EDERI, Pietro Giuseppe
Nacque a Bergamo il 4 sett. 1637. Dopo l'istruzione elementare, ricevuta in casa, studiò presso il convitto dei fratelli Pasta, riaperto nel 1647.
Il 15 ott. 1655entrò nella Compagnia di Gesù, iniziando il noviziato a Chieri. Completati i corsi di filosofia e teologia, si diede all'attività di docente nei collegi dell'Ordine: insegnò letterature classiche a Cuneo per un anno; retorica per tre anni a Milano; ancora retorica per quattro anni fra Cremona e Monteregale (l'attuale Mondovì).
Prese i voti perpetui, compreso il quarto voto di obbedienza speciale al pontefice, il 2 febbr. 1671, come risulta dalla formula autografa di professione, conservata presso l'Archivio della Curia generalizia (Arch. gen. Soc. Iesu, Ital., 16, ff. 42 s.).
L'attività di predicatore svolta nel quindicennio 1671-1685, fra Milano, Pavia, Lucca e Mantova, è attestata dai manoscritti conservati nella biblioteca del padre provinciale della casa professa di S. Fedele a Milano: orazione detta nell'Accademia degli Affidati di Pavia l'anno 1677 Se più inganna la speranza, che il timore (ms. in folio); orazione Contro la detrazzione (ms. in folio); orazione In laudem p. generalis Carthusianorum (ms. in 4°); Per la morte di Isabella, regina delle Spagne, ms. in folio (ma, trattandosi di Elisabetta di Francia, moglie di Filippo IV, defunta fin dal 1644, l'attribuzione ci pare dubbia); In morte di Bartolomeo Torriano sacerdote e preposto (ms. in folio); discorso accademico Corona reale dello stato innocente (ms. in folio); discorso accademico Se la mole della Terra sia maggiore della mole dell'Acqua (ms. in folio); un centinaio di discorsi in tempo di quaresima ed in giorni festivi, tomi 2, ms. in folio.
Quando ancora insegnava retorica a Milano l'E. diede alle stampe l'orazione intitolata al Re grande, compresa nel Monumento della grandezza reale alzato alla gloriosa memoria del re d. Filippo IV il grande, stampato a Milano per la commemorazione fatta il 3febbr. 1666presso la collegiata di S. Maria della Scala.
Ampia diffusione presso i contemporanei ebbe lo scritto più importante dell'E. un'orazione "di cristiana politica", tenuta nel 1677a Lucca, ove egli era predicatore presso la collegiata di S. Michele: L'idea del principato veramente sicuro da ogni doglienza de' sudditi, proposta nel Senato di Lucca nel terzo sabato di quaresima, e stampata presso Salvatore Marescandoli nel medesimo anno. Nell'esile libretto l'E., prendendo spunto dal Vangelo del giorno, Luca XV, ed in particolare dal versetto 31 (la risposta del padre del figliol prodigo alle rimostranze del figlio maggiore), svolge il tema della difficoltà per il principe, pur savio e moderato, di ottenere l'integrale consenso dei sudditi.
Condannata la "cieca scomunicata stoltezza de' Macchiavelli e Bodini" (p. 10), l'E. indica ai governanti la via per evitare le lamentele del popolo attraverso i tre imperativi del versetto: "Fili" (il principe deve avere affetto paterno verso ogni suddito), "tu semper mecum es" (deve tenere costantemente presente il vantaggio del figlio), "et omnia mea tua sunt" (deve impegnare potere, sapere, fatiche e vita stessa per il bene dei sudditi).
Nulla di più di un'esercitazione retorica sul tradizionale tema umanistico del principato; esercizio retorico la stessa semplicistica soluzione del problema, ma indice dell'inquietudine seminata da Machiavelli è l'aver posto come premessa l'innata impopolarità del principe. La debolezza dottrinaria del testo è in parte riscattata da uno stile fluido e sobrio. All'asianesimo fiorito, prediletto dai gesuiti italiani, l'E., sfilisticamente più prossimo a P. Segneri che a E. Orchi, preferisce un temperato atticismo: alla magniloquenza barocca è concessa quasi soltanto la copiosità di maiuscole; le metafore ricorrono di rado, e per lo più appartengono agli autori citati in abbondanza; moderato anche il ricorso al più tipico e prettamente didattico artificio retorico del paragone.
