarcato Ibid., Collegio, Notatorio, reg. 29, c. 109, nonché Senato. Secreta, reg. 69, c. 39; la descrizione della cerimonia d'insediamento Ibid., Collegio, Cerimoniali, reg. 1, cc. XVIIIV-XIX; Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. It., cl. VII, 205 (= 7463): R. Curti, Serie delle famiglie nob. venete, II, c. 107v; Ibid., Mss. It., cl. VII, 15 (= 8304): G. A. Cappellari Vivaro, Il Campidoglio Veneto, I, c. 291 (errata la data di morte); Venezia, Bibl. del Civico Museo Correr, Cod. Cicogna 3 781: G. Priuli, Pretiosi frutti dei MaggiorConsiglio, I, c. 177; Ibid., Cod. Cicogna 3416, I. Coleti, Uominiillustri... della stirpe Contarini; una lettera accompagnatoria di Agostino Valier per il suo scritto De tempore al C. in Milano, Bibl. Ambrosiana, D. 447 inf., cc. 26-32; una lettera del Valier al C. con la richiesta che gli corregga l'orazione funebre per il doge Trevisan, un'orazione di congratulazioni al C. per la sua elezione al patriarcato e un'orazione funebre per la sua morte, nonché i Ricordiper scriver le historie della Repubblica di Venezia di questi tempi..., sempre del Valier, con accenni sul C., sono stati pubblicati da G.B.M. Contarini, Anerdota Veneta, Venetiis 1767, pp. 97, 105-118, 179-180 (i mss. sono in Bibl. naz. Marciana, Mis. Lat., Zanetti 499 [= 1742], cc. 155-155v, 162-174, 209); l'orazione funebre del Valier è stata anche pubblicata, tradotta in italiano, da G.A. Molin, Oraz., elogi e vite scritte da letterati veneti parrizi, II, Venezia 1796, pp. 46-60; altre opere del Valier dove si Parli del C. sono De recta philosophandi ratione libri duo..., Veronae 1577, ff. n.n. e 9v-10, 17, 65, 67, e De cautione adhibenda in edendis libris, nec non Bernardi Naugerii vita, Patavii 1719, pp. 9, 31, 49-50, 53, 68-69, 77, 95; Oratione del magnifico m. Piero Basadonna recitata in merte del reverendissimo Patriarca C., Venezia 1557; sono dedicate al C. Victoris Fausti Orationes quinque, Venetiis 1551; e Ioannis Baptistae Egnatii... De exemplis illustrium virorum Venerae civitatis..., Venetiis 1554, nonché una delle Quattro orationi di m. Bartolomeo Spathaphora di Moncata, Gentil'huomo venetiano..., Venetia 1554; si veda inoltre M. Sanuto, Diarii, XXXIV, Venezia 1892, col. 159: Processi del S. Uffizio di Venezia contro ebrei e giudaizzanti (1548-1560), a cura di P. C. Joly Zorattini, Firenze 1980, ad Indicem;A. F. Doni, Imarmi, a cura di E. Chiorboli, I, Bari 1928, p. 68; V. Brusantino, Angelica innam., Vinegia 1553, p. 357; I. Leslie, De origine moribus et rebus gestis Scotorum..., Romae 1578, pp. 468-472 (riferisce di una missione dei C. in Scozia, come legato pontificio nel 1543, ovviamente mai avvenuta); G. Bardi, Delle cose notabili della città di Venetia libri Venetia 1587, pp. 113, 182 s.; [G. N. Doglioni], Le cose maravigliose dell'inclita città di Venetia, riformate, accomodate e grandemente ampliate da Leonico Goldioni-, Venetia 1603, p. 180; P.A. Zeno, Memoria de' scrittori veneti patririi ecclesiastici, e secolari..., Venetia 1662, p. 33; F. Sansovino, Venetia città nobiliss. et singolare, con le agg. di G. Martinioni [1663], Venezia 1968, pp. 18, 602; F. Ughelli-N. Coleti, Italia sacra..., V, Venetiis 1720, coll. 1316 s.; N. C. Papadopoli, Historia Gymn. Patavini, Venetiis 1726, p. 73; G. Ventura, Vita... card. Augustini Valerii Veronae episcopi, in Racc. d'opuscoli scient. e filologici, a cura di A. Calogerà, Venezia 1741, p. 65; L. Moreri, Le Grand Dictionn. historiom..., VI, Paris 1744, p. 948 ad vocem;J.B. Afittarelli - A. Costadoni, Annalex Camaldulenses..., VIII, Venetiis 1744, p. 98; G. Degli Agostini, Notizie istoriche spettanti alla vita e agli scritti di Batista Egnazio, Venezia 1745, p. 147; F. Comer, Ecclesiae Venetae antiquis monumentis... illustratae..., XIII, Venetiis 1749, p. 176; G. Fontanini, Biblioteca dell'eloquenza italiana, a cura di A. Zeno, I, Venezia 1753, p. 132; G. Degli Agostini, Notizie... degli scrittori veneziani, II, Venezia 1754. p. 469; A. Orsoni, Cronol. storica dei vescovi olivolensi... e successivi Patriarchi di Venezia..., Venezia 1828 pp. 353 s.; E.A. Cicogna. Delle Inscriz. Venez.:II, Venezia 1827, pp. 114, 183, 245; VI, ibid. 1853, p. 549; G. Cappelletti, Le chiese d'Italia..., IX, Venezia 1853, p. 315; M. Foscarini. Della letterat. venez., Venezia 1854, pp. 344-5; A. Rinaldi, Ilr. 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