GIACOMELLI, Pietro (Piero)
Nacque a Venezia il 21 ott. 1892 da Giacomo, di professione fotografo, e da Elisabetta Mez. La famiglia, di origine triestina, si era trasferita a Venezia nel maggio del 1887.
Giacomo, figlio di Giacomo e Domenica Viezzoli, era nato il 20 dic. 1860 a Trieste. I motivi del suo allontanamento dalla città, allora sotto dominazione austriaca, si fanno generalmente risalire alle sue simpatie irredentiste: tuttavia, nei registri della Luogotenenza austriaca - conservati presso l'Archivio di Stato di Trieste - non compare il suo permesso di espatrio; e l'unico documento esibito agli uffici comunali veneziani è il congedo dalla Marina austriaca (Venezia, Arch. storico comunale, Immigrazione, 1897, n. 20808). Ciò avvalora l'ipotesi che egli sia uscito da Trieste clandestinamente, anche se il suo nome non figura fra gli irredentisti segnalati nelle carte della polizia austriaca (Arch. di Stato di Trieste, Irredenta). Giacomo lasciò la città precipitosamente e già con una figlia naturale di quattro anni, Giovannina, nata a Milano, e riconosciuta solo più tardi. La sua formazione professionale era quella più frequente per l'epoca, in cui paesaggio e ritratto erano i generi prevalenti. Buon ritrattista, Giacomo venne assunto come lavorante a Venezia da Giovanni Contarini che nel 1860 aveva aperto, inizialmente in società col fratello Marco, un piccolo stabilimento fotografico in via 22 marzo, all'angolo del rio di S. Moisè. Dopo una lunga collaborazione, Giacomo divenne socio del fotografo condividendo la titolarità dello studio Contarini-Giacomelli.
Come per altri contemporanei veneziani, l'attività, in gran parte centrata sul ritratto, venne condizionata da una crescente domanda di documentazione fotografica a cui le industrie - che a Venezia erano numerose - e le istituzioni pubbliche affidavano la celebrazione delle loro sorti. Fra il materiale conservato dai Giacomelli, le uniche testimonianze rimasteci di quel lavoro sono alcune lastre cm 30 × 40 - frammenti di un vero e proprio servizio fotografico databile al 1894 circa - del vecchio mulino Stucky, sul canale della Giudecca. La numerazione dei negativi sulle rubriche dell'epoca testimonia di un imponente lavoro di ritrattista che, dopo la morte del socio (4 ag. 1902), Giacomo condusse in prima persona. Alla morte di Matilde Torelli, vedova di Contarini, nel settembre del 1904 egli rilevò dagli eredi la loro quota dell'azienda, trasformandola nella ditta individuale Giacomo Giacomelli, successore a Contarini, definita, nelle carte della Camera di commercio, "industria della fotografia con negozio per vendita di articoli fotografici". Le 6390 lire sborsate per la transazione testimoniano di una notevole floridezza dell'esercizio. Del lavoro di quegli anni si sono conservati solo pochi negativi di grande formato, raffiguranti principi montenegrini e componenti della famiglia reale italiana. All'epoca egli poté fregiarsi del brevetto di "fornitore della Real Casa", conferitogli da Vittorio Emanuele III, committente di quei ritratti, e godere del notevole prestigio acquisito col suo vecchio socio.
Negli anni successivi la sua attività si consolidò ulteriormente. Morì a Venezia il 19 genn. 1907, di polmonite; sembra che avesse contratto la malattia in seguito a una delle nuotate fuori stagione con le quali egli era solito celebrare l'arrivo del nuovo anno: ai funerali presero parte numerosi fotografi veneziani, fra cui T. Filippi, e altri dello studio di C. Naya; la bara venne portata a spalla da sei dipendenti, tra cui Domenico Busetto, che divenne poi capo del personale (Il Gazzettino, 23 genn. 1907).
Il G., giovanissimo, la madre e lo zio Carlo Mez ebbero il compito di gestire lo studio in una fase di cruciale transizione per la produzione fotografica. Con l'aiuto dei lavoranti più esperti, essi riuscirono a far progredire il lavoro e a reggere la concorrenza, grazie anche alla fama di cui godeva lo studio in città. I ritratti rimasero al centro della loro attività, nella quale il G. si cimentò a tempo pieno.
Accanto alle ricorrenti serie raffiguranti i componenti della famiglia reale, databili fra il 1909 e il 1915, si contano alcune migliaia di ritratti eseguiti durante il periodo che comprende la prima guerra mondiale; e ciò pose lo studio a relativo riparo dai pesanti contraccolpi subiti in quegli anni dalle attività economiche di Venezia e derivati dalla vicinanza del fronte.
