LACAVA, Pietro
Nacque a Corleto Perticara, in Basilicata, il 21 ott. 1835 da Giuseppe Domenico e da Brigida Francolino. Il padre era un avvocato di idee liberali, che ebbe una parte di rilievo nel moto rivoluzionario della Basilicata del 1848 e poi nell'insurrezione lucana del 1860.
Il L. seguì le orme del padre: si laureò in giurisprudenza a Napoli, dove ebbe fra i suoi maestri il penalista E. Pessina, e qui entrò presto in contatto con gli ambienti patriottici. Nel 1857 fu, con G. Albini e G. Lazzaro, fra i fondatori del Comitato dell'ordine, che aveva come programma l'unità italiana con la monarchia sabauda. In veste di segretario del Comitato organizzò l'importante dimostrazione degli studenti universitari del 6 apr. 1860 e nei mesi seguenti, dopo l'avvio della spedizione dei Mille, fu tra gli artefici dell'insurrezione della Basilicata. Assunse poi la carica di segretario del governo prodittatoriale che si costituì a Potenza nell'agosto 1860 e il 7 settembre entrò a Napoli al fianco di Garibaldi.
Dopo la costituzione del Regno d'Italia iniziò la carriera nei ranghi delle pubbliche istituzioni: sottogovernatore di Melfi, successivamente consigliere di prefettura a Pavia, poi sottoprefetto a Palmi e Rossano. Ma la carriera si arrestò nel dicembre 1867, quando il L., all'epoca questore di Napoli, arruolò segretamente volontari per l'impresa di Mentana, fornendo loro armi della pubblica sicurezza. Dimessosi, decise di dedicarsi alla vita politica e già nelle elezioni suppletive del 5 apr. 1868 fu eletto deputato nel collegio di Corleto Perticara, che rappresentò ininterrottamente alla Camera fino alla morte. Dal 1870 al 1876 fu inoltre presidente del Consiglio provinciale di Potenza.
In Parlamento sedette a sinistra e nel 1874 fu tra i firmatari del manifesto della Sinistra giovane, un documento col quale diversi esponenti dello schieramento progressista, per lo più di provenienza meridionale e non pregiudizialmente avversi ad accordi con la Destra, tentarono di dar voce a istanze più moderate e pragmatiche. Nel 1876, con l'avvento al potere della Sinistra, fu chiamato a ricoprire l'incarico di segretario generale del ministero dell'Interno, che resse fino al dicembre 1877. In tale veste coadiuvò il ministro G. Nicotera nella gestione delle elezioni del novembre 1876, che segnarono il pieno successo dei candidati della maggioranza. Vicino ad A. Depretis, che nel dicembre 1878 lo nominò segretario generale del ministero dei Lavori pubblici, nel luglio 1879 non esitò tuttavia a orientare contro di lui (nella fattispecie contro gli emendamenti governativi alla legge che aboliva la tassa sul macinato) il voto della deputazione lucana, contribuendo alla caduta del suo terzo governo.
Nel 1880 fece parte della commissione parlamentare incaricata di esaminare il progetto di legge di riforma elettorale, che fu approvato nel 1882. Il L. si batté per un ampio allargamento del suffragio, che individuasse nel saper leggere e scrivere il criterio fondamentale per acquisire l'elettorato attivo, e per l'introduzione dello scrutinio di lista. Riteneva infatti che tale dispositivo, combinato con l'estensione delle circoscrizioni elettorali, avrebbe favorito la nascita di due moderni partiti e di una rappresentanza autenticamente nazionale, svincolata dai campanilismi e dai clientelismi del sistema uninominale. Su questi temi pubblicò alcuni saggi (Sulla riforma della legge elettorale, Napoli 1881; Sulla rappresentanza delle minoranze, Roma 1882), che ebbero una certa risonanza.
Nel maggio 1881, nella crisi seguita alla caduta del governo Cairoli, fu tra i deputati della Sinistra che si dichiararono disposti a sostenere una nuova compagine ministeriale guidata da Q. Sella, capo della Destra. L'iniziativa, che non andò in porto, dimostrò la sua propensione a un accordo fra le varie anime dello schieramento liberale, che si concretizzò l'anno seguente con il varo del trasformismo. Inizialmente vicino a Depretis, si spostò poi sulle posizioni della Sinistra dissidente di cui condivise alcune scelte fondamentali: nel 1885 votò, insieme con F. Crispi, contro la legge sulla perequazione fondiaria, che giudicava fosse a esclusivo vantaggio dei grossi proprietari settentrionali e assai dannosa per i contadini del Sud. Dopo essersi espresso a favore delle convenzioni ferroviarie del 1885, nel marzo 1886 votò la sfiducia a Depretis sulla questione finanziaria.
