MICCA, Pietro. –
Nacque a Sagliano d’Andorno (oggi Sagliano Micca), piccolo centro del Biellese, il 5 marzo 1677, da Giacomo, «mastro da muro», e della sua seconda moglie, Anna Martinazzo.
Il 29 ott. 1704 sposò Maria Caterina Bonino, dalla quale ebbe un figlio, Giacomo Antonio, la cui discendenza diretta si estinse all’inizio dell’Ottocento con Pietro Antonio, morto il 7 marzo 1803 all’età di 72 anni. Seguendo l’esempio paterno, in giovane età il M. aveva intrapreso il mestiere di muratore. Rimasto tuttavia senza lavoro, decise di arruolarsi nelle fila dell’esercito sabaudo, che era entrato da pochi anni nella guerra di successione spagnola (1702-14), passando dal fronte filofrancese (1702) a quello filoimperiale (1703). Nel luglio 1705 il M. risultava nel ruolino della compagnia minatori di Sua Altezza Reale, in qualità di soldato semplice, indicato, come in genere accadeva, con un soprannome, «Passapertut», probabilmente per la sua abilità nell’infilarsi nei cunicoli più angusti.
Tale elemento induce a ritenere che il M. fosse di fisico minuto, piuttosto che di corporatura muscolosa e alta come invece sarebbe stato raffigurato nell’iconografia ottocentesca.
La compagnia minatori ebbe un ruolo centrale durante l’assedio posto a Torino dalle truppe francesi nel 1706. Si trattava di un’unità creata per il servizio nelle miniere sotto il duca Carlo Emanuele II (1657), compresa fra i reparti delle maestranze d’artiglieria.
Nel 1692 il riordinamento del corpo d’artiglieria aveva previsto l’introduzione di uno stato maggiore e la distinzione fra alcune compagnie che operavano a suo supporto: due di bombardieri, una di maestranza e una di minatori.
Il M. morì a Torino, nelle operazioni di difesa della città nel 1706.
In una supplica inviata al duca Vittorio Amedeo II il 26 febbr. 1707, la vedova chiedeva una pensione a seguito della morte del M., raccontando che il M. era stato in quei frangenti «comandato dal cav[alier] Castel Alfieri, colonnello del battaglione d’artiglieria, oppure invitato dalla generosità del suo animo a portarsi a dare il fuoco a detta mina, non ostante l’evidente pericolo di sua vita» (Cibrario). La donna adombrava, cioè, che l’azione del M. fosse stata conseguenza di un ordine ricevuto da Giuseppe Amico di Castellalfero, l’ufficiale dell’artiglieria sabauda che aveva avuto il compito di coordinare, durante l’assedio di Torino, l’attività degli artiglieri con quella della compagnia dei minatori e degli ingegneri. Il cavalier Amico era considerato un esperto della guerra di mina ed è probabile che avesse già avuto modo di conoscere le qualità del M. durante l’assedio della fortezza di Verrua del 1704-05. La supplica rivolta al sovrano fruttò alla vedova solo un vitalizio di «due rationi di pane», versato da quello stesso 26 febbr. 1707. Alla donna non restava che risposarsi. Nel luglio 1709 si unì in matrimonio con Lorenzo Pavanello, da cui ebbe un secondo figlio, Francesco.
Fin qui i dati storici conosciuti, dai quali si desume la presenza del M. nei cunicoli della cittadella quando furono innescate le micce che contribuirono alla progressiva resa francese, ma non l’effetto risolutivo dell’atto individuale e spontaneo. Le testimonianze coeve o di poco successive tacevano sul nome del M. o lo includevano fra i tanti attori sulla scena della liberazione di Torino. Lo definiva, per esempio, semplicemente un uomo abile nell’uso delle mine il conte Wierich von Daun, feldmaresciallo dell’Impero con l’incarico di comandante generale della piazza di Torino, inviando alcune lettere a Vittorio Amedeo II, che si era allontanato dalla città per unirsi alle truppe del principe Eugenio di Savoia prima delle operazioni conclusive della battaglia. Gli osservatori sul campo insistettero sulla portata del contributo offerto dalle unità alemanne. Così risultava nel Journal historique du siège de Turin, comparso anonimo ad Amsterdam nel 1708, ma steso da un ufficiale piemontese, il luogotenente generale d’artiglieria Giuseppe Maria Solaro della Margherita. Anche questo autore si era soffermato sui dettagli dell’azione svolta nel 1706 dalle truppe straniere alleate, facendo solo un cenno molto sfumato al M. (Manno, 1878, pp. 351-360; 1883, p. 540).
