GORGOLINI, Pietro
Nacque a Castrovillari, nel Cosentino, il 22 maggio 1891, da Michele e da Maria Lamuraglia.
La madre era piemontese, il padre romagnolo-marchigiano, Michele, il quale era stato allievo a Torino di A. Graf e di E. Stampini, seguendone le orme, da modesto studioso di provincia (si segnalano anche alcune sue pubblicazioni, tra cui Il Canto dell'amore di Giosuè Carducci, Cesena 1891), per poi diventare insegnante di latino e greco nei licei, e quindi preside; concluse la sua carriera a San Severino Marche, dove il figlio compì gli studi medi e superiori.
Fin dal primo decennio del secolo il G. aveva iniziato a collaborare a fogli della pubblicistica locale, quali Il Maglio(foggia battendo), La Vedetta settempedana, Sul limitare - di cui fu redattore capo - e Nuove Battaglie, di cui fu direttore e dove pure pubblicò, nel 1908, un romanzo storico: Rosa Donato. In effetti, accanto all'attività pubblicistico-giornalistica il G. produsse, in questo periodo, lavori di carattere letterario quali la raccolta poetica Fiamme di vita (San Severino Marche 1911), Novelle del sangue e dell'amore (ibid. 1912), Eroina siciliana (Novara 1914); quest'ultimo non era altro che la già ricordata "novella siciliana" Rosa Donato apparsa in appendice su Nuove Battaglie e riproposta, incompiuta, sul quotidiano La Provincia di Novara (1913-14), schierato su posizioni antisocialiste e di cui il G. fu redattore.
Secondo alcune biografie ne sarebbe stato direttore, ma il suo nome, a prescindere dalla firma del romanzo in questione, appare una sola volta per esteso, e una volta siglato, negli undici primi mesi di vita del giornale, dall'ottobre 1913 al settembre 1914, quando fu segnalato un cambio di direzione.
Con lo scoppio della Grande Guerra il G. si arruolò volontario in fanteria, combattendo col grado di sottotenente e quindi di tenente: alla fine del conflitto ottenne i galloni di capitano e la qualifica di invalido, oltre a decorazioni e onorificenze. Trasferitosi a Camerino come aiutante maggiore del Centro ufficiali riuniti dal governo presso quella Università, avviò una vivace attività di battaglia politica.
L'antibolscevismo appariva al centro della sua fumosa ideologia, la quale ebbe sempre un versante didascalico e organizzativo di una certa importanza, come dimostra la sua conferenza Che cos'è il bolscevismo tenuta al presidio militare di Camerino nel maggio 1919 e poi iterata più volte, che costituisce l'esempio di una delle più tempestive azioni di propaganda antibolscevica del dopoguerra.
Il G. si laureò in giurisprudenza a Camerino nel 1919, non senza aver partecipato, l'11 aprile, alla fondazione del fascio locale, il "Fascio primigenio delle Marche" (come lo definì B. Mussolini) e uno dei primissimi a nascere, sul piano nazionale, dopo l'"adunata" di piazza S. Sepolcro.
Egli aveva in effetti tutti i requisiti per essere un fascista della prima ora: ufficiale di complemento, dotato di enormi ambizioni letterarie, giornalistiche e politiche, era uno dei tanti smobilitandi del conflitto in cerca di una collocazione nella vita civile capace di dare esito alle proprie aspirazioni.
Dannunziano prima di diventare mussoliniano, il G. tra guerra e dopoguerra si era fatto fervido sostenitore di L. Cadorna, al quale, molto significativamente, dedicò il suo primo volume non letterario: Io difendo Cadorna! (Milano 1919).
Il libro risulta un panegirico del "generalissimo", sulle cui incapacità strategiche e sui cui errori tattici larga parte della critica e della stessa opinione pubblica stavano ormai puntando l'indice accusatore. Il libro permise all'autore di entrare nell'entourage della famiglia Cadorna; non a caso il G. insisté sul tema pubblicando successivamente Luigi Cadorna: profilo (Piacenza 1922; poi Padova 1934) e, molto più tardi, il volume Raffaele e Luigi Cadorna (Milano 1937).
