LANDO, Pietro
Nacque a Venezia nel 1462, figlio del senatore Giovanni e di Stella (chiamata anche Marina) Foscari del procuratore Filippo, residenti nella parrocchia di S. Simeone Profeta. Ebbe due fratelli, Andrea, che divenne arcivescovo di Candia, e Polo. La famiglia apparteneva alle case nuove del patriziato veneziano e il L. fu l'unico doge del casato. Nel 1498 (e non nel 1496 come in Barbaro - Tasca) sposò Maria Pasqualigo di Cosimo da S. Giuliano, dalla quale ebbe due figli, Francesco e Giovanni.
Di bell'aspetto, sin dall'infanzia portato per gli studi umanistici e filosofici, li coltivò senza tralasciare gli interessi commerciali e finanziari della famiglia - non dotata di grandi capitali e proprietà immobiliari - cui dedicò i primi anni della maturità, posticipando gli impegni politici che la nascita gli imponeva, e intraprendendo attività forense come avvocato. Fu presentato il 29 nov. 1480 all'Avogaria di Comun dalla madre, perché già orfano di padre, e nel marzo 1496 fu eletto podestà e capitano di Bassano, carica che ricoprì sino all'ottobre 1498; il 22 marzo 1498 fu scelto come capitano delle galere di Alessandria e l'11 ott. 1501 divenne patrono all'Arsenale, e in questa veste ebbe l'onore di scortare fino a Segna la regina d'Ungheria e il suo seguito. Il 3 dic. 1505 passò provveditore al Sal e tra marzo e dicembre 1507 fu eletto per due volte consecutive tra i Cinque savi di Terraferma. Il 30 apr. 1508 fu inviato provveditore a Faenza in sostituzione di Alvise Cappello e come camerlengo gli fu affiancato Alessandro Minio. Da questo incarico passò a quello di provveditore in Romagna (2 apr. 1509), con paga mensile di 80 ducati, ma il 10 maggio fu richiamato nella Dominante "per poter proveder ale urgentissime cosse sue" e accompagnato "da mala fama" (Sanuto, p. 338); il 2 giugno presentò in Collegio un'accurata relazione sul suo operato. Nel 1511 fu eletto savio di Terraferma, membro della Quarantia e ancora savio di Terraferma (4 aprile, 1° ottobre, 31 dicembre). Il 14 giugno 1512, quando era ancora savio di Terraferma, fu prescelto "quale degno et honorevol rapresentante nostro, per ben disponerlo al beneficio del Stato nostro" per incontrare il vescovo cassinese Matteo Gurgense, luogotenente dell'imperatore, in transito da Trento verso Roma. Il 28 settembre ritornò savio di Terraferma e il 1° ott. 1512 fu membro della Quarantia. Mentre era ancora savio di Terraferma (dal 29 marzo 1513) fu designato ambasciatore in Francia (16 maggio) ma rifiutò perché malato. Non poté esimersi dal partecipare all'ambasciata, composta da dieci patrizi, al pontefice Leone X (28 giugno 1513), e il 23 settembre il Senato gli impose dettagliate istruzioni per sostituire l'ambasciatore Francesco Foscari, esonerato per gravi problemi di salute. Il L. fu poi sostituito, prima della partenza e anch'egli per ragioni di salute, da Marino Zorzi (4 dic. 1514).
Il 1° ott. 1514 fu eletto alla Quarantia, carica lasciata l'11 marzo 1515 per passare al Consiglio dei dieci. Fu poi governatore delle Entrate (26 maggio), savio del Consiglio (giugno-dicembre 1516, ottobre 1517 - marzo 1518, ottobre - dicembre 1518), membro della Quarantia (1° ott. 1516, 1° ott. 1517), consigliere dogale per il sestiere di S. Croce (1° ott. 1518). Dal 5 dic. 1518 fu podestà a Padova, dove si distinse per il restauro della sede dello Studio e per il rigore nell'amministrazione della giustizia. Al suo ritorno nella Dominante occupò ancora incarichi di prestigio: savio del Consiglio (gennaio-giugno 1521, gennaio-giugno 1523), savio del Consiglio in addizione (3 aprile, 28 giugno 1525; 9 aprile, 23 giugno 1526), consigliere dogale per il sestiere di S. Polo (1° ott. 1521) e per il sestiere di Castello (26 ott. 1526), provveditore sopra le vendite dei beni del Dominio (1522), membro del Consiglio dei dieci (17 ag. 1522).
