GENERALI, Pietro
Nacque a Masserano, presso Biella, il 23 ott. 1773. Il vero cognome, Mercandetti, fu probabilmente cambiato dal padre dopo il trasferimento della famiglia a Roma in seguito a bancarotta o, meno verosimilmente, fu assunto dallo stesso compositore per gratitudine nei confronti di un mecenate.
A Roma il G. cominciò giovanissimo a studiare musica con G. Masi, maestro di cappella a S. Giacomo degli Spagnuoli, diventando poi "laureato" alla Congregazione di S. Cecilia; è di questo periodo la composizione di diversa musica sacra. Per quattro mesi il G. frequentò inoltre, a Napoli, il conservatorio di S. Pietro a Majella, ma tali studi vennero considerati irrilevanti dallo stesso compositore.
Dopo aver affrontato inizialmente il genere sacro, il G. si dedicò al teatro, facendo rappresentare a Roma, Gli amanti ridicoli (libr. di G.B. Lorenzi, teatro Pace, carnevale 1800) e Le nozze del duca Nottole (1801), cui seguì nel 1802 Le gelosie di Giorgio (G. Palomba, Bologna). Grande successo riscosse la Pamela nubile (G. Rossi), rappresentata a Venezia nell'aprile 1804 al teatro S. Benedetto, dove in giugno venne data anche La calzolaia (o La calzolaia strasburghese, libr. di Rossi).
Tutta la produzione iniziale del G., fino all'Attila (Rossi, Bologna 1812), fu improntata al genere buffo; in tutte queste opere sono evidenti dei cambiamenti riguardo al consueto repertorio operistico, avvertibili, d'altronde, anche in altri musicisti coevi, come adattamenti a un nuovo clima linguistico e culturale.
Elementi innovatori nelle opere del G. furono una certa vivacità melodica, l'uso inconsueto delle modulazioni e della strumentazione allo scopo di conseguire precisi fini drammaturgici; questo stile avrebbe anticipato caratteristiche rossiniane, tanto da far considerare - infondatamente - il G. inventore del "crescendo", come si legge sulla sua lapide.
L'attività creativa del G. fu in questo primo periodo particolarmente intensa, e le sue opere furono rappresentate con successo in parecchi teatri italiani. Si ricordano, tra le altre, Don Chisciotte (Rossi, Milano, teatro alla Scala, 12 maggio 1805); L'idolo cinese (G.B. Lorenzi, con modifiche di Palomba, Napoli, teatro Nuovo, carnevale 1808); Le lagrime di una vedova (G.M. Foppa, Venezia, teatro S. Moisè, 26 dicembre 1808); le farse, su versi di Rossi, rappresentate nel 1810 sempre al S. Moisè: Adelina (o Luigina, Luisina; 15 o 16 settembre), che riscosse uno strepitoso successo e fu ripresa anche in altri teatri della penisola, e La Cecchina suonatrice di ghironda (26 dicembre).
Affermato in Italia e all'estero, l'anno successivo il G. fece allestire diverse opere comiche, tra cui La vedova delirante (Roma, teatro Valle, gennaio 1811), e nel 1812, oltre alla già citata Attila, La vedova stravagante (L. Romanelli, Milano, teatro alla Scala, 30 marzo 1812), e Isabella, ossia Il più meritato compenso (Foppa, Venezia, teatro S. Moisè, 26 dicembre 1812).
Successivamente il G. si dedicò soprattutto al genere serio, nonostante scrivesse ancora molte farse e opere semiserie. Dopo alcuni lavori per i teatri di Napoli, Torino e Genova, il 21 maggio del 1815 fu messo in scena alla Scala di Milano L'impostore, e l'anno seguente La vestale (Trieste) e I baccanali di Roma (Rossi, Venezia, teatro La Fenice, 14 gennaio 1816), opera che ebbe notevole successo, e venne data anche a Vienna nel 1820.
Nonostante l'ampia diffusione delle sue opere, l'"ingombrante" presenza rossiniana influì negativamente sulla carriera del G., come su quella di altri compositori dell'epoca, oggi considerati minori, che pure vantavano un'intensa attività professionale. Pare infatti che il G. si fosse trasferito a Barcellona come direttore del teatro de la S. Creu nel 1817, proprio in seguito al diminuito interesse in Italia per la sua produzione. Nonostante anche a Barcellona si rappresentassero prevalentemente opere rossiniane, il G. riuscì a far dare al S. Creu una sua opera nuova (Gusmano de Valhor, 1° dicembre 1817) e due già scritte per altri teatri. In Spagna rimase circa tre anni, a parte un soggiorno in Italia nel 1818, anno in cui furono rappresentate al S. Carlo di Napoli Ebuzio (9 settembre), e al Regio di Torino La rosa bianca e la rosa rossa (F. Romani; 26 dicembre).