La prima pubblicazione non solo attirò sull'autore significativi riconoscimenti da parte di G. D'Annunzio o di Mussolini (al quale era dedicata), ma venne notata anche negli ambienti dell'intellettualità nazionalista e liberale piemontese, da V. Cian a L. Einaudi (concittadino della madre del G., nativa di Dogliani). E in Piemonte, in effetti, il G. era ritornato, dopo l'esperienza novarese prima della guerra, stabilendosi questa volta a Torino dove, nel 1925, prese una seconda laurea "speciale" in geografia con C. Bertacchi; nella città subalpina sarebbe rimasto poco meno di un ventennio.
Fra i suoi primi interlocutori in sede locale vi fu il poeta Arturo Foà, ebreo fascista destinato a finire nel campo di sterminio di Auschwitz. Con Foà il G. tentò la strada della rivista di intrattenimento, sulla falsariga del mensile illustrato del Corriere della sera, La Lettura; ma Vita - tale il titolo del periodico diretto da Foà e redatto dal G. - se ebbe gestazione lunga fu poi di brevissima durata (due soli numeri, usciti nel marzo-aprile 1920).
Non scoraggiato da questo insuccesso, alla fine del 1920 il G., dopo esserne stato collaboratore saltuario (ma la sua firma compariva intanto anche in altri fogli, tutti di infimo livello), acquistò il giornale nazionalisteggiante La Patria, il quale, dal 1914, vivacchiava nelle mani del suo fondatore, R. Girola-Tulin. Passata al G., la testata divenne Il Maglio, forse evocando il foglio marchigiano cui egli aveva collaborato in passato.
Il tentativo fu quello di fare un giornale che fosse "libera voce" del fascismo torinese, collocato, tuttavia, su posizioni palesemente ostili a C. De Vecchi; come risultato il G. fu ben presto costretto a cedere direzione e testata a M. Gioda, il quale, benché anch'egli antidevecchiano, forniva maggiori garanzie politiche.
Poco dopo il G., che si era espresso in modo assai critico relativamente alla strage organizzata a Torino il 18 dic. 1922 dai seguaci di De Vecchi, pagò ancora più pesantemente la sua opposizione: espulso dal Partito nazionale fascista nel gennaio, subì anche rappresaglie di tipo squadristico. Ma meno di un anno dop0, nel novembre 1923, fu riammesso nel partito, probabilmente anche grazie all'intervento personale di Mussolini, il quale, poco prima dell'incidente politico del G., aveva firmato la prefazione al suo libello più fortunato: Il fascismo nella vita italiana (Torino 1922).
Il testo, che ebbe numerose edizioni e traduzioni in lingue estere, fu giudicato da commentatori antifascisti, quali P. Gobetti (che con il G. ebbe rapporti, tanto che si segnala un suo articolo sulla Rivoluzione liberale) o L. Salvatorelli, come espressione di un fascismo di sinistra, ma non estremistico.
Contemporaneamente il G. divenne redattore politico dell'effimero quotidiano filofascista della sera, Il Piemonte (uscito dal settembre 1923); un più significativo risarcimento fu la nomina a commissario aggiunto per l'Istruzione superiore presso il Comune di Torino, commissariato. Non fu invece inserito nel listone per le elezioni generali del 1924, chiaro segnale che la carriera politica non era a portata dell'ambizioso G., il quale, però, aveva nel frattempo imboccato la strada dell'editoria come redattore della Paravia, casa con cui aveva stabilito un rapporto di collaborazione esterna fin dal suo arrivo a Torino.
