GARZONI, Pietro
Nacque a Venezia, nel palazzo di S. Samuele, il 18 apr. 1698, da Francesco di Pietro e da Maria Mocenigo di Michele di Giovanni.
La condizione di figlio unico - unitamente alla consistente dote della madre, ultima del suo ramo - gli risparmiò talune preoccupazioni economiche che in un passato non lontanissimo avevano pesato sulla famiglia; naturalmente dovette sposarsi assai presto, per provvedere alla continuità del casato: e così appena ventiduenne, il 30 apr. 1720, impalmava Foscarina Cappello di Benedetto Nicolò (II) detto Agostino, del ramo a Ss. Giovanni e Paolo, dalla quale ebbe almeno quattro figli maschi.
Iniziò la carriera politica entrando savio agli Ordini per il semestre aprile-settembre 1724; di lì a qualche mese (29 agosto) optava per la camerlengaria di Comun.
Era questa una carica minore, espressa dal Maggior Consiglio e non dal Senato, come l'altra; la rinuncia del G. a un cursus honorum che l'avrebbe condotto rapidamente ai vertici dello Stato si deve al fatto che egli dovette cedere il posto nel Collegio al nonno omonimo, lo storiografo, che avrebbe pervicacemente continuato a sedere tra i savi del Consiglio sin quasi al compimento dell'ottantottesimo anno, nel 1733.
Il G. sostenne pertanto il provveditorato alla Sanità (11 luglio 1727 - 10 luglio 1728) e poi quello sopra le Camere (27 ott. 1728 - 26 febbr. 1730); quindi fu savio alle Decime (6 genn. 1731 - 5 genn. 1732) e ufficiale alle Cazude dal 23 apr. al 21 dic. 1732, allorché risultò eletto capitano a Bergamo. Ottenne la dispensa, probabilmente dietro pressioni del nonno, e la cosa si ripeté quando gli fu affidata la podestaria di Verona, il 29 giugno 1734. Il 1735 segnò una svolta nella vita del G.: la morte dell'avo nel febbraio, seguita qualche mese dopo da quella del padre, consentì al G. di accettare finalmente un rettorato, la luogotenenza a Udine, tenuta dal 31 luglio 1735 al 30 nov. 1736. Di essa possediamo la relazione conclusiva, letta in Senato il 12 dic. 1736 e in buona parte volta a lamentare l'incredibile sequela di pubbliche e private calamità abbattutesi sull'infelice titolare. Dopo aver ricordato le luttuose contingenze della sua casa, che l'avevano lasciato "senza conforto e senz'appoggio, et i domestici affari senza direttione e custodia", passa a elencare le "straordinarie spinosità" della carestia abbattutasi proprio allora sul Friuli e che l'aveva posto "nelle maggiori angustie"; penuria prontamente seguita dal "flagello della mortalità de' bovini": mali aggravati entrambi dal passaggio delle truppe imperiali impegnate nella guerra di successione austriaca, che aveva comportato "accrescimento a me di fatica, et a' popoli d'incommodo". Ovviamente, tali "estraordinarie insorgenze" avevano finito per occupare "gran parte delle [sue] applicationi", sicché il G. lascia intendere di non aver potuto far molto sul piano amministrativo: un poco di attenzione alla riscossione dei dazi, qualche sbirciata alla revisione della contabilità di fraterne e luoghi pii, sporadici tentativi di pervenire a una momentanea composizione dei contrasti confinari con gli Arciducali.
Pertanto, l'elezione a consigliere ducale per il sestiere di S. Marco, avvenuta dal 1° ott. 1738, è da intendersi come riconoscimento del G. quale unico rappresentante della famiglia piuttosto che come premio per il servizio prestato.
In quegli anni il G. riuscì ad ampliare la biblioteca e la raccolta di medaglie voluta dal nonno, così da meritarsi l'elogio di Marco Foscarini (il quale scrisse del G. che "alla civile prudenza e alla soavità de' costumi unisce un delicato genio per le cose antiche"); inoltre, affidò all'architetto Francesco Maria Preti - che ripropose formule palladiane nella rielaborazione allora suggerita dai Riccati - la costruzione di una splendida villa a Godego, nel Trevigiano.
Dopo la luogotenenza di Udine e il conseguimento della carica di consigliere ducale, la carriera del G. proseguì su un più sostenuto livello: fu infatti membro del Consiglio dei dieci dal 1° ott. 1739 al 30 sett. 1740 e poi ancora, sempre per lo stesso periodo, negli anni 1742-43, 1745-46, 1749-50, 1752-53, 1755-56, 1758-59 (in quest'ambito sostenne le funzioni di inquisitore di Stato per alcuni mesi, nel 1740, 1753, 1758 e nel giugno del 1760) e nel giugno 1759 si adoperò presso gli inquisitori al fine di impedire la stampa di un libro del gesuita Francesco Antonio Zaccaria, dietro sollecitazione dello stesso generale della Compagnia, Lorenzo Ricci, timoroso di aizzare una polemica già aspra.
