MARINI, Pietro
– Nato a Roma il 5 ott. 1793 da Saverio, architetto napoletano, e da Irene De Dominicis, fu battezzato nella basilica di S. Pietro ed ebbe come padrino il cardinale G.B. Chiaramonti, futuro papa Pio VII. A dieci anni entrò nel seminario romano dove nel 1810 terminò gli studi letterari e filosofici; l’anno dopo si iscrisse alla Sapienza e il 24 luglio 1816 vi conseguì la laurea in giurisprudenza.
Sembrava ormai avviato all’attività forense quando, su richiesta del cardinale A. Malvasia, amico di famiglia nominato nel settembre del 1816 legato apostolico di Ravenna, gli fu conferita a soli ventitré anni dal papa Pio VII la carica di assessore civile di quella Legazione e di governatore della città. Intanto, il 31 maggio 1817, moriva a Genzano il padre.
Questi – nell’incipit di un più tardo sonetto anonimo, malevolo nei confronti del M. e pervenutoci in forma manoscritta – viene ritratto come liberale: «Nacqui da un Official Repubblicano / Ebbi a Padre adottivo un Cardinale» (Roma, Museo centrale del Risorgimento, b. 77, f. 36).
In collaborazione con Malvasia, fautore di una politica di moderazione e di conciliazione tra le opposte fazioni, il giovane M. si rivelò preparato e intraprendente tanto da divenire in breve tempo il braccio destro del cardinale, cui dedicò nel marzo del 1817 la fondazione dell’Accademia Malvasiana preposta allo sviluppo delle scienze e delle lettere. Da parte sua il porporato lo sostenne sempre, fino a proporlo come vice legato della provincia e a nominarlo suo esecutore testamentario con una gratificazione di 6000 scudi.
Non mancarono però anche voci di dissenso: in quel contesto travagliato da rancori politici e gelosie professionali, la fazione più reazionaria del Municipio di Ravenna inviò a Roma nel settembre del 1818 un lungo memoriale in cui, lamentando la ridotta efficienza del cardinale, muoveva pesanti accuse di liberalismo, irreligiosità e abusi di vario genere ai suoi più stretti collaboratori, come il M. e il segretario di legazione G. Alborghetti. Malgrado tali accuse, nell’estate del 1820 il M. fu insignito dal medesimo Municipio del titolo di patrizio ravennate e ascritto, insieme con il fratello Paolo, alle famiglie nobili della città.
Nello stesso anno il M. fece ritorno a Roma, deciso a entrare in Curia: l’11 luglio 1821 ricevette la tonsura, il 6 settembre fu ammesso da Pio VII tra i referendari del tribunale della Segnatura, il 29 dicembre tra i membri della congregazione della Fabbrica di S. Pietro, il 4 marzo 1822 tra i ponenti del Buon Governo e il 10 marzo 1823 tra gli uditori del Camerlengato. Il 19 febbr. 1824 divenne membro onorario dell’Accademia romana di archeologia.
Il 28 dicembre successivo Leone XII lo inserì tra i votanti della Segnatura di giustizia e il 1° ott. 1826 lo nominò uditore del tribunale della Sacra Rota, nomina confermata nonostante i «“libelli propemodum infiniti” (inter quos unus typis excussus ab Hyeronimo Cristofori, causidico)» che la osteggiarono nel successivo processo di ammissione (Cerchiari, p. 249) senza che ne siano chiari i motivi, dato che il M. stesso nella Prolusio al suo diario di uditore della Sacra Rota del 1827 tratta l’argomento in termini generici (Arch. segr. Vaticano, Sacra Rota, Diaria, 92, f. 3). Forse riemersero le precedenti accuse di liberalismo.