L’eroicizzazione del M. iniziò a delinearsi negli ultimi decenni del XVIII secolo. La collana dei Piemontesi illustri, pubblicata dall’Accademia torinese Sampaolina, riservò al M., attraverso la penna del conte Durando di Villa, il primo ritratto in chiave esemplare, significativamente affiancato a quello di un alto ufficiale del calibro del principe Eugenio (Torino 1781, II, pp. 361-378). In questo modo il M. prendeva posto fra le figure – militari, letterati, artisti, uomini di Chiesa – che avevano dato maggior lustro alle terre subalpine. Il mito del «piemontese illustre» stendeva, già a fine Settecento, un velo patriottico sul ricordo di una campagna militare che, in realtà, aveva rappresentato forse la migliore espressione della politica di alleanze e delle vittorie congiunte ottenute dai Savoia fra XVII e XVIII secolo. L’Ottocento avrebbe calcato i toni, trasformando il M. in un eroe nazionale ed esaltandone il protagonismo in una vicenda letta come argine al rischio di un’invasione straniera non tanto o non solo del Piemonte, ma dell’intera penisola.
Nel 1828 le lunghe trattative intrattenute dalla famiglia con l’avallo delle autorità del Comune di Sagliano per poter garantire all’ultimo dei Micca, Giovanni Antonio (1758-1834), un sussidio governativo in memoria del sacrificio del M., furono coronate da celebrazioni solenni, che diedero il via alla fioritura delle rappresentazioni figurative. Nello stesso 1828 si era tentato di far accreditare una genealogia inventata, facendo discendere direttamente Giovanni Antonio dal M., mentre si sapeva con certezza che il M. era stato il fratellastro di suo nonno. Festeggiato dal real corpo del genio militare, nel marzo 1828 Giovanni Antonio venne accolto nella capitale sabauda. Indossata la divisa di sergente d’artiglieria, gli furono donate in quell’occasione una sciabola d’onore e una medaglia d’oro, che fu anche riprodotta e donata in un certo numero di esemplari a personalità istituzionali del Comune di Sagliano. Con regio brevetto dell’8 marzo 1828 Carlo Felice concesse infine a Giovanni Antonio un vitalizio di 300 lire annue, reversibile per due terzi alla moglie Apollonia Barbisio. La casa nativa del M. era diventata nel frattempo meta di pellegrinaggi da parte di personalità politiche e della gente comune. Fra i visitatori, vanno ricordati i nomi di Giuseppe Garibaldi, che vi si recò nel 1859, di re Umberto I, il quale fu a Sagliano nel 1880 per l’inaugurazione del monumento eretto in memoria di M. nella piazza principale del paese, nel 1906, e della regina Margherita di Savoia.
Al 1828 risale il primo dipinto conosciuto dedicato al M., opera del pittore saviglianese Stefano Chiantore, giunto a Torino in epoca napoleonica, nominato dopo la Restaurazione «pittore in ritratti» dal re Vittorio Emanuele I (Roma, Museo dell’Arma del Genio). Nel dipinto il M. è ritratto a mezzo busto, infagottato in una giubba dal colletto alto e privo di tratti eroici, con un’unica concessione al contesto militare rappresentata dal buttafuoco con la miccia accesa stretto nella mano destra. L’immagine ispirò Angelo Capisani, l’illustratore della Collezione di elogi storici dei militari più celebri nati negli Stati della R. Casa di Savoia (Torino 1829, fig. 8, p. n.n.), e Francesco Gonin nell’illustrazione pubblicata in apertura del romanzo di Louise Lemercier Pietro Micca ou Le siège de Turin sous le règne de Victor Amédée II (Torino 1830).
