GILARDONI, Pietro
Figlio di Domenico e di Francesca Mariani, nacque il 18 ott. 1763 a Puria (ora comune di Valsolda), sulla sponda comasca del lago di Lugano, per tradizione secolare terra di costruttori e architetti. Persi in giovane età i genitori, si stabilì a Milano; dove fu alunno disegnatore nell'Ufficio del censo dal 1776 e lavorò alle mappe dei territori lungo il Ticino sotto l'ingegnere C. Quarantini. Divenne poi allievo di L. Pollack, con il quale collaborò, tra l'altro, nella facciata della basilica di S. Vittore a Varese (1791) e nella villa Belgioioso a Milano (1793). Su suo consiglio il G. studiò anche incisione, dandone saggio nel 1794 con i disegni pollackiani per il teatro anatomico dell'Università di Pavia; e fu in corrispondenza al riguardo con P. Pozzo, architetto e professore a Mantova, anch'egli di famiglia originaria di Puria e parente di Angela Pozzi, dal G. sposata nel 1793.
Sotto la Repubblica Cisalpina, il G. tornò a dirigersi verso i pubblici impieghi: nel 1797 fu disegnatore nell'Ufficio topografico del genio, poi in quello del dipartimento della Guerra. Nel 1802 entrò come secondo architetto nella soprintendenza per le Fabbriche nazionali, istituita dal vicepresidente della Repubblica Italiana F. Melzi come amministrazione centrale per gli edifici di Stato e diretta da L. Canonica. In tale ufficio il G. lavorò soprattutto a riconversioni a usi pubblici di edifici già conventuali, fenomeno caratterizzante la trasformazione urbana milanese fin dall'epoca teresiana. Di questi anni sono i progetti per l'Archivio giudiziario nell'ex oratorio del Bellarmino, per le scuole nell'ex convento di S. Agnese, per il tribunale in quello di S. Antonio e la costruzione della fabbrica dei tabacchi, in collaborazione con Canonica.
Abolita nel 1805 la soprintendenza, il G. proseguì la sua opera quale architetto dei ministeri dell'Interno e della Giustizia, negli anni di maggior fervore di fabbriche per la Milano capitale del Regno d'Italia. Ma mentre architetti come Canonica, L. Cagnola, G. Antolini si occupavano degli edifici più rappresentativi della città, delineandone il volto monumentale nei modi di un neoclassicismo solenne, l'opera del G. mostra l'altro aspetto delle pubbliche costruzioni, quello degli architetti funzionari, rivolto a soddisfare le crescenti esigenze di edifici per istituzioni e stabilimenti di Stato: dando priorità ai temi funzionali (il "comodo"), impiegando con misura le risorse (l'"economia"), e assicurando un adeguato livello di decoro formale (l'"ornato"), termini in cui tale nuovo tema era stato affrontato già da G. Piermarini e Pollack nel tardo Settecento.
Il G. disegnò allora il completamento della fabbrica dei tabacchi, dove il basamento bugnato della facciata è nobilitato da una sequenza di finestre a lunetta (1807). Ampliò con un vasto fabbricato a corte l'ex convento di S. Francesca, destinato alla Scuola di veterinaria (1807). Adattò nel 1808 l'ex convento della Passione per il conservatorio, sistemandovi nel 1819 anche la sala per le Accademie dipinta da A. Sanquirico. Progettò la lunga fronte dell'Istituto dei sordomuti nell'ex convento di S. Vincenzino, trasformato in complesso polifunzionale, con il tipico motivo di arcate (cieche, e aperte a botteghe) derivato dalla suggestione degli acquedotti romani (1809); e ne adattò il refettorio per la Scuola di mosaico, con finestroni a lunetta pure entro arcate (1808). Ricavò nell'ex convento di S. Damiano la sede dell'Archivio giudiziario, la cui facciata, dal frontone classicista ma dal grezzo bugnato, dava abile aspetto di simmetria e monumentalità a una pianta non corrispondente (1810). Per compiere la facciata al rustico del palazzo, già Diotti, sede dei ministeri dell'Interno e della Giustizia, presentò due disegni nel 1807 e un altro, approvato, nel 1812. Nel palazzo di Brera sistemò nel 1806 le gallerie reali per la pinacoteca: con soluzione formalmente maestosa e funzionalmente avanzata, le sale sono separate con diaframmi di coppie di colonne a formare un'unica prospettiva, e illuminate dall'alto con grandi lucernari. Per l'orto botanico braidense diede nel 1811 un progetto di nuove serre, che servirà per la loro costruzione nel 1850. Esempio di adattamento utilitario di edifici monumentali è il sopralzo del palazzo dei Giureconsulti sede della corte d'appello, su un filo arretrato che lo nascondeva dalla piazza, salvando la visuale della facciata cinquecentesca (1809).
