GALLEFFI, Pietro Francesco
, Nato a Cesena il 27 ott. 1770 dal conte Vincenzo e dalla contessa Violante Fantaguzzi, fu destinato alla carriera ecclesiastica e, per la sua educazione, affidato intorno al 1780 al padre Bonaventura Gazzola, docente di scienze e di diritto canonico.
Nel 1782 il Gazzola pubblicò a Cesena un Saggio di studio del nobile fanciullo signor P.F. G. nel quale indicava il metodo cui intendeva ispirarsi e gli obiettivi che intendeva perseguire nell'educazione del fanciullo a lui affidato. L'opera del Gazzola sottolineava l'importanza educativa delle scienze sperimentali e criticava il precoce apprendimento della retorica e delle lingue classiche. Il diritto, la storia e la poesia non rientravano nel piano degli studi in quanto discipline da affrontare in età più matura.
Nel 1791 il G. si recò a Roma per proseguire gli studi nell'Accademia ecclesiastica che riuniva i giovani nobili destinati alle più importanti cariche ecclesiastiche. Nel 1794 Pio VI, suo concittadino, lo nominò suo cameriere segreto partecipante e canonico di S. Pietro in sostituzione di Annibale Sermattei Della Genga, divenuto nunzio a Colonia.
Dopo l'arrivo dei Francesi a Roma nel febbraio 1798 e la proclamazione della Repubblica, il G. fu costretto a lasciare la capitale per tornare a Cesena. Ripristinato il governo pontificio il G. tornò a Roma nel 1800. L'elezione del pontefice Pio VII, il cesenate Barnaba Chiaramonti, assicurò al G. un'influenza crescente nella Curia: nominato nel 1800 segretario della congregazione della Fabbrica di S. Pietro e nel 1801 convisitatore dell'ospedale di S. Spirito, il 12 luglio 1803 fu elevato al cardinalato con il titolo presbiteriale di S. Bartolomeo all'Isola. Divenne quindi protettore dell'abbazia benedettina di Subiaco e prefetto della congregazione dei Regolari.
Come è stato osservato (Colapietra, 1981, col. 746), la rapida ascesa del G. si può spiegare con la sua rispondenza culturale agli indirizzi impressi alla Curia dal cardinale Ercole Consalvi negli anni del concordato con la Francia napoleonica. Grazie alla sua formazione cattolico-illuminata e al suo rigorismo in materia religiosa egli seppe incarnare le caratteristiche favorevoli per una brillante carriera nella Roma di Pio VII.
Con l'occupazione dello Stato pontificio da parte delle truppe francesi nel 1808 il G. fu nuovamente costretto a lasciare Roma, come molti altri cardinali, e fece ritorno a Cesena. Nel novembre del 1809 fu condotto, per ordine dell'imperatore, a Parigi ove, insieme con gli altri cardinali, rimase per circa un anno. Schieratosi con i cardinali "neri", il G. subì il soggiorno coatto a Sedan e successivamente a Charleville e, nel 1813, a Fontainebleau, dove infine i cardinali furono riuniti con il pontefice.
Con la Restaurazione e il ritorno a Roma di Pio VII (1814) l'influenza del G. nella Curia si accrebbe ulteriormente grazie alla nomina, il 10 maggio 1814, a segretario dei Memoriali. Il 6 maggio 1820 ottenne l'incarico di arciprete della basilica Vaticana, il 16 dello stesso mese divenne prefetto della congregazione della Fabbrica di S. Pietro e il 29 vescovo suburbicario di Albano.
Nel settembre del 1823, nel corso del conclave che seguì alla morte di Pio VII, il G. - riconosciuto oramai tra i massimi esponenti del partito degli zelanti che si opponevano alla politica riformistica del Consalvi - esercitò un ruolo fondamentale nell'elezione di Annibale Sermattei Della Genga, divenuto papa Leone XII.
Anche sotto questo pontificato, grazie alla sua moderazione e alle doti di mediatore tra le diverse componenti della Curia, pur mantenendosi fedele al rigorismo del partito degli zelanti, il G. seppe conquistare una posizione di primo piano. Il 15 nov. 1824 fu eletto camerlengo in sostituzione di Bartolomeo Pacca. Negli anni successivi fece parte della congregazione di Vigilanza, istituita il 27 febbr. 1826 da Leone XII nell'intento di assicurare la correttezza dell'amministrazione pubblica, della congregazione economica, e, nel febbraio 1828, di una congregazione speciale incaricata di consigliare il pontefice a proposito della repressione delle insurrezioni verificatesi in Romagna.
