GRAMMORSEO, Pietro
Pittore fiammingo originario di Mons (capoluogo dello Hainaut, nell'odierno Belgio) noto, attraverso opere firmate e documenti, solamente per la sua attività piemontese, accertata almeno a partire dal 1521.
Il primo documento che lo riguarda, redatto a Casale Monferrato il 1° ag. 1521, lo dice figlio di un defunto maestro Rolet de Moncia e fa riferimento al contesto entro il quale egli si trovò a operare nel breve arco della sua attività attualmente nota. Si tratta di un atto riguardante i patti relativi alla dote che il pittore casalese Francesco Spanzotti (fratello del più noto Martino) doveva al G. per il matrimonio tra questo e la figlia Caterina; ma allo stesso tempo rappresenta un vero e proprio contratto di società, in quanto prevedeva che il pittore forestiero abitasse con il suocero per "laborare et exercere officium sive exercitium suum pictorie"; per parte sua lo Spanzotti si impegnava a dividere a metà i proventi e a mantenere il G. con la moglie e i loro eventuali figli (Schede Vesme, p. 1602).
La critica ha ricondotto alla prima produzione del G. la tavola con i Ss. Giovanni Battista e Lorenzo (Besançon, Musée des beaux-arts), che probabilmente è l'opera più antica tra quelle oggi note (Romano, 1966, p. 124).
Poco dopo il 1521 si deve collocare la collaborazione con l'astigiano Gandolfino da Roreto per il polittico destinato al duomo di Asti, raffigurante la Madonna col Bambino, la Crocifissione e i Ss. Giovanni Battista, Giulio, Orsola con una donatrice edEulalia (Torino, Museo civico d'arte antica).
La realizzazione di quest'opera è sicuramente successiva al 1521, poiché in quell'anno si definì la donazione che portò alla costruzione della cappella e dell'altare su cui era collocata. L'analisi stilistica permette di riferire al G. la maggior parte dell'opera: l'intero registro inferiore e la Crocifissione al centro di quello superiore (Baiocco).
Dell'8 genn. 1523 è la commissione affidata a "Magister Petrus de Monserio Flamengus pictor", da parte di Margherita Guiscardi e dei suoi figli, per realizzare un'ancona destinata alla chiesa di S. Francesco a Casale.
Nel contratto l'opera, suddivisa in più scomparti, viene descritta con precisione: la tavola centrale doveva raffigurare il Battesimo di Cristo, sulla sinistra erano previsti i Ss. Antonio da Padova e Defendente e sulla destra i Ss. Barbara e Antonio; nel registro superiore l'artista doveva inserire due tavole rispettivamente con i Ss. Vincenzo e Margherita a sinistra, S. Giacomo e s. Eusebio a destra, mentre il coronamento superiore prevedeva una Crocifissione con Dio Padre e la predella Storie di s. Giovanni Battista (Schede Vesme, p. 1368). La precisa descrizione contenuta nel documento ha consentito di riconoscere come spettanti a questa commissione due tavole acquisite in tempi diversi dalla Galleria Sabauda di Torino: il Battesimo firmato e datato 1523 e il laterale con i Ss. Antonio da Padova e Defendente (Romano, 1987).
Un'altra opera del G. era stata segnalata, nella stessa chiesa casalese, alla fine del Settecento da Luigi Lanzi e da Giuseppe De Conti: si tratta della Madonna col Bambino e santi (Vercelli, palazzo arcivescovile), firmata e datata 1524 (ibid.).
Queste prime importanti commissioni casalesi evidenziano come il pittore, pur entrando in stretto rapporto con la famiglia Spanzotti, fosse portatore di un linguaggio autonomo, fortemente innovativo rispetto a Martino Spanzotti (tuttora non si conosce alcuna opera certa di Francesco); tale autonomia è certo dovuta alla sua formazione oltralpina, ormai compiuta, e alla conoscenza di fatti leonardeschi e dureriani, mediata con consapevolezza alla luce di quanto di meglio poteva offrire in quegli anni il panorama piemontese e lombardo (spunti da Defendente Ferrari e da Gaudenzio, ma soprattutto dagli "eccentrici" Pedro Fernández e Cesare da Sesto).