Il G. si misurò pure con temi di valenza urbanistica. Nel 1805 diede un disegno non eseguito per un vasto orto botanico nell'ortaglia dell'ex convento di S. Teresa, su idea del viceré Eugenio di Beauharnais (Arch. di Stato di Milano, Studi p.m., 845). Coevo è un progetto per l'apertura di una strada e di una corrispondente porta nella cinta dei bastioni, tra porta Nuova e porta Comasina, e la sistemazione del piazzale da cui partiva la strada per la villa reale di Monza (Muzio); l'idea rientrava nel clima di studi urbanistici del periodo, ma non fu ripresa dal "piano dei rettifili" del 1807. Di un tratto dei bastioni, tra le porte Nuova e Tenaglia, il G. realizzò invece la sistemazione a pubblico passeggio nel 1808.
Più rari gli incarichi fuori dalla capitale. A Pavia, per l'Università, costruì nel 1806 l'arco tra la Biblioteca piermariniana e l'ala del Leano opera di Pollack, su un disegno da questo dato anni prima; e sistemò nel 1808 la Scuola di chimica nell'ex chiesa del Leano, con una fronte di "ornato in tutto simile" all'ala pollackiana (Arch. di Stato di Milano, Studi p.m., 991), in previsione dell'unione dei due edifici (in effetti compiuta da G. Marchesi nel 1821).
Il mutamento di condizione dell'architetto funzionario, legato al suo ufficio da un rapporto di lavoro dipendente, invece che al suo patrono da un rapporto di elezione personale come in passato, risulta evidente con la Restaurazione. Se Piermarini e Pollack erano stati rimossi a causa del cambio di governo, il G. venne nel 1814 confermato in servizio e nominato, l'anno dopo, architetto presso l'amministrazione delle Fabbriche erariali, dal 1817 ramo della direzione del Demanio, e dal 1826 ufficio alle dipendenze della direzione generale delle Pubbliche Costruzioni.
Nei primi tempi dopo il ritorno degli Austriaci, il G. ebbe un incarico di rilievo: l'esecuzione nel 1817 del suo progetto per la facciata di palazzo Diotti, divenuto sede del governo, con un'aggiornata loggia di colonne doriche "greche", scanalate e senza base. Nel palazzo di Brera disegnò il salone dei Premi (1817), gli scaffali per la terza sala dell'ampliata biblioteca (1819), e la nuova terrazza dell'osservatorio astronomico, suo ultimo incarico d'ufficio (1829). Ma in complesso, come architetto erariale ebbe nel periodo poche occasioni notevoli, e molto lavoro d'abitudine per manutenzioni o piccole sistemazioni (come il Museo di storia naturale di S. Alessandro, 1818). I progetti più impegnativi restarono non eseguiti: così per il trasloco dell'Istituto dei sordomuti (1816-23), per la ristrutturazione del fabbricato vecchio del collegio di Monza (1817), per il nuovo liceo al collegio Longone (1820), per il ginnasio nell'ex convento di S. Spirito (1823).
