ILLICINO, Pietro
Di famiglia senese, nacque verso il 1504. Nulla sappiamo della giovinezza e della prima formazione. Studiò lettere latine a Padova con Lazzaro Bonamico, docente dal 1530 alla morte nel 1552. Si addottorò in diritto canonico nel febbraio 1547 quando si era già fatto un nome non solo come giurista, ma anche come umanista, specialmente nel campo della letteratura greca. Sempre nel 1547, dopo un soggiorno in Ungheria, ospite di una famiglia della nobiltà, si trasferì presso la corte polacca, dove, grazie all'intervento del vescovo di Cracovia Samuel Maciejowski, nel 1548 gli fu assegnata una cattedra nell'Università di quella città.
Lo Studio cracoviense si era aperto già dagli anni Settanta del XV secolo all'influsso dell'umanesimo italiano, specialmente nell'ambito delle arti liberali, e l'ambiente intellettuale che l'I. trovò in Polonia non gli doveva essere del tutto estraneo. Negli anni Quaranta del XVI secolo studenti provenienti dalla Polonia avevano non solo frequentato l'Università di Padova, ma vi avevano creato una sorta di accademia polacca, i cui membri godevano ora di prestigio e di influenza in patria. In verità, l'I. descrive Cracovia come un rifugio, dove gli sarebbe stato possibile cominciare una nuova fase della sua esistenza e nel quale era fuggito così come Ulisse dai Ciclopi, senza però rivelare quale sorta di difficoltà lo aveva costretto ad abbandonare l'Italia e l'Ungheria.
A Cracovia l'I. tenne corsi di diritto e filosofia. Tra i testi che lesse vi furono il De oratore di Cicerone e i Dialoghi di Platone, che spiegava e commentava nella lingua originale. Accanto all'attività accademica, si cimentò con la poesia, componendo versi d'occasione in lode dei suoi protettori la regina Bona e il re Sigismondo II Augusto. Tra questi testi è un Idyllium in laudem Samuelis Cracoviensis Ecclesiae antistitis, importante perché inizia la ricezione della poesia bucolica greca nella letteratura polacca. L'I. dichiara apertamente di seguire Teocrito, ma utilizza anche motivi virgiliani e correda la poesia con numerosi marginalia eruditi che rinviano ad altri classici greci e latini. Tradusse inoltre l'Epitaphium Bionis attribuito a Mosco, divulgando così anche quest'altra opera pastorale.
Nel 1549 pubblicò a Cracovia i Carmina et praefationes aliquot. Le Praefationes vertono su diversi argomenti: In laudem Regni Poloniae et Samuelis Maciejowski episcopi Cracoviensis, In laudem humanae naturae et disciplinarum, De malorum nostri temporis causa, De optimo rei publicae statu, De institutione principis, In laudem iuris civilis. Nella seconda metà del XVI secolo questi trattatelli furono utilizzati come fonti dagli autori polacchi, soprattutto intorno a questioni pedagogiche. Con gli stessi argomenti di altri umanisti italiani, l'I. esorta infatti a considerare l'educazione dei bambini come un serio compito pubblico; sostiene che dovrebbe essere compito del governo avviare tutti i fanciulli all'istruzione e che ciò consentirebbe di evitare disordini e rivolte nella popolazione. In generale, aggiunge poi che le istituzioni scolastiche polacche e i loro programmi dovrebbero essere riformati secondo i modelli italiani, e per migliorare la dotazione finanziaria dell'Università propone che il vescovo impieghi con più larghezza le rendite ecclesiastiche per la retribuzione di studiosi e professori.
Le osservazioni in materia pedagogica che si trovano nelle Praefationes I e II sembrano aggiunte legate alla situazione in Polonia, mentre oggetto dei due trattati sono soprattutto temi generali, come l'essenza dell'uomo e la sua posizione nell'universo, il destino, la provvidenza, il libero arbitrio, e fanno pensare ad appunti presi alle lezioni di Padova. Si rivela così un I. in stretto rapporto con il pensiero di Giovanni Pico della Mirandola, ed evidente è la conoscenza di Marsilio Ficino, Pietro Pomponazzi e Giannozzo Manetti. Meno originali sono le altre Praefationes, che offrono una raccolta di loci communes da Platone e Aristotele sui temi dello Stato e dei suoi compiti. Come migliore forma di Stato l'I. consiglia la monarchia ereditaria, quale vigeva in Polonia; lodi particolari sono riservate all'Italia.
