Pietro Mangiadore
Il più famoso maestro di sacra dottrina della seconda metà del sec. XII, assieme a Pietro Lombardo, trasse l'attributo di Comestor o Mangiadore probabilmente dalla passione per la lettura, che gli fece ‛ divorare ' gran numero di opere.
Nato a Troyes o nella campagna circostante nella prima metà del secolo, fu sacerdote e quindi, dal 1147 al 1164 (come pare), decano della cattedrale della stessa Troyes. Passato a Parigi, fu cancelliere della città dal 1164 al 1179 ed ebbe pertanto l'incombenza di vigilare sull'insegnamento della teologia nelle scuole parigine. Per cinque anni, sino al 1169, tenne egli stesso un insegnamento di teologia. Nel 1179 volle ritirarsi a vita di preghiera e di solitudine, lasciando ai poveri tutte le sue sostanze, e fu accolto nel monastero di San Vittore, ove morì in un ottobre degli anni tra il 1179 e il 1185.
Non fu un pensatore originale. Il senso del suo insegnamento teologico si coglie se ricondotto al clima dominante nelle scuole di teologia della seconda metà del sec. XII, caratterizzato da un impegno di sistemazione e di diffusione delle conquiste abelardiane e chartriane e dalla volontà di approntare, sul modello dei Libri Sententiarum di Pietro Lombardo, strumenti a livello ‛ manualistico ' completi e sistematici, che mettessero in grado gli ecclesiastici d'impadronirsi agevolmente delle quaestiones più disputate in funzione di una migliore difesa contro l'eresia. Tale carattere di manuale hanno il suo Sententiae de Sacramentis e l'introduzione, quasi sicuramente sua, a un corso sui Libri Sententiarum di Pietro Lombardo, nei quali egli raggiunge, rispetto a quest'ultimo, una maggior sicurezza nella definizione di certi aspetti della problematica sacramentale. Importanti sono i suoi Sermones (non tutti editi), di diverso tono a seconda della destinazione. Rimangono inoltre un certo numero di glosse ai Vangeli, un poemetto in onore della Vergine e il Liber qui dicitur Pancrisis, che è una raccolta di sententiae e di quaestiones destinata alla scuola. Ma la sua opera più importante è la Historia scholastica, compiuta tra il 1169 e il 1173, che, per la sua effettiva superiorità su quanto era stato fatto prima, ebbe nelle scuole la stessa diffusione della Concordia di Graziano e delle Sentenze di Pietro Lombardo e raggiunse tale fama da poter essere ricordata senza il nome dell'autore, con un'indicazione doppiamente antonomastica: dicit Magister in Historiis. Ispirata, ovviamente, a una visione provvidenzialistica degli eventi mondani, tratta della storia sacra dal Paradiso terrestre sino alla prigionia di s. Paolo a Roma. Consta di passi scritturali, accompagnati da un puntuale commento letterale e allegorico e da frequenti paralleli con la storia dei Persiani, dei Greci, dei Romani. Le fonti sono, oltre alla Bibbia, i padri e anche certi autori profani, dall'ebreo Giuseppe alla Sibilla, a Ovidio, Giovenale, Lucano. Nel commento non sono infrequenti notizie di archeologia biblica e di filosofia classica nonché notazioni di carattere filologico. L'aspetto più interessante tuttavia consiste nelle posizioni che l'autore assume in materia di esegesi allegorica e che illustra nell'incipit. Egli segue l'insegnamento di Ugo di San Vittore per quanto riguarda il posto da assegnare all'interpretazione del livello ‛ storico ' e letterale, che anche per lui dev'essere preliminare a ogni altra analisi sia per l'importanza che assume in sé sia come via per la comprensione degli altri sensi. Molto precisa, benché non nuova, è poi l'individuazione e definizione dei vari tipi possibili di allegoria, che si distinguono secondo che il figurante sia una persona, una cosa, un numero, un luogo, una certa ora o un certo tempo, un avvenimento (Patrol. Lat. CXCVIII 1053-1056). Di grande interesse e nuova infine è la difesa del ‛ letterato ' (il letterato " claustralis "), che sa andare oltre il senso superficiale ed esteriore della parola divina e sa intenderne il senso profondo e perciò può dirsi " deividus ", anche se non ogni letterato possa meritare questo appellativo e possa esercitare quella capacità (Sermones, ibid. 1749 B-C, 1755 A).