Il 19 luglio 1527 il Senato lo nominò capitano generale da Mar con il compito di dirigersi prontamente verso Corfù, con un'armata di 42 galee e un appannaggio di 15.000 ducati, in sostegno del re di Francia Francesco I di Valois contro l'imperatore Carlo V, per la conquista di Napoli. Proseguì verso Creta, dove sedò disordini scoppiati al porto di Canea, e al ritorno prese le città pugliesi di Trani, Mola, Polignano, Monopoli, Otranto, Brindisi, nuovamente spettanti a Venezia in base agli accordi con la Francia. Dirigendosi verso la Sicilia, si impadronì dei granai di Augusta, da cui poté recuperare una provvidenziale scorta di "biave" da portare a Venezia, duramente colpita da una carestia, biave che gli erano state negate dal castellano, "ma pagandole nondimeno onoratamente alli Siciliani" (Cappellari Vivaro). Il 10 giugno 1528 il L. occupò il porto di Napoli, ma l'impresa dovette essere abbandonata a causa dell'improvvisa morte per peste del maresciallo di Francia Odet de Foix, visconte di Lautrec. Risalendo l'Adriatico verso Venezia, il L. espugnò anche Molfetta.
Dopo l'elezione ad altri incarichi - savio del Consiglio (ottobre 1529 - marzo 1530, gennaio-giugno 1535) e ancora podestà di Padova (3 ag. 1533) - le sue capacità furono riconosciute e premiate con l'elezione, il 16 febbr. 1535 con 836 voti, alla prestigiosa carica a vita di procuratore di S. Marco de supra, in luogo del defunto Daniele Renier. Fu ancora ripetutamente savio del Consiglio (gennaio-giugno 1536, ottobre-dicembre 1537, gennaio-settembre 1538) prima di essere prescelto come doge, dopo Andrea Gritti, il 19 genn. 1539, in un tormentato scrutinio, con ben dodici turni di votazioni, che vide il ritiro del suo forte antagonista, il cavaliere e procuratore Francesco Donà.
Il suo dogato fu contrassegnato da importanti rinnovamenti nell'apparato amministrativo, con la creazione di nuove rilevanti magistrature, quali gli Inquisitori sopra la propalazion dei secreti (20 sett. 1539), i Provveditori alle fortezze (24 sett. 1542), i Tre auditori nuovissimi (30 marzo 1544), il Collegio della milizia da Mar (8 ag. 1545), l'ampliamento del Collegio solenne alle acque (26 genn. 1543) e con il nuovo regolamento per le elezioni in Maggior Consiglio (29 luglio 1544).
Durante il suo dogato fu stipulata la pace con il sultano Solimano il Magnifico, che costò a Venezia la gravosa cessione (del 2 ott. 1540, ratificata dal Senato il 20 novembre) delle roccaforti di Malvasia e Napoli di Romania (Nauplia) e il pagamento di 30.000 ducati in due rate annuali. Le abili trattative dell'ambasciatore Alvise Badoer non furono sufficienti, perché la disponibilità veneziana alla trattativa era nota ai Turchi, informati dai due segretari della Cancelleria, Costantino e Nicolò Cavazza, complici di Agostino Abondio e Giovanni Francesco Valier, assoldati dall'ambasciatore francese a Venezia Guglielmo Pellicier. A suo vantaggio la Serenissima poté riacquisire lo strategico avamposto di Marano nel Friuli (dal 1513 in mano agli Imperiali), conquistato dal capitano Beltrame Sachia nel gennaio 1542 grazie all'abile politica di neutralità del L. nel conflitto tra Francesco I e Carlo V, non favorevoli a tale annessione ma in contrasto tra loro.