All'inizio del 1551 l'I. assunse un insegnamento nella facoltà di diritto dell'Università di Vienna. Per giustificare la partenza da Cracovia addusse motivi di salute, forse nella decisione ebbe una parte la morte del Maciejowski. Anche a Vienna l'I. trovò una collocazione importante e onorevole vicina alla corte. Nel 1551 pubblicò a Vienna il Carmen in reditumViennam invictissimi Romanorum, Hungariae Bohemiaeque regis, archiducis Austriae Ferdinandi principis optimi, panegirico in onore di Ferdinando d'Asburgo. L'anno successivo era però di nuovo in Ungheria, dove prese parte con fervore alle dispute confessionali e si adoperò per impedire l'ulteriore diffusione della Riforma nelle città e nell'aristocrazia. È probabile che in questo periodo entrasse in religione.
L'arcivescovo Miklós Oláh, educato anch'egli all'umanesimo italiano, gli conferì un canonicato nel capitolo del duomo di Gran (Strigonia, in ungherese Esztergom), che dopo la presa della città da parte dei Turchi si era trasferito a Tyrnau (in ungherese Nagyszombat, in slovacco Trnava). Nel 1558 l'I. deteneva inoltre l'ufficio di prevosto della collegiata di S. Tommaso e probabilmente riscuoteva pure le rendite di una prepositura nel duomo di Erlau (Agria, in ungherese Eger). Durante un sinodo dell'arcivescovato di Gran tenne un ciclo di prediche sul riconoscimento della vera fede, che poi divulgò a stampa. Era direttore del ginnasio di Cinquechiese (Fünfkirchen, in ungherese Pécs) ed entrò in contatto con l'umanista e diplomatico Andreas Dudith Sbardellati, di orientamento riformato, senza però subirne l'influenza. Trascorse due anni e mezzo in Transilvania come canonico del duomo e vicario generale presso il vescovo di Weissenburg (in ungherese Gyulafehérvár, in romeno Alba Julia) Pál Bornemisza. Quando questi fu scacciato dai Turchi, pare che l'I. l'abbia seguito a Nyitra (Neutra, in slovacco Nitra) nell'Ungheria settentrionale, dove Bornemisza nel 1560 assunse l'ufficio di amministratore della diocesi.
L'I. si creò accaniti avversari nelle file del partito protestante a causa del suo operato come procuratore dell'arcivescovo di Gran: il suo compito era di esaminare i titoli giuridici dei possessori di beni religiosi e recuperare proprietà della Chiesa finite in gran numero nelle mani della nobiltà. Così egli procedette contro la famiglia magnatizia dei Thurzó, che si era impadronita di una grossa parte delle proprietà terriere del vescovato di Nyitra, e se la inimicò. Agli avversari dell'I. riuscì di tirare dalla loro parte anche il re e nel 1566, o poco prima, l'I. fu espulso dall'Ungheria e perse anche il canonicato nel duomo di Gran. Nella Dieta imperiale che si tenne ad Augusta nel 1566 l'I. si adoperò senza successo affinché il bando fosse revocato e pregò il cardinale Stanislao Hosius, che aveva conosciuto in Polonia, di raccomandarlo presso Massimiliano II. L'imperatore considerava però l'I. un agitatore, una "persona inquieta, seditiosa et scandalosa" (Bues, p. 458) e gli vietò a lungo il soggiorno nel Regno d'Ungheria. In seguito, secondo quanto riferì il nunzio a Vienna Giovanni Dolfin nel 1574, si pentì di non averlo bandito da tutti i suoi domini.
