CANEPARI (Caneparius), Pietro Martire (Pietro Antonio, Pietro Maria)
Nacque a Crema (secondo altri a Cremona) nella seconda metà del sec. XVI da Domenico e da Faustina Filaga.
La famiglia Canepari (detta anticamente Canepardi) era di origine piacentina, e si era trasferita prima a Brescia e poi a Crema alla fine del sec. XIII. Tra i più noti appartenenti a questa famiglia (che si estinse solo alla fine del sec. XVII) si ricorda Bartolomeo, giureconsulto vissuto nella seconda metà del sec. XV, provveditore e ambasciatore della sua città, giudice delle Appellagioni al servizio del marchese di Mantova ed infine podestà di Cagli e di Fermo.
Scarsissime sono le notizie sulla vita del Canepari. Poco attendibile pare la testimonianza di F. Arisi (p. 292), che lo fa fiorire nell'anno 1563. Si sa solo che andò a esercitare medicina a Venezia, dove ottenne una discreta fama per la sua vasta erudizione, soprattutto nel campo della chimica e delle scienze naturali. A Venezia trascorse gran parte della sua vita, e qui si sposò con una certa Osanna, dalla quale ebbe tre figli che abitarono a lungo anche essi nella città lagunare. La prima edizione dell'unica opera sicuramente sua, De Atramentis cuiuscunque generis, che si ebbe a Venezia nel 1619, ha fatto pensare che a questa data egli fosse ancora vivo; ciò è provato anche dalla dedica del volume ad Antonio Priuli, che fu doge dal 1618 al 1623, e per far cosa grata al quale il C. afferma di aver pubblicato il suo scritto, quasi un riconoscente omaggio alla benevolenza che quello gli aveva dimostrato; non risultano comunque né la località né l'anno della morte.
Del De Atramentis cuiuscunque generis. Opus sane novum hactenus a nemine promulgatum in sex descriptiones digestum sono reperibili tre edizioni sostanzialmente identiche:Venetiis, apud Evangelistam Deuchinum, 1619;Londini, impensis F. Martin, 1660;Roterdami, sumptibus C. Fritsch, 1718. Una seconda edizione veneziana del 1629 è fortemente dubbia (Clément, p. 195), così come un'altra edizione veneziana del 1598 e una londinese del 1642.Recensioni ed estratti apparvero sui periodici solo dal 1718(cfr. Journal des Sçavans, settembre 1718, p. 320).
Si tratta di un grosso prontuario di farmacologia e di alchimia, che ebbe vasta risonanza per lungo tempo, anche per la notevole cultura ed erudizione di cui dà prova il Canepari. Ma proprio questa vastità e ricchezza di dottrina, appesantita da innumerevoli citazioni da Aristotele, da Galeno e dai loro glossatori, dai più vari medici e naturalisti e perfino da filosofi e poeti, rendono l'opera poco organica e di difficile lettura. L'intento dichiarato di essa è quello di denunciare le falsificazioni, operate da speculatori e da alchimisti poco scrupolosi, nella composizione della triaca o teriaca; ma gli argomenti trattati nelle sei parti (dette "descriptiones"), in cui si suddivide il libro, sono per lo più relativi alla preparazione degli inchiostri ("atramenta") e ai loro molteplici usi.
La prima parte (pp. 1-78dell'edizione veneziana del 1619), suddivisa in 20capitoli, tratta delle piriti, ritenute un composto di metalli e inchiostri, e di altri minerali usati per la fabbricazione dell'inchiostro. Il C. si diffonde poi sull'uso della pirite come medicamento, secondo i precetti di Avicenna, e come pietra focaia. La seconda "descriptio" (pp. 79-104), suddivisa in 7 capitoli, si occupa delle contraffazioni dellatriaca, elettuario a quel tempo molto usato come antidoto, composto di numerosi ingredienti minerali e vegetali. A proposito delle composizione della triaca, il C. polemizza con i suoi contemporanei, e in particolare con Agricola e la sua scuola, circa l'effettiva composizione della calcite. Nella terza parte (pp.105-162, in 22capitoli) è trattato in particolare il vetriolo usato dai calzolai, di cui è ricordato anche l'uso medico, in particolare contro la peste. La quarta "descriptio" (in 30capitoli, pp. 163-189) è dedicata agli inchiostri per stampa e per scrittura, usati in tipografia e in calcografia. La trattazione è arricchita da curiosi insegnamenti circa l'uso magico dei segni e l'esecuzione di scritture invisibili su gusci di uova e su noccioli di frutta, nonché dei tatuaggi. La quinta "descriptio" (pp. 190-246, in 26 capitoli) è dedicata agli inchiostri colorati, mentre la sesta (pp. 247-368, in 50capitoli) ritorna sul tema dell'acido solforico ("oleum vitrioli"), da comporsi secondo le diverse ricette suggerite da Paracelso e da altri famosi alchimisti, e dei suoi derivati nei loro usi alchimistici e medici. L'opera si conclude con la descrizione di altri esperimenti e con una rappresentazione dell'Arcano, in cui il linguaggio si fa oscuro e simbolico: un composto di acqua, aria e fuoco sarebbe alla base della continua rigenerazione della natura. Quanto si riferisce al soprannaturale e al divino esula dall'intento del C.: "Verum naturalia tantum tractare onus suscepi" (p. 498); il suo scopo, puramente didattico, lo lega ad una precettistica minuta che possa essere utile anche agli inesperti. Criticato aspramente nei secoli successivi per l'assenza di una metodologia scientifica e per l'oscurità dell'esposizione, il trattato oggi è considerato per lo più una curiosità bibliografica.
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