I diciotto anni di giudice della Sacra Rota procurarono al M. consenso e notorietà, tanto che le sue massime furono pubblicate in tre volumi dall’avv. C. Baccelli (Decisiones Sacrae Romanae Rotae…, Romae 1853); nel frattempo, dedicatosi anche a studi di scienze politiche ed economiche, il M. prestò la sua opera come consulente e amministratore dei patrimoni di alcune famiglie nobili e nel 1836 fu tra i promotori e i primi consiglieri della Cassa di risparmio di Roma. Intanto la sua carriera proseguiva speditamente: il 3 genn. 1835 entrò a far parte dei consultori della congregazione dei Vescovi e regolari; il 28 settembre, dei membri della commissione straordinaria di salute pubblica; nel 1841, dei consultori della congregazione dei Riti. Il 27 maggio 1844 fu ordinato sacerdote.
Il suo prestigio si accrebbe decisamente quando il 21 apr. 1845 Gregorio XVI lo nominò governatore di Roma, vice camerlengo di Sacra Romana Chiesa e direttore generale di polizia. Tale carica, che lo condusse a reprimere con severità il moto di Rimini, e nell’esercizio della quale si servì abitualmente anche di confidenti invisi ai liberali (come i colonnelli F. Nardoni e S. Freddi), gli procurò, però, la fama di reazionario e di transfuga dalle antiche idee.
In realtà anche queste accuse risentivano delle passioni del momento. Infatti, pur ammettendo che in età napoleonica il M. fosse stato in qualche misura influenzato dalle nuove idee e ne fosse stato condizionato mentre collaborava con Malvasia – considerato tra i «giacobini» del Collegio cardinalizio –, è anche vero che, pur se sensibile al sentimento nazionale e a un riformismo moderato e graduale, il M. era decisamente avverso all’illegalità e al sovvertimento dell’ordine pubblico. Dall’inventario dei libri della sua biblioteca, comprendente anche opere messe all’Indice e alcuni scritti aggiornati sui due poteri del papa e sul governo dello Stato, si potrebbe dedurre che la sua concezione generale tendesse alla conciliazione fra tradizione e pensiero moderno, non senza interesse per quello di P. Galluppi e di A. Rosmini.
Dopo l’elezione di Pio IX la sua posizione politica di cauto riformismo emerge chiaramente dalla lunga e interessante relazione da lui inviata al pontefice nel novembre del 1846, in qualità di governatore di Roma, nella quale postulava la pubblicazione di un giornale (il futuro Contemporaneo) che, facendo da intermediario tra governo e popolazione, sostenesse e diffondesse nell’opinione pubblica il pensiero moderato, prendendo le distanze dagli esaltati, che, «con o senza buona fede», avrebbero voluto trascinare il governo «al di fuori della sua strada, ed impegnarlo in misure ruinose, e pazze»; dai «disperanti», i quali credevano «che la forma attuale Governativa, e l’attual direzione Politica dell’Italia esclud[esse] ogni bene, e ogni progresso»; e dai «retrogradi», che sognavano un ordine di cose che non era «più possibile, o compatibile coll’attual civiltà» (Arch. di Stato di Roma, Dir. generale di polizia, Arch. segreto, b. 115).
Nel concistoro del 21 dic. 1846 Pio IX, non senza destare malumori, lo creò cardinale diacono con il titolo di S. Nicola in Carcere e l’anno dopo lo inserì nelle congregazioni dei Vescovi e regolari, del Concilio, delle Indulgenze, della Visita apostolica (12 aprile) e dell’Indice (14 giugno). Il 29 ott. 1847 lo nominò legato apostolico di Forlì: il M. vi si recò senza entusiasmo, trattandosi di provincia dai forti contrasti politici. Nella nuova sede accolse con apprensione la rivoluzione del febbraio 1848 in Francia e nella lettera del 4 marzo al segretario di Stato G. Bofondi fece proprio il parere di quanti suggerivano «di affrettare la pubblicazione delle ulteriori riforme» che il pontefice intendeva concedere, «di inviare truppe ai confini» e di stipulare con urgenza, nell’eventualità di un’aggressione, una lega difensiva tra i principi riformatori italiani (Arch. segr. Vaticano, Segreteria di Stato, 1848, rubr. 165, f. 19, c. 27). Il 10 marzo, ritenendo che con l’annunciata costituzione la posizione dei cardinali legati avrebbe subito «una sostanziale variazione», si dichiarò disponibile a rimettere il mandato e a tornare a Roma. Intanto, pur lasciando spazio alle varie iniziative patriottiche, si adoperava per quanto era possibile a salvaguardare legalità e ordine pubblico e, dopo l’allocuzione del 29 aprile, a sedare gli animi delusi.