Verso il 1571 l'I. divenne canonico del duomo di Olomouc (Olmütz in tedesco) e anche lì fu presto coinvolto nelle tenaci liti che da anni dividevano il capitolo. Quando nel 1572 una parte dei capitolari tentò di designare un nuovo vescovo mediante postulazione, l'I., consultato sulla legittimità della procedura, la dichiarò non valida e con l'aiuto dei gesuiti riuscì a imporre la sua interpretazione giuridica. In maniera ancora più conflittuale si svolse la successione vescovile nel 1574, che vide eletto Thomas Albin von Helfenburg (Albín z Helfenburku). In aprile l'I. si recò a Vienna e informò il nunzio Dolfin che egli era stato irregolarmente escluso dall'elezione, che questa si era svolta violando il diritto canonico e in maniera nulla sotto più punti di vista. Inoltre egli giudicava inadatta la persona dell'eletto. Con questa condotta l'I. mise in imbarazzo Dolfin, dato che, per evitare un disordine ancora maggiore nella Chiesa morava, questi era intenzionato a non annullare l'elezione, e inoltre temeva un conflitto con l'imperatore, disposto a riconoscere il nuovo vescovo. Per giunta, dato che l'I. aveva già presentato a Roma le sue critiche e lamentele contro l'eletto, la decisione non era più di competenza del nunzio; la sua esortazione a entrambe le parti a una condotta conciliante rimase senza effetto. Nei mesi seguenti l'I. tentò ancora di impedire che l'Albin fosse confermato nell'ufficio e in questo modo si attirò vieppiù l'ostilità dei sostenitori del prelato. Con il pretesto che con le sue denunce a Roma aveva provocato un processo contro il vescovo non ancora consacrato, per sostenere il quale questi avrebbe dovuto versare una grossa somma di denaro, l'I. subì l'onta dell'arresto su ordine del capitolo metropolitano, fu tenuto in cella per due giorni e poi agli arresti domiciliari. Il nunzio Dolfin seppe di questi provvedimenti il 15 settembre e, sebbene finora non avesse mostrato simpatia per l'I., si preoccupò molto per il suo destino. Esortò energicamente il vescovo a rimetterlo in libertà e pregò anche l'imperatore di intervenire in suo favore. Quando gli furono consegnati scritti nei quali l'I. dichiarava di ritirare le sue accuse contro il vescovo Albin e le riserve sulla validità dell'elezione, Dolfin ritenne che egli non avesse cambiato parere spontaneamente e rimase in dubbio se avesse effettivamente ricuperato la libertà. Una riconciliazione fu possibile solo quando fu reso noto che l'Albin l'8 ott. 1574 aveva ottenuto la ratifica pontificia.
Nel 1573 l'I. pubblicò a Olomouc la Paraenesis ad Hungaros de antiqua fide servanda divinisque flagellis, che divenne il suo scritto più noto in Ungheria, insieme con una Disputatio de recta fidei dignoscendae regula. Un secondo scritto con il titolo affine, Ad inclyti Hungariae Regni proceres et nobiles ac cives de antiqua fide servanda divinisque flagellis paraenesis (già approvato dall'Università di Vienna tre anni prima), apparve nel 1574-75, insieme con il De recta fidei dignoscendae regula sermones, edizione delle dieci prediche sinodali dell'arcivescovato di Gran. Con l'esortazione alla lealtà verso l'antica fede l'I. si rivolse però anche alla nobiltà morava in uno scritto pubblicato in lingua ceca nel 1574, Knižka o jednotě virý (Libretto sull'unità della fede), e lavorò a un'opera rimasta incompiuta sui doveri e il potere del sovrano nella Chiesa di Dio.
Continuò inoltre a prendere viva parte alle vicende confessionali in Ungheria e fu in amichevole contatto con il canonico e vescovo di Cinquechiese Miklós Telegdi, attivo a Tyrnau, brillante predicatore e scrittore al servizio della Controriforma. Nonostante l'età avanzata, si impegnò a fondo per ottenere il permesso di risiedere in Transilvania, per collaborare all'istituzione di una scuola superiore cattolica a Klausenberg (in ungherese Koloszvár, in romeno Cluj), dove dal 1568 esisteva un collegio degli antitrinitari. A questo obiettivo servì anche il suo ultimo scritto pubblicato a Olomouc nel 1581, l'Ad Transilvanos qui a Catholica fide alienati ad Sabellium seu Praxeam seu Paulum Samosatensem et ad Arium vel ad Nestorium vel Photinum degenerarunt paraeneticon, con il quale tentò di ottenere il favore del voivoda di Transilvania e re di Polonia Stefano Báthory. Nello scritto si schiera contro gli avversari della dottrina trinitaria sostenuta dalla Chiesa cattolica, esorta il principe a ristabilire l'unità della fede cattolica e polemizza duramente con Giorgio Biandrata (Blandrata), che sotto il predecessore di Stefano Báthory aveva aiutato gli antitrinitari di Transilvania a reclutare nuovi seguaci.
Fu in buoni rapporti con Stanislao Pavlovský, vescovo di Olomouc dal 1579.
L'I. morì a Olomouc il 23 marzo 1582. In un testamento del 1575 aveva lasciato la sua biblioteca e un lascito di 300 ducati al collegio dei gesuiti a Olomouc.
Un folto elenco di altre opere dell'I. è in Kollány (p. 155): commenti a Cicerone, Isocrate, Aristotele, scritti di diritto. L'Idyllium in laudem Samuelis Cracoviensis Ecclesiae antistitis è edito a cura di K. Blachowicz in Eos. Commentarii Societatis philologae Polonorum, LXVII (1979), pp. 339-346.
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