A lui, insieme con G. Balsamo Crivelli, fu affidato il bollettino mensile Paraviana, che ambì a essere assai più di una pubblicazione di propaganda e, almeno parzialmente, vi riuscì, ottenendo anche collaborazioni di un certo prestigio. Inoltre, presso l'editore torinese il G. pubblicava, in quegli anni, diversi lavori, a cominciare da alcune riedizioni: Il fascismo nella vita italiana (1926); La rivoluzione fascista (1928) - quest'ultimo apparso in prima edizione a Torino nel 1923, con prefazione del quadrumviro M. Bianchi, cui nello stesso anno il G. aveva dedicato il volume Michele Bianchi: un profilo (Milano 1923) - e, un decennio più tardi, l'antologia Pagine eroiche della grande epopea, una delle prime dedicate alla Grande Guerra (1935, con prefazione di A. Luzio; 1ª ed., Torino 1923). Ma numerosi furono anche i titoli nuovi, tutti a carattere didascalico: da Il fascismo spiegato al popolo (1925), scritto su invito del Consorzio nazionale per le biblioteche e destinato alle biblioteche scolastiche, alle antologie scolastiche Sacro lavoro umano (I-II, 1922, con prefazione di F. Meriano) e Le conquiste del lavoro (1923), alla traduzione dei Commentari di Cesare, condotta in collaborazione con Maria Marchesini (1925).
Avendo oramai focalizzato i suoi interessi soprattutto nell'ambito dell'organizzazione culturale, il G. (dopo aver fondato, presso Italianissima, una sigla editoriale presto inabissata, la Biblioteca di propaganda e cultura fascista), nell'autunno 1923 diede vita al Sindacato nazionale autori e scrittori (SNAS), approvato da E. Rossoni, la cui guida gli venne affidata per decisione di Mussolini; nel febbraio 1925, fondava Il Nazionale, di cui fu direttore.
Pubblicato con una periodicità variabile, da settimanale a trimestrale, nacque come organo del sindacato, ma con l'ambizione di essere un foglio di cultura, riuscendo il G. a ottenere che vi scrivessero essenzialmente esponenti dell'intellettualità piemontese non di primo rango, pur con qualche eccezione (tra gli altri R. Arata, G. Balsamo Crivelli, A. Biancotti, A. Cervesato, A. Foà, R. Formica, A. Galimberti, S. Gotta, Amalia Guglielminetti, C. Mazzantini, A.S. Novaro, P. Operti). La problematica culturale, in effetti, fu una delle direttrici privilegiate su cui si orientò il giornale, seguendo una linea politica fondamentalmente normalizzatrice, che risentiva dell'influsso del nazionalismo moderato e del revisionismo legato a G. Bottai. Nel foglio, dal 1927, si trova, poi, una significativa presenza dei futuristi torinesi, ma non solo (abbastanza frequente la firma dello stesso F.T. Marinetti): Il Nazionale ospitò a lungo una pagina futurista (presto denominata "Futurismo"), completamente appaltata agli adepti del movimento, a quest'epoca nella sua seconda stagione, non più incentrato su Milano ma policentrico, e, sotto la guida di Fillia (L. Colombo), fino al 1936 orientato soprattutto su Torino. L'altro importante filone su cui si impegnò Il Nazionale è rappresentato dal corporativismo, di cui il foglio fu attivo propugnatore, su una linea assai vicina a quella di Bottai.
Nell'insieme, il giornale non riuscì comunque a esprimere una linea coerente sul piano politico, oscillando tra l'adesione a un piatto conformismo di regime, che non di rado toccava i vertici della più bolsa piaggeria, e tentazioni critiche, sia pur velate, dimostrando, di tanto in tanto, una certa curiosità, che si spingeva anche al di fuori del perimetro culturale rigorosamente fascista. In definitiva, se Il Nazionale fu culturalmente assai eterogeneo, lasciando trasparire l'enciclopedismo dilettantesco del G., e rimase su livelli divulgativi piuttosto bassi, tuttavia degna di nota è la curiosità che, alimentata proprio del dilettantismo del suo fondatore, lo portò a toccare gli argomenti più diversi: dalla letteratura contemporanea al cinema, dalla vita universitaria all'organizzazione di categoria degli scrittori, dal corporativismo alle questioni industriale e operaia, dall'America precolombiana a quella del New Deal, dal futurismo alla Russia bolscevica.