Onnipresente nei progetti del G., connotati da severa essenzialità di ornato, era il forte condizionamento del vincolo economico: spesso vi era semplificata l'idea di diminuire la spesa; e a chi gli contestava facciate meschine il G. replicava di uniformarsi alle istruzioni del governo. Talvolta si creò una dialettica con la Commissione d'ornato, che avrebbe voluto maggiore ricchezza: come per palazzo Diotti, dove essa ottenne l'aggiunta della loggia a colonne. Ma il fatto che il suo lavoro fosse apprezzato proprio perché riusciva ad abbinare spese ridotte a progetti dignitosi, non significava per il G. disimpegno formale, dal momento che il suo ideale estetico sembrava essere la "serietà maestosa, conveniente alla destinazione" (Ibid., Genio civile, 3619).
Incarichi maggiori vennero al G., sempre per edifici di pubblica utilità, da committenti esterni pur se non estranei al governo. Nel 1822 ristrutturò il seminario di Monza (oggi palazzo degli Studi) in modi di regolare semplicità, nobilitati da un cornicione in forma di trabeazione ionica, ma resi più disadorni da un'esecuzione che rinuncia al bugnato (vi contrastano i colonnati del cortile realizzati nel 1830 da G. Moraglia). Nel 1824 realizzò l'ampliamento dell'ospedale Fatebenefratelli a Milano, componendo la lunga facciata indipendentemente dalla pianta interna. Seguirono altri incarichi di edilizia ospedaliera nella provincia: l'ospedale di Busto Arsizio, oggi palazzo municipale (1824), e quello di Vimercate (1828), in seguito ampliati e trasformati; e l'ospedale di Varese (1831), in parte demolito e adattato a residenza. Anche in questi casi il G. operò su preesistenze, talvolta trovando spazio per soluzioni formali di prestigio come il portico a colonne binate di Busto Arsizio.
A lato del lavoro d'ufficio, il G. svolse un'intensa attività nel campo dell'edilizia privata. I suoi incarichi riguardarono fabbriche borghesi, mai palazzi gentilizi; ma proprio per questo egli diede alla trasformazione diffusa del volto urbano di Milano nel primo Ottocento un contributo significativo, documentato da oltre 60 disegni per case private (tra cui la sua in via Fiori Chiarin, 1888) nel fondo Ornato fabbriche dell'Archivio storico civico. Il linguaggio è quello di tutta l'architettura neoclassica milanese del tempo, nella sua versione più seriale: improntato da un lato a grande sobrietà di forme, dall'altro a un'esigenza di decoro architettonico estesa alla comune edilizia civile, che è nuovo interesse dell'epoca e la contraddistingue.
Come per gli edifici pubblici, in questi disegni si ritrova un "ornato" costante e controllato di pochi elementi: il bugnato finto a intonaco nel basamento, le sequenze di arcate aperte o cieche, le incorniciature doriche delle finestre, i cornicioni a mensole che sostituiscono le vecchie gronde in legno, così come le mensole di granito dei balconi rimpiazzano i cartocci di stucco, e le ringhiere in ferro geometriche quelle arabescate. Ma si vedono pure finestre senza contorni in lunghe file su pareti spoglie, che funzionalisticamente riducono ogni volontà formale a quei valori di regolarità, ripetizione e simmetria, in cui si deve ricercare la vera cifra di questa architettura.
