MALOMBRA, Pietro
Nacque a Venezia nel 1556 da Bartolomeo, scrittore e "massaro" della Cancelleria ducale, e da Caterina Vasti (Ridolfi, p. 155; Palma, p. 77, n. 8). Scarse sono le notizie riguardanti la sua giovinezza e la sua formazione: Ridolfi racconta che il M. passò gli anni giovanili "nel carico" della Cancelleria ducale dove "soleva abbellir le spedizioni" e che solo più tardi si sarebbe dedicato esclusivamente alla pittura, cui si era avvicinato nella bottega di Giuseppe Porta detto il Salviati.
Seppure la prima affermazione sembra essere messa in dubbio dal fatto che il M. richiese la cittadinanza originaria, necessaria per essere ammesso alla Cancelleria, solo nel 1604 (Palma, p. 77, n. 8), il resto è invece confermato dall'analisi della sua prima opera nota: la Nascita di Maria (Santa Maria di Sala, parrocchiale) che risale solo al 1592-93 e dove effettivamente sono ben visibili gli influssi del Salviati (Marazzato, in Pallucchini, 1981, I, p. 46).
Negli anni successivi la sua attività dovette essere cospicua visto che il 19 settembre e il 6 nov. 1596 venne processato con Giovanni Contarini per aver esercitato la professione senza essere iscritto alla fraglia dei pittori. Condannato a iscriversi all'arte, vi risulta però segnato solo nel 1617 (Favaro, pp. 69 s., 115), sebbene sembri molto difficile che avesse potuto continuare a dipingere in maniera indipendente dopo la condanna. In effetti proprio dal 1597 si hanno sempre maggiori informazioni sulla sua attività: l'11 gennaio ricevette la commissione per la pala dell'altar maggiore per il duomo di Motta di Livenza con Cristo risorto e i ss. Nicola di Bari, Pietro, Giovanni Battista e Francesco, firmata e tuttora in situ (Fossaluzza); mentre l'8 dicembre venne collocato nella sala dell'"albergo" della Scuola grande della Misericordia un "quadro in prospettiva fatto dal magnifico messer Pietro Malombra, nostro fradel di Scola", oggi perduto (Mason).
Nel 1598 firmò la pala con Cristo che fulmina Chioggia (Chioggia, sacrestia della cattedrale) facente parte di un insieme di dipinti provenienti dal santuario della Beata Vergine della Navicella a Chioggia (Semenzato, p. 262). Intorno al 1600 sono databili la Vergine Incoronata, Tobiolo e l'angelo e i ss. Giovannino, Apollonia, Francesco e Liberale, realizzata dal M. per l'altare di Giovanni Barbarigo in S. Zaccaria (Nepi Scirè), e le due lunette con Papa Alessandro III concede l'indulgenza alla chiesa di S. Giacomo di Rialto e la Sottomissione di Federico Barbarossa a papa Alessandro III, in origine in S. Giacomo di Rialto e recentemente ritrovate da Piai (1999, pp. 94 s.) a palazzo ducale.
Della seconda esiste inoltre un disegno preparatorio (New York, Metropolitan Museum of art, n. 80.3.364) considerato uno dei punti fermi per la ricostruzione della sua produzione grafica (Tietze-Conrat, 1940, p. 36).
Tra il 1603 e il 1604 (Moschini, p. 418), dovrebbe cadere l'esecuzione dei due teleri con Clemente VIII concede indulgenze alla chiesa dei battuti e la Processione della Scuola dei battuti del 1603 per la Scuola di S. Giovanni dei battuti e oggi nella sacrestia di S. Pietro Martire a Murano (Rizzi).
Prima del 1604 doveva essere compiuta anche la perduta pala per S. Chiara a Venezia, citata dalle fonti e testimoniata da un disegno autografo in collezione privata inglese (Piai, 1994, pp. 167 s.). In tutte queste opere risulta evidente un continuo allontanarsi dalla lezione del Salviati e una sempre maggiore influenza della maniera di Iacopo Robusti, detto il Tintoretto, e di Palma il Giovane (Iacopo Negretti), con il quale, del resto, il M. risulta avere in questi anni diversi contatti così come con Alessandro Vittoria (Ridolfi, p. 188) e con il poeta Giambattista Marino. Per quest'ultimo il M. realizzerà il ritratto suo e quello di una sua favorita, e un quadro con Amore e Psiche, descritti in alcuni sonetti di Marino, ma oggi perduti (Marino, 1619, pp. 200, 240 s.).