L’8 ag. 1848 gli fu affidata la missione di recarsi, insieme con il principe T. Corsini e il conte P. Guarini, dal generale austriaco L. von Welden per protestare contro l’invasione delle province settentrionali dello Stato pontificio e intimargli il ritiro. Dopo l’uccisione di P. Rossi e gli avvenimenti del 16 novembre, ritenne ormai inutile e pericolosa la sua permanenza a Forlì. Partito nella notte tra il 20 e il 21 novembre, si ritirò ad Assisi, dapprima nel convento di S. Maria degli Angeli, poi in una casa sui monti circostanti e infine, nel giugno del 1849, nel convento di S. Francesco.
Caduta la Repubblica, ritornò a Roma il 10 apr. 1850 e fece parte della commissione speciale incaricata dal papa della riorganizzazione amministrativa dello Stato. Il 31 ag. 1851 fu nominato membro della congregazione degli Studi; il 18 marzo 1852 prefetto dell’economia di Propaganda Fide e presidente della Camera degli spogli; il 3 febbr. 1858, prefetto del tribunale della Segnatura di giustizia. Comunque, pur aperto ad ampie riforme, rispetto alla questione romana si dichiarò contrario alla rinuncia al potere temporale e alla politica conciliatrice del padre C. Passaglia, convinto, come attestava il 2 giugno 1861 D. Pantaleoni, che agli ultimi avvenimenti sarebbe seguita «une restauration inévitable» (Weber, p. 542). Tuttavia, nel famoso processo Fausti del 1863 contro i liberali, insieme con G. Brunelli, C. Di Pietro e T. Mertel, fu dall’«impunitaria» Costanza Diotallevi indicato tra i quattro cardinali «addetti al partito piemontese».
Il M. morì a Roma il 19 ag. 1863.
I funerali furono celebrati alla presenza del papa nella chiesa di S. Carlo ai Catinari e le spoglie furono tumulate nella diaconia di S. Nicola in Carcere.
Fonti e Bibl.: Necr., in Giorn. di Roma, 26 ag. 1863 (firmato Z[anelli]); L’Osservatore romano, 31 ag. 1863; Arch. di Stato di Roma, Tribunale della Segnatura, vol. 726, f. 9, c. 5 (vi si trova anche il certificato di battesimo con data di nascita 1793, e non il 1794 che compare in quasi tutte le biografie, fatta eccezione per quelle di D. Zanelli, segretario del M. per oltre diciassette anni, e di E. Cerchiari); Misc. delle famiglie, bb. 106, f. 14; 104, f. 3; 193, f. 9 (14 lettere); Dir. generale di polizia, Protocollo segreto, b. 115; Trenta notai capitolini, Ufficio 22, 23 ag. 1863 (inventario dell’eredità del M.); Arch. segr. Vaticano, Segreteria di Stato, a. 1817, rubr. 224, f. 2, c. 56; a. 1819, rubr. 26, f. 3, cc. 21-30; a. 1848, rubr. 155, f. 5; a. 1848, rubr. 165, f. 19; Spogli di Cardinali e Officiali di Curia, P. card. Marini, bb. 1-6; Sacra Romana Rota, Processus in Admissione Auditorum, b. 7, f. 188; Diaria, 92, 99, 104, 110; Roma, Arch. stor. del Vicariato, Liber ordinationum, anni 1843-50, c. 107; Ibid., Biblioteca nazionale, Autografi, A.42.27. Tra i riferimenti bibliografici: G. Gabussi, Memorie per servire alla storia della rivoluzione degli Stati romani, Genova 1851-52, I, pp. 36, 186; II, passim; P. Uccellini, Diz. stor. di Ravenna e di altri luoghi di Romagna, Ravenna 1855, pp. 7, 274; Id., Memorie di un vecchio carbonaro ravegnano, a cura di T. Casini, Roma 1898, ad ind.; F. Liverani, Lettera al card. M., Terni 1861; Id., Seconda lettera al card. M., s.l. 1861 (la risposta risentita del M. in La Civiltà cattolica, s. 4, XII [1861], pp. 364 s.); D. Zanelli, Elogio del cardinale P. M. recitato alla Pontificia Acc. di archeologia, Roma 1863; G. Spada, Storia della rivoluzione di Roma e della restaurazione del governo pontificio dal 1° giugno 1846 al 15 luglio 1849, Firenze 1868, I, pp. 145 s.; II, pp. 447, 455; D.A. Farini, La Romagna dal 1796 al 1828, a cura di L. Rava, Roma 1899, ad ind.; N. Marini, P. card. M. 1794-1863, Roma 1902; E. Cerchiari, Capellani papae et Apostolicae Sedis auditores causarum Sacri Palatii apostolici, II, Romae 1920, pp. 294 s.; G. Natali, La missione del cardinale M. al tenente maresciallo Welden, dopo l’8 agosto, in Il Comune di Bologna, 1934, n. 7, pp. 52-59; R. Lefevre, Le riforme di Pio IX e la libertà di stampa, in Studi romani, III (1955), 6, pp. 673-676; M.L. Trebiliani, Indicazioni su alcuni gruppi del clero nazionale italiano del decennio 1860-1870, in Rass. stor. del Risorgimento, XLIII (1956), p. 569; O. Majolo Molinari, La stampa periodica romana dell’Ottocento, I, Roma 1963, p. 240; F. Bartoccini, La «Roma dei Romani», Roma 1971, ad ind.; N. Del Re, Monsignor governatore di Roma, Roma 1972, p. 127; N. Roncalli, Cronaca di Roma, I (1844-1848), Roma 1972; II (1848-1851), a cura di A.F. Tempestoso - M.L. Trebiliani, ibid. 1997; III (1852-1858), a cura di D.M. Bruni, ibid. 2006, ad indices; G. Martina, Pio IX, I-II, Roma 1974-90, ad indices; R. De Cesare, Roma e lo Stato del papa. Dal ritorno di Pio IX al 20 settembre, Roma 1975, passim; F. Bartoccini, Roma nell’Ottocento. Il tramonto della «città santa». Nascita di una capitale, Bologna 1985, pp. 181, 252; L.C. Farini, Lo Stato romano dall’anno 1815 al 1850, a cura di A. Patuelli, Roma 1992, pp. 69, 89 s., 100 s., 162, 379, 386, 503; Storia di Ravenna, a cura di L. Lotti, V, Venezia 1996, p. 231; N. La Marca, La nobiltà romana e i suoi strumenti di perpetuazione del potere, Roma 2000, III, p. 894; Ph. Boutry, Souverain et pontife: recherches prosopographiques sur la Curie romaine à l’âge de la Restauration (1814-1846), Roma 2002, pp. 586 s.; Ch. Weber, Kardinäle und Prälaten in den letzen Jahrzehnten des Kirchenstaates… (1846-1878), I-II, Stuttgart 1978, ad indices; H. Wolf, Prosopographie von römischer Inquisition und Indexkongregation 1814-1917, II, München-Wien-Zürich 2005, pp. 947 s.; G. Moroni, Diz. di erudizione stor.-ecclesiastica, Indice, IV, p. 285; Hierarchia catholica…, VIII, pp. 9, 55, 62.