Pietro III re d'Aragona
Figlio di Giacomo I d'Aragona e della seconda moglie Violante, nacque nel 1239 e salì al trono alla morte del padre (1276).
Condusse un'abile politica, sia nella penisola iberica che al di fuori di essa, stringendo alleanze con Alfonso X di Castiglia e Dionigi di Portogallo e costringendo suo fratello Giacomo di Maiorca a riconoscersi suo feudatario. Nel 1262 aveva sposato a Montpellier Costanza figlia di Manfredi, e da allora aspirò alla corona di Sicilia, che assunse dopo il Vespro siciliano (30 marzo 1282). È luogo comune presso i cronisti che l'intervento in Sicilia, ispirato dalla stessa Costanza che figura in alcuni documenti con il titolo di regina oltre che di signora feudale dei vassalli siciliani anche quando P. era ancora infante, abbia avuto lo scopo di tutelare l'onore della moglie e vendicare Manfredi e Corradino, ma in effetti s'inserisce in un ben più vasto quadro politico internazionale. La spedizione nell'isola gli attirò la scomunica da parte di papa Martino IV, che diede l'investitura dei suoi domini a Carlo di Valois e bandì contro di lui una crociata; conseguenza di ciò fu la spedizione in Spagna di Filippo III di Francia, che però si risolse in un insuccesso. P. morì a Villafranca del Panadés presso Barcellona, in seguito a ferite riportate in combattimento contro i Francesi, l'11 novembre 1285, poco dopo i suoi avversari, Carlo d'Angiò e Filippo III. Prima di morire fu assolto dall'arcivescovo di Tarragona, avendogli dichiarato di essere intervenuto in Sicilia per difendere i diritti dei figli e di non aver voluto recare oltraggio alla Chiesa. I suoi figli legittimi furono tutti sovrani, tranne l'ultimogenito: Alfonso, Giacomo, Federico, Isabella (santa, moglie di Dionigi l'Agricola re di Portogallo), Violante (moglie di Roberto, re di Napoli e nominalmente di Sicilia), Pietro.
" Fu grosso del corpo, e forte d'animo e di membri " (Ottimo); lasciò fama di grande sovrano (fu detto infatti " Pere el Gran "), modello dell'eroe senza macchia, cavalleresco anche verso i nemici, del re prode votato alle audaci imprese, protettore delle lettere, poeta egli stesso: se ne trovano gli echi nella letteratura catalana, nel Boccaccio e in altri narratori italiani, e poi in Shakespeare.
D. colloca P. nella valletta dell'Antipurgatorio, fra i principi negligenti nel pentimento (Pg VII 112-113): Quel che par sì membruto e che s'accorda, / cantando, con colui dal maschio naso (il suo antico nemico, Carlo d'Angiò). Dietro a lui siede un suo figlio (lo giovanetto: Alfonso o Pietro?); e padre e figlio Sordello accomuna in espressioni di alta lode.
D. coglie l'occasione per biasimare gli altri due eredi di P., insieme con Carlo lo zoppo figlio di Carlo d'Angiò, e ricorda infine a chiusura del breve episodio Costanza, primo e vero motivo dell'elogio.
Bibl. - M. Amari, La guerra del Vespro siciliano, Milano 18869; O. Cartellieri, P. von Aragon und die sizilianische Vesper, Heidelberg 1904; H. Wieruszowski, La corte di P. d'Aragona e i precedenti dell'impresa siciliana, in " Arch. Stor. Ital. " CVI (1938) 141-162; S. Runciman, The Sicilian Vespers, Cambridge 1958; F. Soldevila, Vida de Pere el Gran i d'Alfons el Liberal, Barcellona 1963; F. Giunta, D. e i sovrani di Sicilia, in " Boll. Centro Studi Filol. e Ling. Siciliani " X (1966) 29-45; P. Palumbo, Il " novissimo " Federico nel giudizio dantesco, in Atti del Convegno di Studi su D. e la Magna Curia, Palermo 1967, 226-235.