In pochi anni il G. trasformò l'impresa paterna in una struttura professionale capace di affrontare i nuovi compiti imposti dalla funzione che la fotografia veniva via via assumendo. Negli altri paesi industriali la produzione e la "confezione" di immagini si affermava come elemento indispensabile dell'organizzazione del potere e della comunicazione di massa. Lo studio del G., pur con estrema prudenza formale, si inserì in questo processo, di cui possiamo collocare gli inizi, in Italia, dal secondo decennio del secolo, e che a Venezia, proprio con la fine del conflitto e l'avvio di una lunga stagione di lavori pubblici e insediamenti industriali, sarà particolarmente marcato.
Il merito maggiore del G. sta, forse, nell'aver intuito il ruolo nuovo che lo studio fotografico avrebbe potuto svolgere come "industria" produttrice su larga scala di immagini.
Nel 1919 egli rilevò la gestione dell'azienda dalla madre e ne modificò la denominazione in Reale Fotografia Giacomelli. Il 20 novembre dello stesso anno sposò Amelia Bullo. Sempre al 1919 risale la prima traccia di una "sezione industriale" dello studio.
Il G. comprese subito l'enorme importanza che andava assumendo la documentazione fotografica, realizzata per campagne condotte con macchine di grande formato e secondo un taglio che richiama le pose ottocentesche, da cui si allontana, però, nettamente per la consequenzialità puntuale delle riprese, concepite come parti di un'unica, grande, dettagliatissima celebrazione dell'evento o dei luoghi: siano essi il lavoro di una grande fabbrica o le sale di un lussuoso albergo. Il punto di vista delle inquadrature è centrale e la composizione studiata accuratamente. Si tratta di immagini fortemente condizionate dalla committenza, destinate a fornire una lettura rassicurante dell'operosità di cantieri e industrie, o del nitore di locali e reparti, e ciò si realizzò per mezzo di un grande rigore formale e una estrema meticolosità nella esecuzione, anche se una certa piattezza ripetitiva condiziona, spesso, la struttura dei servizi.
La notevole capacità di tessere rapporti pubblici condusse presto il G. a collocarsi in quella borghesia veneziana medio-alta composta dai numerosi imprenditori e notabili beneficati dalle iniziative di G. Volpi e dei gruppi finanziari che puntavano sul polo nascente di Porto Marghera come primo atto di una "grande Venezia", capitale industriale e culturale. Lo sviluppo di Marghera coincise con un notevole incremento dell'attività dello studio.
Dal 1919, data delle riprese iniziali, ininterrottamente fino al 1939, la produzione "industriale" - così appare nelle rubriche tutto ciò che non attiene al ritratto - degli operatori del G. arrivò alla considerevole cifra di 44.000 fra lastre e pellicole di vario formato. La maggior parte dei negativi riguardanti i grandi lavori e gli edifici sono in formato cm 21 × 27 e di estrema accuratezza esecutiva, come pure le stampe, per le quali viene ottenuto un eccellete livello di finitura.
Il G. assisteva all'impostazione iniziale dei servizi fotografici, ne controllava l'esito, ne decideva i caratteri. Egli tuttavia lavorò quasi esclusivamente come ritrattista, gratificato da un grande successo. Accanto alle tradizionali pose che richiamano i modelli ottocenteschi, percorse tutte le vie del genere, privilegiando fino alla fine della sua carriera questo ambito espressivo - pur consapevole del suo progressivo, inevitabile declino - rispetto al preponderante lavoro dello studio, delegato quasi sempre allo stuolo di operatori alle sue dipendenze.
Anche i ritratti furono numerosissimi - oltre 40.000 - e di diverso impegno. Dalle vecchie carte da visita, via via sostituite dal formato tessera, alle immagini "ufficiali" che si concedevano i più agiati e di cui, spesso, si occupava direttamente il G. utilizzando come fondali i tessuti di Mariano Fortuny, sistemati intorno alla grande sala di posa all'ultimo dei tre piani occupati nello stabile di S. Moisè, illuminata dai lucernai che la sovrastavano.
I membri dell'aristocrazia locale e della famiglia reale intrattennero con lui frequentazioni amichevoli, e ciò valse anche per il ceto politico. Il G. fu iscritto al partito fascista, ricevette vari riconoscimenti - a quarant'anni fu fatto commendatore - e ritrasse regolarmente notabili e gerarchi, fra cui B. Mussolini durante le sue visite a Venezia; realizzò innumerevoli fotomontaggi ed elaborazioni fotografiche propagandistiche, ma, al di fuori dell'ufficialità, mantenne un certo distacco dal regime.
