MARRELLI, Pietro.
– Nacque a Lucoli, presso L’Aquila, il 24 giugno 1799, da Pasquale, agiato proprietario terriero, e da Cristina Sponda. Compiuti all’Aquila gli studi inferiori, nel luglio 1820, dopo la concessione della costituzione napoletana, entrò con il grado di furiere nel corpo civile dei militi, destinato alla difesa delle province. Esauritasi la breve esperienza costituzionale, il M. ritornò agli studi, conseguendo a Napoli nel 1823 la laurea in giurisprudenza. L’anno precedente aveva sposato Geltrude Luzi, da cui ebbe due figlie: Adelaide ed Emilia.
Parallelamente alla professione forense, che esercitò con successo per tutta la vita, il M. si diede all’attività politica clandestina. Già nel 1830 fu ispiratore di un comitato segreto aquilano che, d’accordo con i rivoluzionari romagnoli, intendeva promuovere una vasta insurrezione nell’Italia centrale: l’intervento della polizia borbonica sventò il progetto. Il M. ebbe comunque la casa perquisita e subì un lungo interrogatorio, al termine del quale fu inviato a Lucoli in regime di domicilio coatto (gennaio 1831). Rientrato poco dopo all’Aquila, riprese l’attività cospirativa.
All’inizio del 1833 il M. contribuì alla preparazione di una rivolta che sarebbe dovuta scoppiare l’estate successiva in vari punti del Mezzogiorno. Colpito da ordine di arresto il 17 maggio 1833, riuscì dalla latitanza a mantenere i contatti con i liberali aquilani e a coordinarsi con P.S. Leopardi, membro della congrega centrale rivoluzionaria; ma intanto l’intervento poliziesco faceva fallire la cospirazione. Ritirato il mandato di arresto, nel marzo del 1834 il M. fece ritorno all’Aquila.
Dopo alcuni anni di stasi il M., «figura tanto minoritaria quanto carismatica» (Colapietra, 2000), promosse, in collaborazione con A. Pellegrini, G. Cappa, L. Dragonetti e L. Falconi (fondatore della Giovine Italia all’Aquila), un nuovo moto, acquistando a proprie spese le armi necessarie e tenendo personalmente i contatti con i democratici napoletani. Fu un altro completo fallimento: la sera dell’8 sett. 1841 gli insorti (che non ebbero l’aiuto sperato dai paesi vicini) furono infatti dispersi dalla polizia dopo una breve zuffa nelle strade dell’Aquila. Le autorità borboniche risposero al tentativo rivoluzionario con una violenta azione repressiva, che condusse anche ad alcune condanne a morte.
Il M., che non aveva partecipato in prima persona agli scontri, fu detenuto per un breve periodo nelle carceri aquilane del Castello e successivamente rimesso in libertà dalla commissione militare per insufficienza di prove. Si ritenne comunque opportuno mandarlo in domicilio coatto a Teramo, ove rimase fino al 1847, quando il locale intendente, onde prevenire disordini nella propria provincia, ne dispose il ritorno a L’Aquila.
Nel marzo 1848 il M. entrò a far parte di un comitato aquilano (composto da sette membri e presieduto dal barone G. Cappa) nato con l’obiettivo di assicurare, attraverso un’attiva propaganda, il sostegno dell’opinione pubblica all’ordinamento costituzionale da poco entrato in vigore e di condurre una serrata lotta agli uomini del vecchio sistema ancora operanti nella politica e nella magistratura. Lavorando di concerto con l’intendente M. d’Ayala, il comitato (sebbene non avesse un riconoscimento legale) ebbe in quel frangente un ruolo parimenti significativo nel mantenimento dell’ordine pubblico. Dopo i tragici fatti napoletani del 15 maggio 1848, il M. e Cappa diedero alle stampe a L’Aquila gli opuscoli Appello ai novelli collegi elettorali e Protesta della Provincia dell’Aquila per i fatti del 15 maggio, nei quali invitavano i cittadini a rieleggere i deputati appena esautorati e chiedevano con forza al governo l’annullamento degli atti incostituzionali compiuti dopo il 15 maggio e l’immediata riapertura della Camera, minacciando in caso contrario di appellarsi all’opinione pubblica europea. Il consolidamento della reazione borbonica costrinse però al silenzio i democratici abruzzesi.