In un così ripetitivo paesaggio urbano, talvolta il G. si distinse per qualche tratto di inventiva e stile, retaggio del suo maestro: come il bugnato artificiosamente rustico nelle case Barisoni (1809) o Brioschi (1810), in ricercato contrasto con le serraglie lisce dei vani; o i tondi con profili classici nella casa Gasparinetti (1810), soluzione poi ripresa da D. Aspari e da Canonica. Negli anni della Restaurazione, il suo linguaggio si omologò del tutto a quello corrente, perdendo ogni accento di individualità. Ma nell'ultima opera, il progetto per la facciata e il campanile della chiesa di S. Vittore a Porlezza (1837, eseguito dopo la sua morte), il G., svincolato da costrizioni, dispiegò l'eloquenza monumentale di una fronte di tempio con ordine gigante di semicolonne, di un solenne classicismo che attraverso Pollack risale ad Andrea Palladio. È questa la maggiore, ma non l'unica opera del G. nella sua terra natale, dove si era sposato ed erano nate le figlie Marianna, Giovanna e Giuditta, a prova di un legame mai cessato. Se è dubbia l'attribuzione della sua casa (poi Bondù) a Puria, sono di suo disegno il palazzo Manzi a Dongo (oggi municipio), e l'altare maggiore nella parrocchiale di S. Maria Assunta a Puria.
Pensionato del Regio Erario dal 1830, il G. morì a Milano il 24 maggio 1839.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Milano, Fondi camerali p.m., 30, 34; Studi p.m., 845, 985, 991, 995, 347, 268, 69, 1222, 313, 897, 162, 855, 1113; Uffici regi p.m., 322, 510, 540; Spettacoli pubblici p.m., 47; Comuni, 54; Acque e strade, 61, 141; Ministero Guerra, 1575, 2856; Genio civile, 3155, 3163, 3162, 3150, 3164, 3165, 3627, 3352, 3392, 3136, 3149, 3677, 3616, 3619, 3620, 3627, 2643; Milano, Arch. storico civico, Ornato fabbriche-I, 33, 34, 35, 44, 45, 46, 48, 77, 104, 117, 129, 132, 149, 159, 163, 188, 192, 193; Milano, Soprintendenza ai Beni ambientali e architettonici, Archivio disegni; Venegono, Arch. dei seminari milanesi, Seminario di Monza; G. Rocco, L'architetto P. G., in L'Arte, XLV (1942), f. 2, Suppl., p. 9, G. Muzio, Progetto ottocentesco per una nuova porta di Milano, ibid., pp. 11 s.; P. Mezzanotte - G.C. Bascapé, Milano nell'arte e nella storia, Milano 1948, pp. 866, 1011; G. Mezzanotte, Il collegio e la chiesa di S. Alessandro a Milano, in Arch. stor. lombardo, LXXXVII (1960), p. 531; P. Mezzanotte, L'edilizia milanese dalla caduta del Regno Italico alla prima guerra mondiale, in Storia di Milano, XV, Milano 1962, pp. 350 s.; A. Gualandris, Porlezza, Como 1968, p. 53; A. Merati, Monumenti neoclassici a Monza e nella Brianza, Monza 1976, pp. 166 s.; L. Erba, Guida storico-artistica dell'Università di Pavia, Pavia 1976, pp. 64, 150; A. Scotti, Brera 1776-1815, Firenze 1979, pp. 51-58, 61-64, 68, 71-73; Id., Architettura e burocrazia nella Lombardia neoclassica: l'architetto-funzionario da Marcellino Segré a P. G.…, in Arte lombarda, 1980, nn. 55-57, pp. 311-322; G. Bologna, Milano. Palazzo Diotti, Milano 1981, pp. 30, 35 (con bibl.); V. Pini - L. De Pra Cavalleri, P. G. e il palazzo municipale di Busto Arsizio, Busto Arsizio 1984; A. Spiriti, Il Fatebenefratelli tra barocco e neoclassico, Milano 1992, pp. 39-42; M. Zecchinelli - M.L. Belloni, La S. Maria Assunta di Puria in Valsolda, Valsolda 1994, pp. 17, 65; Busto Arsizio. Architetture pubbliche, Busto Arsizio 1997, p. 41; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XIV, p. 22; Dizionario enciclopedico di architettura e urbanistica, II, p. 473.