Accanto al giornale nacquero, per impulso dell'intraprendente G., numerose iniziative collaterali, a cominciare dall'Alleanza del libro (dove il G. si trovò a fianco di U. Fracchia), la quale, nel 1927, organizzò la I Festa nazionale del libro. Nel medesimo anno, quando l0 SNAS venne trasferito d'imperio a Roma e quindi sottratto al controllo del G., nominato ispettore regionale, egli diede vita, sempre a Torino, alla Società anonima casa editrice Nazionale (SACEN). Questa, come Il Nazionale, di cui venne a costituire la struttura organizzativa, era foraggiata da industriali e finanzieri piemontesi, più in grazia delle numerose relazioni intrattenute dal G. che sulla base di un progetto editoriale.
La nuove editrice si dedicò prevalentemente alla letteratura, per lo più di consumo, ma pubblicò anche testi storici o di dichiarata finalità propagandistica. In tal senso un esempio ragguardevole è il romanzo Quel che i nostri occhi hanno visto, di R. Ciampini (1928): una faziosissima ricostruzione (ovviamente romanzata), che vinse anche un premio letterario, dell'epopea della guerra e del dopoguerra in una regione "rossa" come la Toscana. Fra gli altri titoli si può ricordare la vasta antologia Italica (1928, 4 voll., con prefazione di E. Bodrero), preannunciata fin dal 1922 per i tipi di Paravia: con essa il G. intendeva dare una rappresentazione della cultura italiana negli ultimi cento anni, non di parte nelle intenzioni (vi figurano anche nomi di antifascisti quali G. Amendola, B. Croce, G. Ferrero, P. Gobetti, L. Salvatorelli, Z. Zini), anche se, di fatto, l'opera si concretò come una farraginosa congerie di nomi, grandi, piccoli e piccolissimi, adunati senza alcun criterio.
Negli anni Trenta, nel complessivo scadere della qualità giornalistica del Nazionale, si segnala tuttavia una nuova interessante iniziativa che, a partire dal 1934, divenne una presenza costante: la pagina "americana", che confermava l'interesse sempre dimostrato dal G. per il "nuovo mondo". Già nel 1933, in effetti, era stato annunciato come imminente il lancio di una mastodontica opera in dieci volumi, per le cure dello stesso G., sugli aborigeni d'America. L'opera non vide mai la luce ma, al suo posto, fu intrapresa la pubblicazione di una più utile bibliografia americana, comprendente undicimila titoli "in tutte le lingue" (A. Marchini, Bibliografia americana, I, Torino 1935; il volume fu l'unico pubblicato): i libri erano stati fisicamente raccolti dal G., nel corso di lunghi anni, e andarono a costituire il primo nucleo della biblioteca del Centro italiano di studi americani (CISA), sorto a Torino tra il 1934 e il 1935. L'istituzione, grazie alla ben sperimentata intraprendenza e capacità organizzativa del G., ottenne l'interessamento del duce e un congruo stanziamento; ma nel volgere di pochi mesi fu lo stesso Mussolini a disporne il trasferimento a Roma e il G. fu conseguentemente giubilato dalla presidenza.
Egli non si adattò volentieri alla nuova situazione, nonostante avesse ricevuto un sia pur modesto compenso economico per i volumi raccolti, i quali, peraltro, dopo varie vicissitudini, finirono in larga parte dispersi. Il G., comunque, fu in seguito per qualche tempo direttore generale del CISA, trasformato in ente morale e posto sotto l'egida del ministero degli Esteri, prima di essere definitivamente estromesso, sostituito da A. Asquini, non senza un penoso strascico di polemiche.