Fra i committenti delle lunghe campagne di documentazione compaiono praticamente tutte le istituzioni cittadine e le grandi industrie. Il G. intrattenne eccellenti rapporti con Eugenio Miozzi, ingegnere capo del Comune di Venezia e autore di gran parte dei progetti urbanistici che, per tutti gli anni Trenta, trasformarono la città in un gigantesco cantiere. L'ufficio tecnico del Comune diretto da Miozzi affidò allo studio del G. quasi 4000 riprese (prevalentemente di grande formato) sulle opere pubbliche, a partire dalle infrastrutture industriali realizzate dal 1919. Fra il 1930 e il 1931 vennero inoltre avviati i lavori di costruzione del ponte automobilistico translagunare, del terminal di piazzale Roma e del rio Nuovo, la via d'acqua destinata a raccordare queste strutture al Canal Grande: per queste opere i fotografi del G. eseguirono 1200 riprese. Fra i collaboratori un ruolo importantissimo svolse Giovanni Lucatello, coetaneo del G., autore di gran parte di quegli scatti, che divenne il principale operatore fotografico dello studio.
Fra il 1933 e il 1937 il lavoro di documentazione comprese l'edificazione dei ponti dell'Accademia e degli Scalzi, sul Canal Grande, e della riva cosiddetta dell'Impero, lungo il bacino di S. Marco; gli importanti restauri del teatro La Fenice - quasi interamente ricostruito - e di palazzo Giustinian. In tutti questi casi lo studio del G. fornì i suoi servizi anche ad alcune delle grandi imprese di costruzione coinvolte nei lavori. Ditte come la Ferrobeton, di Milano, e la Sacaim, veneziana, impegnate in numerose opere in varie zone del Veneto divennero stabili clienti dell'impresa fotografica.
Altri importanti committenti, sempre a partire dalla metà degli anni Venti, quando lo studio contava stabilmente già dieci dipendenti, furono la Provincia di Venezia - con istituzioni come l'ONMI, gli ospedali psichiatrici, scuole professionali e licei - e l'ANAS del Veneto, per la quale vennero eseguiti alcune interessanti campagne sulla viabilità regionale; il Porto di Venezia e diverse aziende cittadine, come le compagnie di navigazione Adriatica e Panfido; la storica vetreria Salviati, e i laboratori che confezionano merletti su scala quasi industriale, come Olga Asta e Jesurum, i cui campionari sono riprodotti in gran parte su lastre cm 30 × 40. Anche le fabbriche del polo industriale, ormai in piena funzione, ricorsero spesso al Giacomelli. Il cantiere navale Breda, la Montecatini - con gli stabilimenti Fertilizzanti e Montevecchio - e la Vetrocoke, la Società italo-americana del petrolio, la SADE, la Vidal, l'Industria nazionale allumina, la SAVA, e altre industrie minori, documentano la costruzione degli ultimi stabilimenti - fra il 1935 e il 1939 - e il lavoro nei reparti. Molte di queste immagini sono pervenute negli album che ogni azienda esibiva agli ospiti, o utilizzava come veicoli pubblicitari.
Il legame con Volpi garantì al G. un fitto tessuto di rapporti con le istituzioni politiche e culturali, per esempio la Biennale di Venezia. Negli anni Venti egli ottenne l'appalto per la riproduzione delle opere destinate alla Esposizione internazionale d'arte e, dal 1935, per la documentazione della Mostra del cinema, oltre alla riproduzione di foto di scena e "fotogrammi" dei film presentati alla rassegna. Anche le prime edizioni della Quadriennale nazionale d'arte di Roma, in particolare la seconda e la terza (1935, 1939), videro all'opera i fotografi del Giacomelli.
Altri importanti committenti furono il teatro veneziano La Fenice, dove sono documentati dall'inizio degli anni Trenta gli allestimenti e le attività artistiche; la compagnia alberghiera CIGA, per la quale, dal 1926, vennero immortalate le vicende mondane dei grandi alberghi del Lido e i facoltosi clienti che ne affollavano le spiagge esclusive; l'Ospizio marino, il grande ospedale al mare vanto del regime fascista in fatto di modernizzazione sanitaria. Nell'archivio dell'impresa sono conservate tracce di servizi svolti all'ambasciata italiana a Parigi e in alcune industrie collocate fuori dal Veneto, come le acciaierie di Bolzano e Trieste.