Se la tela con la Pietà fra quattro senatori (palazzo ducale, sala dei Censori) e quella con la Visitazione per la chiesa dell'Assunta a Rovato (Belotti, p. 75) non sono documentate, ma dovrebbero cadere entro il primo decennio del secolo, è invece sicuramente databile al 1607 l'importante pala di S. Stanislao, commissionata da Girolamo Czyžowski per l'altare della Nazione polacca nella basilica del Santo a Padova (Kowalczyk), che il M. ottenne molto probabilmente aggiudicandosi un concorso a cui è legato l'unico disegno del suo corpus (Edimburgo, National Gallery of Scotland, n. RSA 21) databile con certezza (Piai, 1999, p. 96). Della restante attività padovana del pittore documentata dalle fonti (Ridolfi, p. 156) rimane solo il dipinto con i Ss. Giovanni Battista, Carlo Borromeo e una santa monaca nella chiesa di S. Clemente (Arslan) e un disegno attribuitogli da Meijer (p. 33) alla Galleria Estense di Modena (inv. n. 1187). Nella chiesa parrocchiale di San Giorgio delle Pertiche si trova inoltre la tela con la Madonna con il Bambino e i ss. Giovannino, Paolo, Marco, Pietro e Giovanni Evangelista ricordata da Boschini nella sede dei magistrati sopra i Consoli a Venezia (Spiazzi, p. 107).
Intorno alla fine del primo decennio del secolo il M. ottenne poi una serie di commissioni per palazzo ducale.
Nel 1608 firmò e datò il telero con L'Innocenza, la Concordia, l'Equità ed altre Virtù del magistrato nella sala dell'Auditor novo; mentre la tela con Venezia in trono con la Giustizia che fuga i Vizi per l'ufficio dei Signori di notte al criminale (oggi nella chiesa arcipretale di Nogaro) è databile al 1612, grazie agli stemmi dei magistrati presenti nel dipinto (Moschini Marconi).
Intorno a questi anni dovrebbe datarsi anche il complesso di tele per la sala della Quarantia civil vecchia con l'Annunciazione, Venezia in trono fra le Virtù che accoglie suppliche e Mercurio che conduce prigionieri, opere che si possono considerare tra le migliori del M. e in cui molto evidente risulta il suo avvicinamento alla lezione del Tintoretto (Pallucchini, 1981, I, p. 48).
La sua ultima opera dovrebbe essere la Cena ebraica (Venezia, S. Pietro di Castello) "terminata dall'Aliense [Antonio Vassilacchi] per la di lui morte" (Martinioni, p. 12). Stando a Ridolfi, il M. morì nel 1618 e fu sepolto nella tomba di famiglia in Ss. Giovanni e Paolo (Ridolfi, p. 160).
L'ingente patrimonio di disegni e modelli lasciati dal M. alla sua morte risulta già acquistato nel 1623 da un suo giovane allievo, che Meijer (p. 34) propone dubitativamente di identificare con Ascanio Spineda. Purtroppo del M. risultano perdute alcune delle opere più importanti che gli valsero il sesto posto tra i pittori delle "sette maniere" elencati da Boschini (1674): la lodatissima pala con S. Michele che scaccia i demoni in S. Bartolomeo a Venezia (Boschini, 1660, pp. 485-487), i numerosi ed elogiatissimi ritratti (Ridolfi, p. 157; Boschini, 1660, pp. 488 s.), i tanti fregi mitologici nei palazzi nobiliari (Ridolfi, p. 159) e quasi tutta la sua produzione da cavalletto, di cui oggi resta solo il Salomone e la regina di Saba (Bassano, Museo civico) attribuitogli da Piai (1999, p. 96) e datato intorno al 1605. Le fonti parlano anche della sua attività di scenografo teatrale, ma soprattutto di prospettico e di realizzatore di vedute, un genere documentario di cui il M. fu uno dei primi interpreti, come testimonia la Veduta della sala del Collegio a Venezia (Madrid, Museo del Prado) realizzata probabilmente tra 1608 e 1612 (Pallucchini, 1981, I, p. 48). Più cospicuo è invece il suo corpus di disegni in cui vanno ancora segnalati la Flagellazione (Milano, Pinacoteca Ambrosiana, Codice Resta, F.261, inf. 138) e l'Incoronazione della Vergine tra santi (Vienna, Akademie der bildenden Künste, n. 3751) attribuitigli da Tietze e Tietze-Conrat (1944, pp. 188 s.) e quello di controversa identificazione iconografica oggi agli Uffizi (Gabinetto dei disegni e delle stampe, inv. n. 12857F) a lui assegnato da Tordella (p. 217).
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