Le indagini sull’attività del comitato aquilano, cominciate nel dicembre 1849, portarono immediatamente all’arresto del M.: processato dalla Gran Corte criminale dell’Aquila, il 12 luglio 1851 fu condannato insieme con Cappa a 24 anni di reclusione «per avere provocato col mezzo di scritto stampato gli abitanti del Regno a cambiare il governo e perché colpevole di mandato nel costringere con violenza e minacce un magistrato dell’ordine amministrativo […] a non fare atti dipendenti dal suo ufficio» (Bruno, p. 27). Incarcerato a Napoli, il M. fu trasferito a Procida nel febbraio 1852. Nell’ottobre successivo, accusato di proseguire l’attività cospirativa, venne rinchiuso nelle segrete del carcere duro di Castel Capuano. Tornato a Procida nel febbraio 1853, vi rimase fino all’agosto 1858, quando fu inviato a Nisida.
Il 27 dic. 1858 un decreto reale commutò la pena residua con l’esilio perpetuo e la deportazione in America: il 16 genn. 1859 il M. e altri 66 detenuti politici salparono da Nisida a bordo dei piroscafi «Fieramosca» e «Stromboli». Il 26 gennaio approdarono a Cadice, ove furono trasferiti su un bastimento statunitense. Il 6 marzo 1859 giunsero infine nella baia irlandese di Cork, grazie al lavorio diplomatico intessuto principalmente da Raffaele Settembrini, figlio di Luigi, compagno di viaggio del Marrelli.
In alcune pagine di un diario rimasto inedito – redatto con uno stile essenziale e asciutto, raramente riscontrabile nella memorialistica risorgimentale – il M. lasciò una preziosa descrizione dell’avventuroso viaggio.
Nei mesi successivi il M. soggiornò a Queenstown, Londra e Bristol. Durante il soggiorno londinese conobbe finalmente Mazzini e pubblicò in alcuni quotidiani locali vibranti articoli contro il governo borbonico. Tornò in Italia dopo l’armistizio di Villafranca, ma, giunto a Livorno, fu arrestato il 27 ag. 1859 su ordine di B. Ricasoli e condotto alle Murate di Firenze. Liberato due giorni dopo, dovette abbandonare la Toscana e si diresse a Genova.
Nel novembre 1859, in una lettera indirizzata all’amico A. Pellegrini, fissò con chiarezza i capisaldi della propria azione politica: nessuna collaborazione con il Piemonte sabaudo e neppure con il movimento garibaldino (se si fosse mostrato strumento di Vittorio Emanuele II), nessun arretramento fino all’instaurazione sull’intero territorio italiano della Repubblica democratica, alla fine del potere temporale dei papi e della stessa presenza del pontefice a Roma.
Dal luglio al novembre 1860 il M. visse a Napoli, ove fu tra coloro che tentarono vanamente di impedire l’annessione del Regno meridionale al Piemonte. Rientrato all’Aquila (ove ospitò per alcuni giorni Mazzini e A. Mosto), non ebbe miglior fortuna, nonostante i caldi incoraggiamenti di G. Nicotera, nell’opera in favore dei candidati democratici alle elezioni politiche del 27 genn. 1861.