Il G., nella qualità di camerlengo, carica alla quale era unita quella di arcicancelliere dell'Università di Roma, ebbe modo di dimostrare il suo rigorismo religioso e conservatorismo politico. Egli, infatti, nell'autunno del 1825 negò a Giacomo Leopardi la possibilità di accedere all'insegnamento in Roma e al segretariato dell'Accademia di belle arti di Bologna, a causa delle dottrine professate ritenute "assai favorevoli alle nuove opinioni morali e politiche", come si legge in una relazione del G. dell'11 nov. 1825 (in Bandini, p. 39). Era preferibile, a suo parere, assegnare al Leopardi un incarico presso la Biblioteca apostolica Vaticana, ove sarebbe stato possibile garantire un assiduo controllo del suo operato da parte delle autorità. Inoltre, nell'ottobre dello stesso anno, il G. contrastò, senza successo, il conferimento alla Sapienza della cattedra di diritto pubblico ecclesiastico a Gioacchino Ventura, nelle cui opere egli scorgeva un eccessivo interesse per il pensiero politico francese.
Il G. fu uno fra i consiglieri più ascoltati di Leone XII in quanto interpretò con efficacia la tendenza conservatrice dominante che mirava a smantellare le riforme amministrative introdotte dal Consalvi nel corso del pontificato di Pio VII.
Fu nuovamente il G. a guidare il partito degli zelanti nel marzo del 1829, in occasione del conclave seguito alla morte di Leone XII. L'elezione di Francesco Saverio Castiglioni, Pio VIII, rappresentò una sconfitta per il G., che aveva sostenuto la candidatura del card. Emanuele De Gregorio, e segnò l'inizio del declino della sua carriera politica.
Anche dopo l'elezione di Gregorio XVI nel febbraio del 1831, il G. - che aveva ottenuto il 5 luglio 1830 il vescovado di Porto e S. Rufina - si trovò relegato in un ruolo di secondo piano. Il clima politico era infatti radicalmente mutato: lo scoppio delle insurrezioni in Emilia, l'intervento armato dell'Austria e la crisi generale dello Stato imposero al nuovo pontefice - che pure aveva suscitato nuove speranze tra gli zelanti - l'avvio di un programma di riforme amministrative e giudiziarie.
Il G. morì a Roma il 18 giugno 1837.
Fonti e Bibl.: Notizie per l'anno 1825, Roma 1825, pp. 20-22 e passim; L. Carsidoni, Elogio funebre alla memoria dell'eminent. card. P.F. G., Camerino 1839; A. Boyer d'Agen, La jeunesse de Léon XIII d'après sa correspondance inédite, Tours 1896, pp. 253 s.; C. Bandini, Contributi leopardiani, Bologna 1923, pp. 29-41, 47; L. Alpago-Novello, Il conclave di Gregorio XVI, Venezia 1924, passim; M. De Camillis, G.P. F., in Enc. cattolica, V, Città del Vaticano 1950, col. 1885; R. Colapietra, L'insegnamento del padre Ventura alla Sapienza, in Regnum Dei, XVII (1961), pp. 232 s.; Id., Il diario Brunelli del conclave del 1823, in Arch. stor. italiano, CXX (1962), pp. 76-146 passim; Id., Il diario Brunelli del conclave del 1829, in Critica storica, I (1962), pp. 517-541, 636-661 passim; Id., La Chiesa tra Lamennais e Metternich. Il pontificato di Leone XII, Brescia 1963, ad ind.; Id., La politica economica della Restaurazione romana, Napoli 1966, pp. XXXVIII, LI, CII s.; Id., Giacomo Leopardi cittadino dello Stato pontificio, in Historica, XXI (1968), pp. 16-19; N. Del Re, La Curia romana. Lineamenti storico-giuridici, Roma 1970, p. 309; R. Colapietra, G.P. F., in Dict. d'histoire et de géogr. ecclésiastiques, XIX, Paris 1981, coll. 745-748; Roma fra la Restaurazione e l'elezione di Pio IX. Amministrazione, economia, società e cultura, a cura di A.L. Bonella - A. Pompeo - M.I. Venzo, Roma 1997, ad ind.; G. Moroni, Diz. di erudiz. stor.-ecclesiastica, XXVIII, pp. 114-116 e Indici, ad vocem; R. Ritzler - P. Sefrin, Hierarchia catholica, VII, Patavii 1968, ad indicem.