Nel 1935 vi fu un grande impulso all'attività dello studio del G., che consentì un salto importante nella scala delle commesse. L'Ente nazionale per il turismo affidò alla Reale Fotografia la riproduzione, e la stampa in un gran numero di copie, di immagini dell'attualità e del paesaggio italiani, destinate ai periodici all'estero. Una piccola agenzia aperta dal G. a Roma, in via Frattina, provvide alla gestione dei contatti nella capitale, oltre a svolgere altri lavori su commissione.
Lo studio di Venezia venne così a configurarsi anche come agenzia fotografica. Oltre a realizzare direttamente le riprese che riguardavano la città e l'entroterra, si occupò della riproduzioni delle copie provenienti da Roma e delle stampe fotografiche, in numero di 3000 alla settimana. Tale occupazione impegnerà per oltre quattro anni una parte considerevole dei dipendenti, saliti a circa quaranta. Venne anche approntata una piccola tipografia per la stampa del materiale di cancelleria necessario allo smistamento dell'ingente mole di materiale prodotto.
Numerose immagini realizzate nell'ambito dei servizi di attualità, con citazioni della Venezia minore dei quartieri popolari e dei mercati, come altre derivate dai lavori svolti per l'Ospizio marino e per la CIGA, testimoniano di una maggior libertà formale di cui godettero gli operatori, fra i quali compare talvolta lo stesso G. con la sua Leica oppure con apparecchi portatili. In quel materiale si rilevano alcuni interessanti spunti innovativi, o quantomeno delle efficaci repliche dei modelli offerti dalla produzione fotografica del tempo.
Nel pieno della maturità professionale e delle fortune commerciali, il G. morì a Venezia il 28 giugno 1939.
Nonostante le disposizioni testamentarie suggerissero di chiudere l'azienda dopo la sua morte, la moglie Amelia decise di proseguirne l'attività, affiancata dai figli Vera, nata il 31 ag. 1920, e Giangiacomo, nato il 6 dic. 1925. La fedeltà di gran parte dei committenti permise alla coraggiosa vedova, circondata da un folto gruppo di buoni collaboratori, di reggere l'esercizio senza eccessivi contraccolpi, fino allo scoppio della guerra. Da allora, una serie di contrazioni delle commesse portò alla progressiva riduzione del lavoro e dei dipendenti, mentre l'avanzata del fronte condusse alla chiusura, nel 1943, dell'agenzia di Roma. A guerra conclusa, lo studio riprese gradualmente il lavoro, rivolto ai committenti di sempre.
Nel secondo dopoguerra Giangiacomo, detto Gianni, subentrò gradualmente alla madre nella direzione dell'azienda - che contava ancora dodici dipendenti - e, per oltre un ventennio, riuscì a tenere il mercato con discreto successo anche se le tecniche di ripresa, e l'approccio generale al mestiere, rimasero ancorati ai vecchi modelli dello studio paterno. Il laboratorio di eliografia, operante fin dagli anni Trenta, acquisì via via un maggior peso, a discapito della sezione fotografica. Con l'acqua alta eccezionale del 4 nov. 1966 andarono distrutte oltre 6000 fra lastre e pellicole più datate dell'archivio. Intere serie, come quella riguardante lo stabilimento Vetrocoke di Marghera, con oltre 250 negativi, andarono perdute; come pure molte lastre cm 30 × 40, risalenti all'inizio del secolo: scomparvero così molte testimonianze dell'attività del nonno Giacomo e dei Contarini, già compromesse per un incendio che, pur di modeste proporzioni, aveva provocato nel 1920 la distruzione di parte dell'archivio. Il notevole acume commerciale del G. ne aveva comunque in larga misura salvato fino ad allora l'integrità, almeno per il settore "industriale". I ritratti, invece, non venivano considerati interessanti dal punto di vista dello sfruttamento commerciale e, ove i clienti non li richiedessero, venivano distrutti, salvo quelli considerati "eccellenti": quasi tutti vennero comunque eliminati nel corso del trasferimento dello studio da S. Moisè a S. Marco, in calle del Carro.
A partire dagli anni Settanta, lo studio si avviò a un progressivo declino. Giangiacomo morì a Venezia il 1º apr. 1986 e, con lui, la storia dei Giacomelli fotografi.
L'archivio, che subì per quasi un decennio ulteriori perdite, è stato inventariato e acquisito dal Comune di Venezia nel luglio del 1995. Questa prima opera di riordino ha stimato in circa 180.000 i negativi presenti nel fondo e comprendenti materiale realizzato fino al 1985.
Fonti e Bibl.: Venezia, Arch. della Camera di commercio, Cessate, f. 5660/1904; Venezia Novecento. Reale Fotografia Giacomelli (catal., Venezia), a cura di D. Resini, Milano 1998 (testi di G. Romanelli, M. Reberschak, S. Fuso, S. Barizza).