Nell'autunno del 1935, sempre sotto le insegne della SACEN, ormai trasferita a Roma, il G. trasformò l'agonizzante Nazionale in Rivista di studi americani, che non ebbe particolare fortuna. Chiusa questa esperienza, nel 1938 il G. ne avviò un'altra, con il benestare del ministro degli Esteri G. Ciano: l'Istituto internazionale Europa giovane, con il programma di difendere la cultura occidentale essenzialmente "greco-latina, cattolica, fascista, da tutte quelle storture e degenerazioni ideali, che ne minacciano gli stessi fondamenti" (il programma dell'Istituto si legge in P. Gorgolini, Saggi politici…, p. 240).
Fu questo il segnale dell'inizio di una pesante involuzione del G., il quale, abbandonando le molte curiosità e aperture mostrate in passato, si limitò a un'acritica esaltazione della civiltà occidentale presentata e interpretata come l'unica civiltà. Sintomi evidenti di quale potesse essere l'approdo di questa linea sono la presenza nell'ufficio di presidenza dell'istituto, accanto ad A. Farinelli (di cui la SACEN pubblicò una raccolta di scritti: Nel mondo della poesia e della musica, Roma 1939-40) e A. Gatti, di N. Pende, il maggiore teorico del razzismo italiano; o la pubblicazione, sotto l'egida dell'istituto e per i tipi della SACEN, di un testo del leader del fascismo rumeno C. Codreanu (Guardia di ferro per i legionari, ibid. 1938), che addirittura precedette le edizioni rumena, spagnola e tedesca, e di un volume esaltante La nuova Spagna di Franco, opera dello stesso G. (Roma-Torino 1940).
Nel dopoguerra Europa giovane continuò stancamente, per qualche tempo, la sua attività, e lo stesso G., pur svolgendo ancora saltuariamente attività pubblicistica - anche servendosi dello pseudonimo di Enzo di Svevia, cui era già ricorso in età giovanile -, si ritirò sostanzialmente a vita privata.
Il G. morì a Ostia (Roma) il 4 ott. 1973.
Fonti e Bibl.: Le carte del G. si trovano a Roma presso gli eredi e a Ostia presso il CIRALS (Centro internazionale ricerche artistiche letterarie scientifiche P. Gorgolini). Si vedano poi Roma, Arch. centr. dello Stato, Segreteria particolare del duce, Carteggio ordinario e Carteggio riservato, ad vocem; Partito nazionale fascista, Mostra della rivoluzione fascista, Camerino e Torino; Segreteria amministrativa, Torino. Vedi pure: A. Amante, La verità sul "Centro italiano di studi americani" (Cisa 1932-1937), Roma-Torino 1937, passim; A. Cervesato, Prefazione e A. Amante - G. Camposampiero, Note biobibliografiche, in P. Gorgolini, Saggi politici e letterari, Roma-Torino 1940; E. Santarelli, Un fascio universitario del 1919, in Id., Fascismo e neofascismo, Roma 1974, ad ind.; A. d'Orsi, La rivoluzione antibolscevica. Fascismo, classi, ideologie (1917-1922), Milano 1985, ad ind.; Id., Alla ricerca della cultura fascista. Un intellettuale fra editoria e giornalismo (1922-1935), in Torino fra liberalismo e fascismo, a cura di U. Levra - N. Tranfaglia, Milano 1987 (con ulteriori indicazioni di fonti); E. Mana, Le origini del fascismo a Torino (1919-1926), ibid., ad ind.; A. d'Orsi, La cultura a Torino tra le due guerre, Torino 2000, ad indicem; A. Zamboni, Scrittori nostri. Profili di contemporanei, Reggio Emilia 1931, s.v.; L. Pironti, Augusta Taurinorum, Torino 1933, sub voce.