GAMBARA, Pietro (Pietro da Gambara)
, Pietro (Pietro da Gambara). - Figlio di Brunoro, nobile bresciano, e di Ginevra Nogarola, letterata veronese, nacque probabilmente nella prima metà del XV secolo, se già il 24 nov. 1461 papa Pio II gli affidava per un anno una condotta militare di 20 corazze a cavallo e di 50 balestrieri a piedi dietro un corrispettivo di 2300 fiorini d’oro. Aveva comunque raggiunto la maggiore età alla morte del padre nel 1468 quando, insieme con Maffeo e Gianfrancesco ricevette indivisa l’eredità patema, anche a nome dei fratelli più piccoli Nicolò e Marsilio. Lo stesso anno, il 26 aprile, ottenne da Venezia la conferma dei feudi già concessi alla famiglia e l’esenzione dai dazi cittadini. Nella successiva ripartizione dei beni ereditari, avvenuta nel 1473, gli spettarono i possedimenti di Gambara, Corvione, Vemico, la quarta parte di quelli di Leno e la casa in Brescia, mentre i dazi e i diritti di giurisdizione restavano di possesso comune.
A partire dal 1440, però, la posizione del Comune di Brescia si era andata rafforzando nei confronti della giurisdizione dei separati e dell’esenzione dei distrettuali, limitandone l’autonomia e dando maggiore uniformità al potere della città sul territorio: si spiegano in questo contesto le numerose vertenze che videro di fronte il G. e i magistrati cittadini. Un primo intervento si ebbe nel giugno del 1468 quando il capitano di Brescia esentò il G. dal pagamento del dazio del traverso; privilegio confermato da una lettera ducale del 7 marzo dell’anno seguente. Una situazione diversa era, invece, quella relativa all’imbottato per la quale nel 1469, 1471, 1474 e 1476 il G. ottenne giustizia contro alcuni cittadini che detenevano beni a Gambara, ma che si rifiutavano di pagare la tassa al signore locale. Le sentenze rettorali e ducali del 1471-72,1479, 1488-89 e 1491 confermarono inoltre la separazione dei beni del G. dall’estimo generale e la loro iscrizione in elenchi separati. Ferma rimase poi la sua posizione nei confronti dei servizi di natura militare (alloggiamenti di cavalli e di soldati concessi nel 1468, 1472, 1477, 148889 e 1495), sempre compiuti per benemerenza e non in virtù di obblighi; parimenti si comportò in occasione di opere di pubblica utilità come nel caso di strade, ponti, fortezze o fossati.
Il rafforzamento patrimoniale era comunque tra le principali preoccupazioni del G., che procedette ad acquisti di terra specialmente a Gambara: tra il 1468 e il 1498 numerose case castellane e del borgo, insieme a circa 70 ettari di terra, entrarono a far parte del suo patrimonio. Nel 1485, d’accordo con i fratelli Maffeo e Marsilio e con Scipione Martinengo, comprò dalla Comunità di Ghedi tutti i diritti sulle acque di quel territorio, il 30 settembre dello stesso anno ripartì con i familiari la rimanente parte dell’eredità paterna rimasta ancora indivisa in modo che la quota spettante a ciascuno fosse di piena proprietà e a lui venisse confermata la giurisdizione del feudo di Gambara. Tuttavia, alcune differenze nel frazionamento lo portarono a scontrarsi con i fratelli Nicolò, Gianfrancesco e Marsilio; ma, dopo la morte di quest’ultimo (1457), le polemiche si stemperarono.
Assai controversi furono nel corso degli anni i rapporti intrattenuti dal G. con le autorità bresciane in merito alle rivendicazioni di natura giurisdizionale da queste avanzate anche per territori direttamente sottoposti al Gambara. Il 7 sett. 1470 fu stabilito che al podestà di Brescia spettasse giudicare in sede di appello le sentenze degli ufficiali del G.; tale decisione, però, scatenò immediate reazioni da parte dei diretti interessati e poco dopo il G., rivolto si alle autorità veneziane, ottenne una conferma delle sue prerogative giurisdizionali sulla località di Gambara. Nel marzo 1477, dopo diversi provvedimenti intermedi, la controversia in materia criminale scoppiata con il Comune entrò nel vivo per concludersi il 19 luglio dello stesso anno, quando il Senato veneziano, accogliendo in parte le richieste dei magistrati bresciani, fissava i limiti della giurisdizione penale del G. alle cause comportanti pene inferiori ai due mesi di reclusione, la condanna alla berlina, la fustigazione e le ingiunzioni pecuniarie non superiori alle 25 lire. Se da un Iato, infatti, furono introdotti espliciti limiti ai poteri giudiziari dei vassalli in criminalibus, dall’altro venne ribadita la loro completa separazione dalla città e riconosciuto solo agli auditori veneziani l’esperimento delle cause d’appello.
Non si conosce il ruolo svolto dal G. in occasione della cosiddetta guerra di Ferrara (1482-84) che vide il territorio bresciano devastato dalle forze di Roberto Sanseverino, al soldo di Venezia (alleatasi con Sisto IV), e dalle armate di Ludovico Sforza e Alfonso d’Aragona, schierati al fianco di Ercole I d’Este. Il 27 ag. 1483, in uno dei momenti in cui l’autorità di Venezia appariva più labile, un documento della Cancelleria milanese attestava, a nome di Gian Galeazzo Maria Sforza, il possesso del feudo di Gambara al solo G., accompagnando la concessione con l’esenzione fiscale per dodici anni - a eccezione degli alloggiamenti militari -, la separazione dalla giurisdizione della città e una certa autonomia amministrativa nelle cause private.
All’incirca nello stesso periodo, in occasione del matrimonio della figlia Paola (terziaria francescana morta nel 1515, beatificata nel 1845) con Ludovico Costa, il G. le assegnava una dote di 6000 ducati; nell’anno 1489, per volontà della moglie Taddea Martinengo, faceva compilare l’inventario dei beni mobili del feudo di Pralboino, mentre per la dote delle altre due figlie Laura e Ippolita, ricavata dalle entrate familiari in comune, veniva citato in giudizio dai fratelli (1492), ai quali versava 3000 ducati come risarcimento. Oltre alle tre figlie, sono noti anche i nomi di due figli maschi: Federico e Ludovico, ancora minorenni al momento della morte del padre e sottoposti alla tutela materna. Il 26 nov. 1502, papa Alessandro VI concedeva al G. il privilegio di poter avere da qualunque sacerdote l’assoluzione per i casi riservati.
La sua morte avvenne nel mese di settembre del 1504.
Benché dedito in prevalenza al governo del suo feudo, il G. ebbe anche una particolare attenzione al mondo della cultura. Illetterato bresciano Filippo Barbieri lo descrive in una lettera del 1472 nella veste dello studioso tutto intento a connettere più soluzioni possibili intorno a un problema, giudizio condiviso dall’umanista Giovanni Britannico e dal domenicano Vincenzo Bandello. AI contributo finanziario del G. si deve la prima edizione del Liber Elhavi di ar-Rhazi edita presso la tipografia dei Britannico nel 1486 (Indice generale degli incunaboli delle biblioteche italiane, n. 8342) nonché la stampa del Tracrarus de morbo et sanitate equorum di Giordano Ruffo, uomo d’arme e veterinario alla corte di Federico II (Rhodes, pp. 123 s.).
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