Nell’estate 1861, aderendo all’iniziativa promossa da G. Garibaldi nel gennaio precedente, il M. diede vita all’Aquila a un comitato di provvedimento per Roma e Venezia; nei mesi seguenti più volte lamentò, nei contatti epistolari con F. Bellazzi e A. Saffi (rappresentanti rispettivamente dei comitati di Genova e Napoli), l’estrema difficoltà nel reperire fondi nella provincia aquilana, stretta nella morsa dei moderati e dei reazionari borbonici e papalini. I disastri di Sarnico e Aspromonte non piegarono comunque la determinazione del M., il quale ricevette nel gennaio 1864 da B. Cairoli, presidente del Comitato centrale unitario, la delega per gli Abruzzi al reperimento dei mezzi necessari alla sollevazione che dal Trentino si sarebbe dovuta estendere a vaste zone dell’Europa orientale. Quindi, nel maggio 1866, fu tra i principali artefici dell’arruolamento di un centinaio di volontari abruzzesi, che presero parte alla campagna garibaldina nelle montagne del Trentino. Nella primavera dell’anno successivo ebbe da F. Costa, esponente del fiorentino centro dell’emigrazione, l’incarico di raccogliere fondi in vista di una possibile azione garibaldina nello Stato pontificio: il M. diede così un contributo decisivo all’allestimento di gruppi di volontari abruzzesi ma, in piena sintonia con Mazzini, si preoccupò soprattutto che l’impresa avvenisse in una prospettiva, ideologica e strategica, autenticamente repubblicana. Dopo il disastro di Mentana, sebbene gravemente malato, trascorse alcuni giorni nel carcere dell’Aquila. Il 17 dic. 1867 l’autorità giudiziaria lo prosciolse per inesistenza di reato.
Da allora, stanco e deluso, si estraniò completamente dall’attività politica fino alla morte, avvenuta all’Aquila il 7 giugno 1871.
Fonti e Bibl.: E. Bruno, P. M. e la partecipazione della Provincia aquilana al tentativo garibaldino del 1867, L’Aquila 1914 (in partic. alle pp. 105-207 numerosi estratti dalle Carte Marrelli, fra cui il Diario [gennaio-luglio 1859], lettere alla famiglia, corrispondenza da e con G. Garibaldi [1859-65], lettere di A. Mosto, A. Pellegrini, A. Mario, C. Corte, B. Cairoli, A. Lemmi e G. Mazzini); W. Capezzali, Le Carte Marrelli nella Biblioteca provinciale dell’Aquila, in P. M. e il Risorgimento. Nel bicentenario della nascita del patriota aquilano, L’Aquila 2002, pp. 41-44; L. Biondi, Il diario di P. M. tra letteratura e testimonianza, ibid., pp. 9-17; R. Colapietra, Il carteggio di A. Pellegrini…, ibid., pp. 45-70; P. M. Lettere politiche: 24 luglio 1861 - 13 maggio 1863, a cura di S. Liberatore, ibid., pp. 71-101; Ed. nazionale degli scritti editi ed inediti di G. Mazzini, Indici, II, a cura di G. Macchia, Imola 1973, ad nomen; Diario e lettere alla famiglia di P. M., a cura di F. Di Gregorio, L’Aquila 1988; Ed. nazionale degli scritti di G. Garibaldi, XIV, Epistolario, 8, a cura di S. La Salvia, Roma 1991, pp. 133, 232; S.A. Falasca, Il mazziniano P. M. e la spedizione garibaldina nell’Agro Romano, in Rass. stor. del Risorgimento, LIX (1972), pp. 44-84. Riferimenti al M. in: A. De Nino, Briciole letterarie, II, Lanciano 1885, p. 75; M. Oddo Bonafede, Storia popolare della città dell’Aquila degli Abruzzi dalla sua fondazione al 1888, Lanciano 1889, p. 274; N. Nisco, Storia del Reame di Napoli dal 1824 al 1860, II, Napoli 1891, p. 161; L. Favaro, L’insurrezione aquilana del 1841, Roma 1907, passim; B. Costantini, I moti d’Abruzzo dal 1798 al 1860 e il clero, Pescara 1960, p. 53; R. Colapietra, Spiritualità, coscienza civile e mentalità collettiva nella storia dell’Aquila, L’Aquila 1984, ad ind.; A. Ventura, Città e paesi: L’Aquila, in L’Abruzzo nell’Ottocento, Pescara 1996, pp. 220-222; R. Colapietra, I ceti politici: un profilo, in Storia d’Italia (Einaudi), Le Regioni dall’Unità a oggi, L’Abruzzo, a cura di M. Costantini - C. Felice, Torino 2000, p. 709.