Nel 1685 l'E. fu chiamato alla corte imperiale di Vienna come predicatore di casa dell'imperatrice Eleonora Gonzaga, vedova di Ferdinando 111 e matrigna di Leopoldo I. L'E. rimase a corte, dimorando presso la casa professa di Vienna, fino alla morte, dapprima con la qualifica di concionator apud Aug.mam Viduam, e dopo la morte di Eleonora (1687) quale segretario dell'imperatore per la corrispondenza con i sovrani stranieri, grazie alla sua buona conoscenza delle lingue francese e spagnola.
Erano gli anni in cui i gesuiti a Vienna accrescevano il loro già vasto potere profittando della poca determinazione di Leopoldo. In particolare, l'E., pur non ricoprendo ufficialmente il ruolo di consigliere dell'imperatore che i biografi gesuiti gli attribuiscono, sfruttò la sua ascendenza sul sovrano in relazione alla questione ungherese: riconquistata Buda nel 1686 e poco dopo anche la Transilvania, l'E. con il concorso dei ministri viennesi si adoperò perché in Ungheria fosse abolito il culto protestante, già tollerato dai Turchi.
Nella violenta polemica scoppiata in seno alla Compagnia di Gesù a causa del libro Fundamentum theologiae moralis del padre generale Tirso Gonzalez de Santalla, che condannava il probabilismo professato dalla più parte dei teologi gesuiti, l'E. assunse posizione in due lettere, del 9 maggio e 17 giugno 1693 (Arch. gen. Soc. Iesu, Epp., 40, 6, ff. 113-115), dicendosi addolorato per le infuocate discussioni e confermando al padre generale il favore suo e dell'imperatore.
L'intraprendenza dei gesuiti alla corte di Leopoldo I alimentò un'ostile propaganda non più soltanto di provenienza protestante, che colpi lo stesso Ederi. Fu accusato di vivere mondanamente, e tuttavia assolto a seguito dell'inchiesta interna promossa dal Gonzalez.
Dopo la morte dell'E., sopravvenuta a Vienna il 2 ag. 1697, furono diffusi volantini in cui lo si accusava di aver più volte attentato alla vita dell'imperatore (addirittura con un'ostia avvelenata) e di essersi suicidato in seguito alla scoperta della sua attività di spia, che gli avrebbe fruttato un milione di marchi, ritrovati nella sua abitazione.
Accuse del genere nei confronti degli ecclesiastici che attorniavano l'imbelle Leopoldo I non erano rare né del tutto infondate (si ricorda ad esempio quanto riferisce l'ambasciatore veneziano D. Contarini circa un francescano di Trento assai influente su Leopoldo I e circa lo stesso confessore dell'imperatore, un gesuita) ma nel caso dell'E. l'indagine voluta dall'imperatore, egli stesso ormai diffidente verso i gesuiti, respinse le accuse. Il sovrano emanò in data 11 ott. 1697 un editto per ordinare la ricerca e punizione dei calunniatori.
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. gen. Soc. Iesu, Austr., 44, 1690, p. 360; Austr., 47, 1693, p. 291; Austr., Catalogi breves 1680-1699, 126, I e II; Ibid., Bibl. naz., 3243 Ges. 1114, 39 (25); F. Argelati, Bibliotheca scriptorum Mediolanensium, Mediolani 1745, coll. 569, 1988; A. De Backer-A. De Backer, Bibliothèque des écrivains de la Compagnie de Jésus, s. 2, Liège 1854, p. 171; G. Peinlich, Grazer Programma, Leipzig 1870, p. 96; B. Dulir, Jesuiten-Fabeln, Freiburg im Breisgau 1891, pp. 125 s.; C. Sominervogel, Bibliothèque de la Compagnie de Jésus, III, col. 337; IX, col. 275; M. Rivière, Supplément au "De Backer-Sommervogel", Tolouse 1913, col. 448; ibid. 1930, col. 1053; L. Koch, Jesuiten-Lexicon, Paderborn 1934, col. 470.