Nel marzo 1889 Crispi, cui lo legava anche la comune adesione al Grande Oriente d'Italia, lo chiamò alla guida del nuovo ministero delle Poste e Telegrafi, che fu istituito trasferendovi i servizi delle due direzioni generali che erano state fino ad allora alle dipendenze del ministero dei Lavori pubblici. Il L. mantenne questa carica fino al febbraio 1891, quando la formazione del governo Rudinì lo vide rientrare nelle file dell'opposizione. Fu di nuovo ministro nel primo governo Giolitti, dal maggio 1892 al dicembre 1893, col portafoglio di Agricoltura, Industria e Commercio. In questo ruolo si trovò coinvolto nello scandalo della Banca romana, alla quale, mediante un disegno di legge presentato d'intesa col ministro del Tesoro B. Grimaldi, cercò di prorogare la facoltà di emissione dei biglietti. Scagionato dalla commissione parlamentare d'inchiesta (con la formula "non risulta"), restò privo di incarichi governativi per alcuni anni, durante i quali mantenne rapporti di amicizia e di collaborazione con G. Giolitti.
In questa fase si dedicò allo studio dei problemi della finanza locale, sulla quale nel 1896 pubblicò un importante saggio, che apparve dapprima nel periodico La Riforma sociale diretto da F.S. Nitti, poi riprodotto come volume a sé (La finanza locale in Italia, Torino 1896). In quest'opera avanzò alcune ipotesi, che avrebbe ripreso e sviluppato in un successivo studio (Finanza di Stato e finanza locale, Roma 1901), per risolvere le gravi difficoltà finanziarie in cui si dibatteva la maggior parte dei comuni italiani. Egli sostenne la necessità di sancire la responsabilità degli amministratori, di stabilire rigide incompatibilità negli uffici amministrativi e di sopprimere il sistema vigente, che imponeva gli stessi obblighi per i comuni, piccoli e grandi. Si dichiarò in favore di un ampio decentramento da realizzarsi mediante l'istituzione del referendum amministrativo, sostenne l'elettività del sindaco estesa a ogni comune, indipendentemente dal numero degli abitanti, e una drastica riduzione dell'ingerenza dello Stato. Infine perorò la causa della diminuzione delle spese obbligatorie a carico delle amministrazioni comunali e una drastica riforma dei tributi locali, che li rendesse meno gravosi per i contribuenti e più equamente ripartiti.
Nel giugno 1898 il L. ricoprì il dicastero dei Lavori pubblici nel primo governo Pelloux, formatosi dopo i fatti di Milano e composto prevalentemente di uomini della Sinistra costituzionale. Nel maggio 1899, quando Giolitti e G. Zanardelli decisero di ritirare il proprio sostegno al governo, non condividendone la svolta autoritaria e decretandone così la caduta, il L. non li seguì e votò a favore delle leggi liberticide proposte da L.G. Pelloux, il quale, su indicazione di S. Sonnino, gli confermò l'incarico anche nel suo secondo governo (maggio 1899 - giugno 1900). A sua volta, il L., in occasione delle elezioni politiche del 1900, mobilitò tutte le sue risorse per garantire il successo dei candidati governativi a danno dei candidati giolittiani, di cui fino a quel momento era stato considerato il più autorevole esponente nel Mezzogiorno.
La formazione del governo Zanardelli, nel febbraio 1901, vide perciò il L. attestarsi inizialmente su una linea di intransigente opposizione, ma ben presto riemerse il suo viscerale ministerialismo. Ciò accadde quando cominciò a profilarsi l'ipotesi di interventi speciali a favore del Meridione. In un intervento alla Camera del dicembre 1901 egli invitò i deputati settentrionali a visitare le regioni del Sud per farsi un'idea precisa delle misere condizioni in cui esse versavano. Tale impegno fu assunto immediatamente da Zanardelli con la visita in Basilicata del 1902, che pose le premesse per la legge speciale a favore della regione approvata nel 1904. Essa rappresentò un indubbio successo personale del L., che accompagnò Zanardelli nel suo viaggio in Basilicata e durante l'iter parlamentare della legge ebbe modo di riavvicinarsi anche a Giolitti.
Il L. raccolse i frutti di questa ennesima svolta della sua vita politica nell'aprile 1905, allorché fu eletto vicepresidente della Camera. Detenne questa carica fino all'aprile 1907, quando subentrò a F. Massimini come ministro delle Finanze nel terzo governo Giolitti. Nel 1908 le imponenti manifestazioni organizzate in suo onore, a Roma e in Basilicata, per festeggiare il quarantennale di vita parlamentare, rappresentarono un segno tangibile del ruolo di grande notabile che la classe politica italiana gli riconosceva.
Attivo sulla scena pubblica fino agli ultimi anni di vita (nel 1911 si schierò a favore dell'impresa libica e nel 1912 presiedette la commissione nominata per esaminare il trattato di Losanna con la Turchia), il L. morì a Roma il 26 dic. 1912, dopo esser stato nominato ministro di Stato.
Fra i suoi scritti: Discorsi pronunziati alla Camera nelle tornate del 21 e 22 apr. 1874 (sui provvedimenti finanziari), Roma 1874; In memoria di V. De Leo. Discorso letto in Montalbano Ionico il giorno dello statuto del 1896, Napoli 1896; La Basilicata. Lettera aperta all'onor. M. Ferraris, in Nuova Antologia, 1° maggio 1903, pp. 105-154; Commemorazione di G. Zanardelli (Potenza, 8 giugno 1904), Potenza 1904; Discorso commemorativo per l'inaugurazione del busto in marmo di M. Pagano collocato sul Pincio, pronunciato il 29 ott. 1908…, Roma 1908.
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