La lunga permanenza nel Consiglio dei dieci racchiude in qualche modo il senso della militanza politica del G.; inconcludente risultò infatti il tentativo di accedere al gruppo dei patrizi che guidavano la vita culturale della Repubblica: dall'11 marzo 1741 fece parte per un anno dei quattro aggiunti ai riformatori dello Studio di Padova, ma la cosa non ebbe seguito.
Densa di cariche, peraltro, la carriera: entrò a far parte dei provveditori sopra Feudi il 13 genn. 1742, degli esecutori contro la Bestemmia il 7 dic. 1743, dei provveditori agli Ori e Argenti in Zecca il 12 dic. 1744, dei provveditori alle Artiglierie il 24 nov. 1746, dei deputati al Commercio il 27 apr. 1747, del Collegio delle Pompe l'8 maggio 1749, dei conservatori del Deposito l'8 ott. 1750, dei savi all'Eresia l'11 febbr. 1751, dei sopraprovveditori alla Sanità l'11 dic. 1756, dei provveditori sopra Monasteri il 21 dic. 1757. Fu ancora per due volte consigliere ducale (1° giugno 1747 - 31 maggio 1748 e 1° febbr. 1760 - 31 genn. 1761); fu nominato savio alle Acque il 9 ott. 1751 e il 1° febbr. 1753 ed eletto inquisitore sopra il doge defunto (Pietro Grimani) il 12 marzo 1752.
Degli anni successivi sappiamo che nel 1760 il G. era presidente del consorzio di bonifica Rosta Dolfina, presso la Brenta, e che quattro anni dopo otteneva dai provveditori sopra Beni inculti la concessione di sfruttare l'acqua del Po di Gnocca per realizzare a Loreo una risaia di 40 campi.
Morì nella sua abitazione a S. Samuele il 1° genn. 1769. Qualche mese più tardi la vedova, Foscarina, stendeva un testamento ove manifestava dolore per la situazione venutasi a creare tra i figli, che avevano proceduto alla divisione del patrimonio: uno di essi, l'abate Francesco, "è incapace di regersi da se stesso"; un altro, Marino, favorito dai benefici economici dovuti alla primogenitura, era autonomo dalla famiglia; l'ultimo, Agostino, "benché ammogliato con dama di sangue illustre e col carico di numerosa figliolanza" le sembrava essere l'unico in grado di reggere le sorti del casato, e pertanto di meritare la sua eredità.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, M. Barbaro - A.M. Tasca, Arbori de' patritii…, IV, c. 20; Ibid., Segretario alle Voci, Elezioni del Maggior Consiglio, regg. 26, cc. 14, 27, 35, 246; 27, cc. 3, 22, 36, 149, 192, 208; 28, c. 2; 29, cc. 3, 124; Ibid., Elezioni Pregadi, regg. 22, cc. 26, 68, 91, 93, 180; 23, cc. 57, 64, 79, 86, 91, 97, 100, 102, 105, 132, 135; 24, cc. 125, 132, 134; Ibid., Consiglio dei dieci, Elezioni, reg. 66, passim; Ibid., Provveditori sopra Beni inculti, Investiture, b. 404, sub 22 dic. 1760 e 6 ott. 1764; Ibid., Provveditori e sopraprovveditori alla Sanità, Necrologi, reg. 955, sub die. La relazione di Udine, in Relazioni dei rettori veneti in Terraferma, I, La Patria del Friuli (Luogotenenza di Udine), a cura dell'Istituto di storia economica dell'Università di Trieste, Milano 1973, pp. 351-355. Collezioni di antichità a Venezia nei secoli della Repubblica…, a cura di M. Zorzi, Roma 1988, p. 106; M. Infelise, Gesuiti e giurisdizionalisti nella pubblicistica veneziana di metà '700, in I Gesuiti e Venezia. Momenti e problemi di storia veneziana della Compagnia di Gesù, a cura di M. Zanardi, Padova 1994, p. 674; T. Beltrame - F. Boaron, Villa Mocenigo-Garzoni-Martini e il suo parco, Resana (Treviso) 1997, pp. 10-12; per le disposizioni testamentarie della vedova, V. Hunecke, Il patriziato veneziano alla fine della Repubblica. 1646-1797. Demografia, famiglia, ménage, Roma 1997, p. 311.