FREGOSO (Campofregoso), Pietro
Primo di questo nome nacque a Genova da Orlando (Rolando) e da una Manfredina, di cui si ignora il casato, intorno al 1330. Gli scarsi dati sulla sua giovinezza indicano un'educazione tipica delle famiglie genovesi d'alto rango: il F. si dedicò certamente agli studi giuridici (dopo la metà del secolo è ricordato con l'appellativo di doctor iuris); coltivò l'arte militare e, per tradizione di famiglia, il commercio e la finanza. Fu proprio quest'ultima attività a impegnarlo con maggiore intensità nel primo periodo della sua vita: nel 1356 il suo nome compare, infatti, negli elenchi delle Compere del Banco di S. Giorgio e successivamente il F. partecipò alla Maona di Chio.
La vita politica del F. cominciò con l'elevazione al dogato del fratello Domenico (13 ag. 1370): nel 1371, infatti, venne nominato podestà di Novi e guidò con abilità una spedizione militare che tolse alla famiglia Fieschi il castello di Roccatagliata (nell'entroterra di Recco). L'anno successivo fu incaricato di un'importante missione: la spedizione contro il re di Cipro Pietro II di Lusignano il quale, con l'alleanza di Venezia, aveva cacciato i Genovesi da Famagosta impadronendosi dei loro beni. Il F., nominato ammiraglio, allestì una flotta di 36 galee armate e di 6 navi d'appoggio, con un effettivo di 14.000 soldati e salpò il 15 luglio 1372 alla volta di Cipro dove arrivò il 10 ottobre.
La spedizione - apertasi felicemente con la distruzione della flotta di Pietro II e con il saccheggio delle città di Pafo, Limassol e Nicosia - subì un rallentamento per l'assedio di Famagosta in cui si era fortificato il re, ma trattative fallite, tradimenti e imboscate non impedirono la conquista genovese della città e la cattura dello stesso Pietro II. Dopo lo scontro militare il F. guidò anche le difficili trattative di pace svoltesi con la mediazione del gran maestro dell'Ordine di Rodi, fino alla firma del trattato che restituiva al re Pietro II il dominio dell'isola in cambio del pagamento di un tributo perpetuo alla Repubblica di Genova, consistente in 40.000 fiorini d'oro annui. In tale occasione Pietro II s'impegnò anche a rifondere alla Repubblica di Genova 2.124.000 fiorini quale risarcimento per i danni di guerra e 90.000 fiorini per il mantenimento delle galee genovesi presenti nell'isola. Ai mercanti genovesi venivano inoltre garantite le concessioni fiscali e commerciali che erano state revocate dal sovrano prima della loro cacciata. A garanzia del trattato Genova avrebbe mantenuto per dodici anni il possesso del porto di Famagosta e, quali ostaggi, Giacomo di Lusignano, zio del re ed erede al trono di Cipro.
Il ritorno del F. a Genova nel 1375 fu veramente trionfale: venne accolto con grandi festeggiamenti e la Repubblica decise di esonerarlo insieme con il figlio Orlando da ogni futuro tributo, di regalargli la somma di 10.000 fiorini e un palazzo nel quartiere di Porta S. Tommaso, così ampio e ricco che nel 1376 fu scelto per ospitare il papa Gregorio XI durante il trasferimento da Avignone a Roma.
Dopo questa grande impresa le ambizioni politiche del F. aumentavano di giorno in giorno, ma la deposizione del fratello Domenico dal dogato, avvenuta il 17 giugno 1378, e la salita al potere delle famiglie Adorno e Guarco bloccarono la sua ascesa politica: il F., infatti, incarcerato nella torre del palazzo ducale, riuscì a fuggire, ma fu comunque costretto all'esilio. Cercò allora di accordarsi con gli Adorno, i Montaldo e gli Spinola, nemici del nuovo doge Niccolò Guarco, e di ottenere sovvenzioni in armi e denari dai Visconti. Nel 1380, approfittando dell'impegno di Genova nella guerra di Chioggia contro Venezia, allestì un piccolo esercito e penetrò nel territorio della Repubblica fino alle porte di Chiavari tentando nel contempo di far scoppiare tumulti a Genova; il piano, tuttavia, fallì per l'intervento delle truppe del capitano generale Gaspare Spinola che sbaragliarono gli insorti e costrinsero il F. a una difficoltosa fuga.
Queste sconfitte non lo distolsero, tuttavia, dalle sue mire. Nel 1383, approfittando della grazia concessa dal doge alla famiglia Fregoso, il F., appena rientrato in patria, strinse un accordo con Antoniotto Adorno e Leonardo Montaldo per organizzare una sollevazione popolare; nel corso dei tumulti i congiurati a capo di 3000 uomini fecero irruzione nel palazzo ducale e costrinsero Niccolò Guarco alla fuga. I congiurati, però, non raggiunsero un accordo per la spartizione del potere: venne fatto dapprima doge Federico da Pagano (3 apr. 1383), che rinunciò dopo pochi giorni, poi Leonardo Montaldo (7 aprile) e infine, dopo la sua morte, Antoniotto Adorno (15 giugno 1384). Nel corso del dogato dell'Adorno il F. venne nominato (1384) capitano generale della guerra terrestre e fu contemporaneamente ammesso nel Consiglio degli anziani della Repubblica.
