MEZZABARBA, Pietro. –
Nacque nel 1030 circa da Teuzone, esponente di un’importante famiglia di Pavia. Non si hanno notizie sugli anni della sua giovinezza. Fu eletto vescovo di Firenze succedendo a Gerardo di Borgogna (morto il 27 luglio 1061), il quale, anche dopo l’elezione al soglio pontificio col nome di Niccolò II (1058), aveva tenuto per sé la sede episcopale fiorentina.
Secondo Davidsohn l’elezione del M. avvenne nel sinodo di Basilea (28 ott. 1061), che scelse Cadalo di Parma come papa della parte imperiale col nome di Onorio II. Contro tale ipotesi si ribatte che né Alessandro II, il papa espresso dal fronte riformatore romano, né Pier Damiani – entrambi acerrimi nemici di Onorio II – ritennero priva di validità l’elezione del M., che andrebbe dunque collocata in un periodo successivo, anche perché la sede fiorentina era ancora vacante il 24 nov. 1062, quando Alessandro II emanò un privilegio per il preposito e i canonici di Firenze senza fare alcun riferimento al vescovo in carica. Il M. ricevette il gradimento della corte imperiale tra il dicembre di quell’anno e il gennaio 1063, in coincidenza con l’arrivo in Italia di Burcardo di Halberstadt, incaricato dal sinodo di Augusta (27 ott. 1062) di verificare la regolarità dell’elezione di Alessandro II. In quell’occasione furono infatti nominati Costantino vescovo di Arezzo ed Ermanno vescovo di Volterra. Anche questa ipotesi rende tuttavia difficile spiegare perché negli ambienti riformatori la scelta unilaterale del M. da parte della corte imperiale fosse guardata con favore. Inoltre l’assenza di attestazioni documentarie dell’episcopato del M. antecedenti a una carta del gennaio 1065 rende più probabile una postdatazione della sua nomina, che dovette avvenire nel corso del concilio di Mantova della primavera 1064 (Ronzani, 2007). Il riconoscimento da parte di Annone di Colonia, tutore dell’imperatore Enrico IV, della legittimità dell’elezione di Alessandro II costituì la cornice ideale per una scelta all’unanimità del presule da insediare in una diocesi sempre più importante all’interno della Marca di Tuscia, la cui titolare, Beatrice di Lorena, ospitava a Mantova l’incontro della momentanea riconciliazione tra i rappresentanti dell’Impero e il gruppo riformatore romano.
Il mutato clima politico conseguente al raggiungimento della maggiore età da parte di Enrico IV (marzo 1065) – che non riconobbe le decisioni dell’assemblea di Mantova e ribadì il suo appoggio a OnorioII – rese necessario un viaggio in Germania del M., il quale, con un gruppetto di canonici della Chiesa fiorentina, ottenne dal sovrano il pieno riconoscimento sia della sua idoneità a ricoprire l’ufficio episcopale, sia delle modalità della sua elezione. Tale iniziativa, affatto normale per i vescovi della Marca di Tuscia, attirò sul M. le dure critiche di Alessandro II, il quale, però, pur rimproverandogli di aver favorito l’intromissione del re in una questione di esclusiva pertinenza ecclesiastica, non sollevava alcuna obiezione circa la validità della sua ordinazione. Definitivamente insediato, il vescovo ricevette il giuramento di molti fiorentini a lui legati da rapporti vassallatici e raccolse attorno a sé il consenso delle più rappresentative istituzioni religiose della città.
Di concerto con alcuni laici, che fecero allo stesso cenobio donazioni analoghe, concedette a titolo livellario la chiesa di S. Procolo e i suoi possessi all’abate del monastero fiorentino di S. Maria detto la Badia (15 genn. 1065). Nello stesso anno, con la collaborazione del marchese Goffredo il Barbuto di Lotaringia, della moglie di lui Beatrice, della contessa Gualdrada, del conte Lotario dei conti Cadolingi e di Guglielmo Bulgaro dei conti Guidi, il M. promosse la riedificazione dell’ospedale della stessa Badia.
Ampia e qualificata fu anche la presenza del clero e del popolo fiorentini quando, nei primi mesi del 1067, il M., con un pressante invito all’unità dei fedeli della diocesi e grazie alla generosità della nobile Gisla, istituì e dotò il monastero femminile di S. Pietro Maggiore, sorto accanto a una chiesa preesistente restaurata a spese dei cives. Alessandro II, dietro sollecitazione del M., accordò al neonato cenobio la protezione apostolica.
A dispetto di questo ampio consenso, i monaci vallombrosani, forse approfittando delle difficoltà procedurali dell’elezione del M., scatenarono una violenta protesta contro di lui, accusandolo di simonia per avere ottenuto la cattedra episcopale dietro il versamento di un’ingente somma di denaro alla Camera regia di Pavia da parte di suo padre, Teuzone. Fu quindi parzialmente screditato dalla propaganda vallombrosana, cosa che da parte di molti fedeli si tradusse nel rifiuto dei sacramenti amministrati da chierici da lui ordinati e del crisma da lui benedetto. Nel tentativo di porre fine alla protesta il M. reagì dapprima inviando i suoi armati contro il monastero vallombrosano di S. Salvi (inizio 1067), quindi sollecitando l’intervento di Alessandro II che all’inizio o, al massimo, nella primavera del 1067 inviò a Firenze Pier Damiani. Questi cercò di isolare i vallombrosani e invitò i Fiorentini a rimettersi al giudizio della Sede apostolica per dirimere la vertenza. Nel sinodo quaresimale del 1067 lo stesso Pier Damiani e il vescovo Rainaldo di Como accusarono gli «estremisti» vallombrosani, mentre solo l’arcidiacono Ildebrando (il futuro Gre;go;rio VII) li difese. Uscito rafforzato dal sinodo, il M. ricevette a Firenze la visita di Alessandro II, che rifiutò di assistere a una prova del fuoco organizzata dai vallombrosani contro il Mezzabarba.
Il M. si appellò anche a Goffredo il Barbuto, il cui gastaldo marchionale dapprima emanò un editto in cui minacciava sanzioni contro i rivoltosi, quindi nel febbraio 1068 cacciò dall’oratorio di S. Pietro in Ciel d’Oro i canonici della cattedrale fiorentina passati dalla parte dei vallombrosani, dopo essersi offerti invano di affrontare un’ordalia qualora il M. si sentisse assolutamente innocente. Il 13 febbr. 1068 il vallombrosano Pietro (da allora detto «Igneo») superò la prova del fuoco per dimostrare che il M. era simoniaco. Non trova alcun riscontro certo la notizia dell’immediata e conseguente deposizione del M. da parte del sinodo romano celebrato dopo il 13 marzo dello stesso anno. Al contrario il M., insieme con i titolari di altre diocesi della Marca di Tuscia, partecipò al placito presieduto dalla marchesa Beatrice a Lucca l’8 luglio 1068 alla presenza dei cardinali di S. Sabina e di Tuscolo. L’assenza del M. dal placito dell’11 luglio 1068 autorizza l’ipotesi che in quei tre giorni fosse definitivamente tramontato il progetto dei marchesi di Tuscia di conservare il M. sulla cattedra fiorentina a dispetto del successo della protesta organizzata dai vallombrosani.
Al M. non restò che ritirarsi nel monastero di Pomposa, dove verosimilmente morì in data non precisabile.
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N. D’Acunto