D. lo nomina una sola volta, nella Commedia, e lo pone tra i sapienti del cielo del Sole, tra Ugo di San Vittore e Pietro Ispano, che fanno parte della ghirlanda (Pd XII 20) di cui è corifeo s. Bonaventura. La menzione non va oltre il puro nome: Ugo da San Vittore è qui con elli, / e Pietro Mangiadore (v. 134). Manca uno studio sistematico sul rapporto tra il dotto di Troyes e D.; eppure è possibile scoprire qualche dipendenza di D. dalla Historia scholastica per le conoscenze bibliche e il pensiero storico, specie per quanto riguarda i ben noti paralleli del Convivio e della Monarchia tra eventi della storia sacra e di quella greco-latina. Dal Comestore ad esempio D. ha derivato la sua opinione sulla durata del soggiorno di Adamo nel Paradiso terrestre (v., tra gli altri [Andreoli, Poletto], G.A. Scartazzini, nel suo commento alla D.C., III 721; cfr. Historia scholastica I 24, in Patrol. Lat. CXCVIII 1075, e Pd XXVI 139-142). Certe rispondenze ha intravvisto - non arbitrariamente, una volta che si acceda all'insieme delle sue tesi - il Sarolli per quel che si riferisce al simbolismo assegnato nel Paradiso alla figura di Natan e alla posizione che D. assume sul problema della salvezza di Salomone. Non pare pertanto che si possa mettere in dubbio la conoscenza diretta della Historia da parte di Dante. D'altra parte, che egli avesse in grande considerazione la figura del Mangiadore è ben comprensibile, se si pensa alla diffusione della sua opera maggiore e all'importanza che molto probabilmente lui stesso attribuiva a essa. Non poco interesse si può presumere che abbia provato per le sue teorie riguardanti la natura dell'allegoria, la tecnica dell'esegesi (anche D., in accordo con le posizioni affermatesi negli ultimi secoli, afferma l'importanza dell'intendimento preliminare della lettera: Cv II I 8), e lo status del ‛ letterato ' (dalle affermazioni del Mangiadore poteva trarre conforto al suo culto delle lettere e alla sua concezione del ruolo della cultura).
Meno chiare le ragioni della collocazione tra i sapienti della ghirlanda di Bonaventura, caratterizzati, secondo l'interpretazione più comune, dal prevalere dell'aspetto ‛ mistico ' o, diremmo meglio, ‛ serafico '. Del resto il criterio generale di scelta e distribuzione dei sapienti da parte di D. non è del tutto chiarito (v. RABANO MAURO). Ha forse ragione il Tocco, che vede il colorito ‛ mistico ' del Mangiadore nel suo orientamento allegorizzante di lettura del testo sacro e nella sua finale opzione per la vita claustrale. Ma lo stesso fervente zelo di lettore della sacra pagina ha in sé l'aura della seraficità.
Bibl. - F. Tocco, Le correnti del pensiero filosofico nel sec. XIII, in Arte, Scienza e Fede ai giorni di D., II, Milano 1901, 183; M. Manitius, Geschichte der lateinische Literatur des Mittelalters, Monaco 1931, 156-159; N. Jung, P. Comestor, in Dictionnaire de Théologie catholique, XII 2, Parigi 1935, 1918-1922; C. Spicq, Esquisse d'une histoire de l'exégèse latine au moyen âge, ibid. 1944, 132-133; J. De Ghellinck, L'essor de la littérature latine au XIIe siècle, I, ibid. 1946, 73, 95, 228; A. Landgraf, Einführung in die Geschichte der theologische Literatur der Frühscholastik, Ratisbona 1948, 102-103; G.R. Sarolli, Prolegomena alla D.C., Firenze 1971,204 Ss., 211-212.