Non trascurò tuttavia l'attività commerciale: nel 1388 risulta, infatti, proprietario e armatore di una nave con la quale si dedicava ai traffici con l'Oriente (in particolare con Famagosta).
Ben presto il F. ritornò alla sua principale occupazione; la cospirazione politica. Nel 1390 venne, infatti, nuovamente incarcerato con l'accusa di congiurare ai danni della Repubblica e del doge e poté riottenere la libertà solo in agosto grazie al nipote Giacomo che, deposto l'Adorno, era stato eletto al dogato. Riprese quindi l'attività politica con la carica di dottore anziano, nonché quella commerciale investendo in azioni (carati) della Maona di Chio. Nell'aprile dell'anno successivo un ennesimo colpo di Stato riportò al potere per la terza volta Antoniotto Adorno, seguì una dura repressione nel corso della quale il F., accusato di aver preso parte a una sollevazione nella città di Savona (che, peraltro, non trova riscontro nell'annalistica locale), fu nuovamente incarcerato nella fortezza di Novi per circa un anno fino alla successiva deposizione dell'Adorno.
Ad appena un mese dalla liberazione e all'età di oltre 60 anni il suo sogno sembrò finalmente concretizzarsi: il 13 luglio 1393 prese parte a una complicata congiura ai danni del doge Antonio Montaldo, intessuta con le famiglie Zoaglio, Promontorio e Guarco; mentre gli armati del doge erano impegnati a sconfiggere gli uomini guidati da Ludovico Guarco, il F. riuscì con l'astuzia a impadronirsi del palazzo ducale e della massima carica della Repubblica. Il suo potere durò tuttavia alcune ore soltanto, ossia fino all'irruzione delle schiere fedeli a Clemente Promontorio che assunse il dogato.
Il F., tornato alla carica di consigliere del Comune e all'attività giuridica e finanziaria, non abbandonò tuttavia le proprie ambizioni, favorito in questo dall'instabile situazione politica di Genova. Clemente Promontorio rimase in carica solo due giorni, il suo successore, Francesco Giustiniani Garibaldo, due settimane, cioè fino al ritorno al potere di Antonio Montaldo, sostituito poi, dopo meno di un anno da Niccolò Zoaglio (24 maggio 1394). In tali circostanze il F. si alleò con Antonio Guarco per assalire il palazzo ducale; l'azione fu coronata dal successo, ma la rivalità scoppiata tra i due congiurati portò all'insolita procedura di ballottaggio per sorteggio: l'urna fu favorevole al Guarco cui venne assegnato il dogato, peraltro di breve durata.
L'ennesimo smacco causò probabilmente la fine delle ambizioni e il ritiro del F. dalla politica attiva, dato che il suo nome scompare dalla storia genovese. Si limitò, infatti, a proseguire i suoi compiti nell'ambito del Consiglio degli anziani e a svolgere sotto il governo francese di Genova - iniziato nel giugno 1396 - incarichi di minor prestigio quali la partecipazione alla commissione che, per conto del governatore de Colleville, doveva prendere possesso della fortezza di Portovenere acquistata dalla Repubblica.
La sua data di morte è fissata dal Litta al 22 apr. 1404 a un'età di circa 75 anni. Il F. venne sepolto nella chiesa di S. Francesco di Castelletto, oggi scomparsa.
Dai due matrimoni con Teodora d'Andreolo Spinola, morta nel 1370, e con Benedetta di Enrichetto Doria ebbe numerosa prole: i figli Tommaso, Bartolomeo, Spinetta (I), Battista, Orlando, Abramo, Giovanni, Prospero, morto in giovane età, Martino podestà di Savona e ambasciatore di Genova presso la Curia romana e le figlie Susanna, andata sposa a Manfredo Sauli; Pomella, moglie del signore di Monaco Giovanni Grimaldi; Bianca, sposatasi in prime nozze con Gianotto De Novis di Cipro e in seguito con Troilo Spinola di Luccoli.
La figura del F. e il suo operato hanno suscitato presso gli storici genovesi giudizi alquanto discordi: uomo magnanimo e probo secondo lo Stella, di animo inquieto e incline al tradimento e alla perfidia, ma anche sagace e assennato per il Bizzarri. Fu certamente un tipico rappresentante della classe politica genovese trecentesca: grande stratega e buon soldato, abile mercante e capace magistrato, ma spinto dall'ambizione del potere e condizionato da una situazione politica fatta di intrighi e lotte familiari.
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