Il L. fu, negli ultimi anni del dogato, in tali precarie condizioni di salute da non poter presiedere agli obbligatori compiti di governo, tanto da suscitare nei Consigli sovrani il proposito di sostituirlo, ipotesi da lui subita con sospetto e amarezza. Il L. morì a Venezia il 9 nov. 1545.
Dopo le pubbliche e solenni cerimonie funebri nella chiesa dei Ss. Giovanni e Paolo, dove il L. fu elogiato con un'orazione dell'erudito Michele (o Francesco) Barozzi, il suo corpo fu sepolto con tutti gli onori a S. Antonio di Castello, dove il L. aveva fatto edificare una cappella dedicata alla Madonna, in cui si trovava una statua marmorea, oggi perduta, di mano di Pietro Grazioli da Salò (Cicogna, 1824, p. 168), voluta dai nipoti. La pietra tombale (Cicogna, 1824, p. 167) fu trasportata al seminario patriarcale e in seguito utilizzata per lastricare il porto franco. Il L. è raffigurato nella sala del Senato a palazzo ducale, in una tela di Tintoretto, in adorazione di Cristo morto sorretto da angeli. Questa tela fu dipinta tra il 1581 e il 1584, in sostituzione di quella originariamente dipinta da Tiziano e distrutta nell'incendio del 1574.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Misc. codd., I, St. veneta, 20: M. Barbaro - A.M. Tasca, Arbori de' patritii veneti, IV, cc. 217, 219, 224; III, St. veneta, 32: G.A. Cappellari Vivaro, Campidoglio veneto, II, cc. 653-654; reg. 35: Cronaca veneta e dogi sino a Ludovico Manin, c. 71; Avogaria di Comun, Balla d'oro, regg. 164, t. III, c. 214v; 107: Cronaca matrimoniale, c. 159r; Segretario alle Voci, Elezioni in Senato, reg. 1/A, cc. 7v-8, 10r, 11-12r, 15r, 16v-17r, 55v, 60r, 102r, 111r; 2/B, cc. 1r, 2-3r, 6v; Misti, regg. 6, cc. 30v, 34r, 83r; 7, cc. 29, 37v, 40r; 8, cc. 16v, 28v, 116v, 130v; 9, cc. 16v, 19v, 21v, 22v, 25v, 27r, 32v; 11, cc. 3v, 72v, 82v; Maggior Consiglio, Deliberazioni, reg. 27, cc. 40r-43r, 113r; Senato, Secreti, regg. 41, cc. 174r, 186; 45, cc. 9r, 124r, 140, 145v; 46, cc. 7v-8v, 77v; 52, cc. 56r-58r; Senato, Terra, reg. 28, cc. 63v-64v; Cancelleria inferiore, Doge, Lettere, bb. 9 (ottobre 1540 - febbraio 1543); 10 (marzo 1543 - dicembre 1544); 11 (gennaio 1545); Capi del Consiglio di dieci, Lettere ambasciatori, Roma, bb. 20, nn. 124-127; 21, nn. 14-28, 77-262; 22, nn. 1-2; Dieci savi alle decime in Rialto, n. 700 (redecima 1537); M. Sanuto, I diari, VIII, Venezia 1882, passim; IX, Venezia 1883, passim; E.A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, I, Venezia 1824, pp. 167 s., 362; Id., Saggio di bibliografia veneziana, Venezia 1847, pp. 117, 329; S. Romanin, Storia documentata di Venezia, VI, Venezia 1857, pp. 43 ss.; V. Cian, A proposito di un'ambascieria di m. Pietro Bembo (dicembre 1514), in Archivio veneto, 1885, vol. 30, pp. 385 ss.; 1886, vol. 31, pp. 116 ss.; A. Da Mosto, I dogi di Venezia con particolare riguardo alle loro tombe, Venezia 1939, pp. 163-165, 333 s., 356; L. Pelliccioni di Poli, Storia della famiglia Landi patrizia veneta, Roma 1960, pp. 19-23; A. Da Mosto, I dogi di Venezia nella vita pubblica e privata, Venezia 1966, pp. 303-308.