Nel 1819 il G. si recò a Parigi, dove pare avesse cominciato a comporre due opere, una francese per il théâtre Feydeau e una italiana per il Théâtre-Italien, che non furono però mai portate a termine; tuttavia, altre produzioni non nuove del G. furono allestite al Théâtre-Italien, e suoi lavori furono rappresentati quello stesso anno a Lisbona (Idomeneo), Firenze, Rovigo e Roma.
Dalla fine del 1820 il G. fu attivo a Napoli, dove si trattenne fino al 1823; in quel periodo ebbe come allievo L. Ricci, che, sotto la sua guida, avrebbe scritto L'impresario in angustie (1823), operetta giocosa messa in scena nel teatro piccolo del Collegio di musica dagli allievi. In seguito, il G. raccomandò il Ricci per il suo esordio pubblico, avvenuto a Napoli nel 1824.
In quell'anno, al S. Moisè di Venezia, si allestì Marco Tondo (altra versione de L'impostore). Sempre nel 1823, il G. venne chiamato a Palermo come direttore del teatro Carolino; ivi, nel luglio 1824, in occasione della visita della duchessa di Parma Maria Luisa d'Asburgo Lorena, compose e diresse la cantata Il tempio di Minerva (G. Bartoli), mentre nel 1825, per la successione al trono di Francesco I, scrisse l'inno celebrativo Il vero omaggio (Bartoli), da lui stesso diretto.
Nella primavera del 1825 il G. dovette lasciare la direzione del teatro Carolino a G. Donizetti, probabilmente per motivi di salute, riprendendo il proprio posto la stagione successiva; a luglio, per il compleanno della regina Maria Isabella Borbone Spagna, si diede la sua cantata con coro Le preghiere (Bartoli) e, l'anno successivo, nella stessa occasione, un inno su testo di C. Alberti.
In questo periodo la sua produzione subì un netto calo, attribuibile, oltre ai dilaganti successi rossiniani, anche alla malferma salute, causata da sregolatezze, e a una certa incuria nella rappresentazione delle sue opere, spesso messe in scena ancora incompiute, e perfezionate successivamente, con grave imbarazzo degli stessi interpreti.
Nel maggio 1826 la polizia scoprì che il compositore apparteneva a una loggia massonica, e fu per questo espulso dal Regno a settembre. Intanto, ad agosto, si era data al Carolino la cantata La reggia del sole, per il ritorno da Messina del marchese delle Favare. Forse tale composizione rappresentava un ultimo tentativo del G. di correre ai ripari per la scoperta della sua aderenza alla massoneria.
Nel 1827 si recò a Novara, dove ricoprì la carica di maestro di cappella della cattedrale, posto che mantenne fino alla morte. Gli ultimi anni del G. furono dedicati soprattutto all'insegnamento e alla composizione di musica sacra, il cui stile, sotto diversi aspetti, non si discosta dalla sua produzione per il teatro.
Tra le numerose composizioni sacre, scritte soprattutto per la cattedrale di Novara, si ricordano messe, salmi, magnificat, requiem, litanie, offertori, sequenze, mottetti, destinati a diversi organici (soli, coro con orchestra, archi, organo, coro a cappella).
Il G. scrisse anche l'oratorio La caduta di Gerico (Palermo 1824), più volte rappresentato anche in altre città, e lo Stieger riporta, tra le cantate, Roma liberata (1801), Ero e Leandro (1810), La beneficenza (1816), Il trionfo d'Alessandro (1816).
Le sue ultime opere furono: Il voto di Jefte (azione tragico-sacra, F. Gnecco, Firenze, teatro della Pergola, 11 marzo 1827), Il divorzio persiano (Romani, Trieste, teatro Grande, 31 gennaio 1828), Francesca da Rimini (P. Pola, Venezia, teatro La Fenice, 26 dicembre 1828), che T. Locatelli giudicò negativamente per la noncuranza e "trivialità di stile", Il romito di Provenza (Romani, Milano, teatro alla Scala, 15 gennaio 1831), Beniowski,ossiaGli esiliati in Siberia (Rossi, Venezia, teatro La Fenice, 17 marzo 1831) e il postumo La gabbia dei matti (Novara, primavera 1833).
Le opinioni sul G. furono diverse: erano apprezzate l'orchestrazione, la vivacità del ritmo e le belle melodie, ma tali qualità erano spesso vanificate dalla pigrizia e superficialità del compositore, che lo portavano a ripetere spesso gli stessi schemi. Fu perciò, qualche anno dopo la sua morte, praticamente dimenticato, e le sue opere non più rappresentate.
Il G. morì a Novara il 3 nov. 1832. Gli successe come maestro di cappella, nel 1833, S. Mercadante, che scrisse una sinfonia funebre in suo onore.
Per l'elenco completo delle opere teatrali si rimanda al catalogo in The New Grove Dictionary of opera.
Il G. scrisse anche opere didattiche: 18 solfeggi, scale numerate e Sonetti per cembalo.
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