Non si è finora chiarita la provenienza della Madonna col Bambino e s. Pietro Martire, firmata e datata 1525, acquisita all'inizio del Novecento dalla Galleria Sabauda di Torino; si tratta però di un nuovo apice dell'artista, in cui la luce adamantina svela, nei protagonisti così come nella natura, una realtà cruda e palpitante. Dello stesso anno è il Matrimonio mistico di s. Caterina, siglato "P(etrus) G(ramorseus) F(aciebat) - 1525", di ubicazione ignota, segnalato da Ragghianti e da Moro.
La pala raffigurante l'Immacolata Concezione (Dublino, National Gallery of Ireland) riporta l'iscrizione "Petrus Gramorseus faciebat 1526", e corrisponde al dipinto segnalato all'inizio dell'Ottocento nella parrocchiale di Boscomarengo (in provincia di Alessandria) - anche se non è certo che fosse stato commissionato per quella sede - passato in seguito alla collezione londinese di sir Henry Howorth (Wynne; Romano, 1970, p. 36 n. 3).
Nello stesso anno l'attività casalese del pittore sembra essere intensa e forse almeno in parte svincolata dalla bottega del suocero, poiché il G. stipulò un contratto di apprendistato con cui prese a bottega per un periodo di quattro anni tale Domenico de Cauda, sul quale non si hanno altre informazioni (Schede Vesme, p. 1368).
Nel 1527 si collocano le ultime notizie che ricordino in vita il G.: si tratta di due atti (del 29 agosto e del 27 ottobre) che non fanno riferimento alla sua attività, ma che ribadiscono i nessi con l'ambiente casalese (ibid., p. 1368).
Il G. risulta essere morto alla data del 21 ag. 1531, quando il testamento di Gabriele Spanzotti (canonico della cattedrale di Casale, fratello di Francesco e Martino) prevede un lascito alle nipoti Anastasia e Margherita, figlie del "quondam magistri Petri Gram Morsio pictoris" e di Caterina (ibid., p. 1603; Romano, 1970, p. 36 n. 2).
La critica ha attribuito al G. il S. Francesco (Pavia, Pinacoteca Malaspina), reso noto da Romano (1966), poiché mostra le caratteristiche della sua pittura: in particolare coincide con il s. Antonio da Padova della tavola della Sabauda.
Dubbi sono stati invece giustamente sollevati sulla iscrizione presente sull'Adorazione dei magi già nella collezione Traugott di Stoccolma (Torino, collezione privata), che ne riporterebbe l'esecuzione al G. nel 1523 (Brizio, p. 135; Mallé, pp. 5 s.): si tratta infatti di un'opera inconciliabile con quanto sappiamo del percorso del G., di qualità decisamente inferiore e comunque più tarda (Romano, 1966, p. 123). Non sembra altresì condivisibile l'ipotesi di riferire al G. la pala in S. Sebastiano a Biella con i Ss. Giovanni Evangelista, Sebastiano e Agostinoche presenta un donatore (Brizio, p. 135), per la quale è stato indicato più correttamente, anche se in via di ipotesi, il nome di Sebastiano Novelli, ovvero dell'unico pittore piemontese la cui formazione si possa definire in qualche modo legata all'esperienza del G. (Romano, 1970).
Fonti e Bibl.: A.M. Brizio, La pittura in Piemonte dall'età romanica al Cinquecento, Torino 1942, pp. 132-137, 224 s.; L. Mallé, Contributo alla conoscenza del G., in Boll. della Società piemontese di archeologia e belle arti, n.s., XIV-XV (1960-61), pp. 3-16; G. Romano, Profilo del G., in Arte antica e moderna, XII (1966), 34-36, pp. 123-129; M. Wynne, Una tavola del G. ritrovata, in Boll. della Società piemontese di archeologia e belle arti, n.s., XXIII-XXIV (1969-70), pp. 97 s.; G. Romano, Casalesi del Cinquecento, Torino 1970, pp. 49 s.; Schede Vesme. L'arte in Piemonte, IV, Torino 1982, pp. 1367-1369, 1602 s.; C.L. Ragghianti, Pinacoteca Malaspina, in Critica d'arte, V (1985), 2, p. 54; F. Moro, "Carta di tornasole": la pala di Giovan Francesco Bembo con i santi Stefano e Francesco, in Paragone, XXXVII (1986), 439, p. 32; G. Romano, Un "Battesimo di Cristo" di P. G., in Boll. d'arte, LXXII (1987), 43, pp. 109-116; S. Baiocco, Profilo di Gandolfino da Roreto, in Gandolfino da Roreto e il Rinascimento nel Piemonte meridionale, a cura di G. Romano, Torino 1998, pp. 261 s., 315.