Nel 1834, alla morte di Giovanni Antonio, prese corpo il progetto di deporre la spada commemorativa che gli era stata donata sei anni prima all’interno di un monumento realizzato in bronzo. Lo scultore incaricato fu il torinese Giuseppe Bogliani, che ritrasse il M. sotto forma di un’erma, con un viso dai lineamenti virili e un cipiglio severo, con folti baffi e lunghi capelli cinti da una corona di gramigna: il riconoscimento che gli antichi tributavano agli eroi delle città assediate, tenaci come l’erba infestante. Accanto all’erma, Bogliani diede ampio spazio a una Minerva, che simboleggiava le virtù militari di Torino, ben identificabile dal piccolo toro che sorregge la cresta del cimiero. Il piedistallo in granito, attualmente conservato nella piazza d’armi della cittadella di Alessandria, è opera di Alessandro Antonelli; due targhe in bronzo ornano il piedistallo e riportano frasi in latino e in italiano, dettate dal latinista Carlo Boucheron e dal letterato Felice Romani. Per la sede del monumento si scelse il cortile del Regio Arsenale, volendo così rendere un tributo non solo al M., ma anche agli altri militari che avevano difeso e liberato la città. L’opera fu inaugurata il 4 dic. 1837, festa di s. Barbara, protettrice dei minatori e degli artiglieri; trasferita successivamente presso la caserma «Pietro Micca» di via Valfré, fu collocata, nel 1961, nel museo di via Guicciardini a Torino. Il monumento ebbe l’effetto di ridestare la creatività dei pittori, che tra gli anni Quaranta e Ottanta dell’Ottocento si produssero in nuove originali rappresentazioni. Vanno ricordate almeno le opere del fiorentino Giulio Piatti, che fu autore di un ritratto esposto prima a Firenze (1842), poi alla Società promotrice delle belle arti di Torino (1843), infine collocato a palazzo reale. Tale dipinto raffigura il M. in una posa di vago gusto alfieriano, nell’atto di appiccare il fuoco, con il viso contratto e la mano sinistra allargata sul petto, in segno di giuramento di fedeltà alla patria e di ricerca di protezione da una piccola croce appesa al collo. Intorno al 1843 il pittore valsesiano Michele Cusa eseguì un ritratto, attualmente conservato presso la basilica di Superga, caratterizzato da un abbigliamento non militare (gilet e camicia bianca aperta sul petto) e da una postura energica, ma contenuta, nell’atto di sollevare con la mano sinistra un pezzo di miccia accesa. Ben altro pathos suggerisce il dipinto che divenne il più conosciuto e che poi ispirò anche l’iconografia minore: l’opera che il torinese Andrea Gastaldi espose nel 1859 al Salon di Parigi e nel 1860 alla Società promotrice delle belle arti di Torino, conseguendo così l’incarico di professore di pittura presso l’Accademia Albertina. Permeato di elegante accademismo, il dipinto evoca il momento del sacrificio, raffigurando il M. poggiato sul ginocchio sinistro in procinto di appiccare il fuoco al fornello di mina.
Un secondo monumento fu modellato dallo scultore Giuseppe Cassano. L’opera, fusa in bronzo presso il Regio Arsenale di Torino, fu inaugurata nel 1864 e posta davanti al maschio della cittadella, mentre erano in corso i lavori di demolizione di gran parte delle strutture della fortezza torinese d’origine cinquecentesca. Diverso per concezione e realizzazione, nel 1880 venne inaugurato anche nel paese natale del M. un monumento opera di Giuseppe Maffei di Graglia. Sul basamento fu posto un manufatto in pietra ossidata che voleva rappresentare un frammento di bastione della Cittadella, entro il quale fu collocato un altorilievo marmoreo realizzato dallo scultore milanese Carlo Vimercati. In questo particolare si staglia la figura del minatore nell’atto di cadere travolto dalla deflagrazione della mina nelle gallerie. Quattro anni dopo, il pittore palermitano Luigi Di Giovanni eseguì un dipinto, Il rinvenimento del cadavere di M., cogliendo lo spunto dal momento toccante della morte: il corpo del M. giace fra le macerie avvolto nel panno blu dell’uniforme, con una folta capigliatura e il volto olivastro esanime. Il dipinto, in deposito dalla Galleria d’arte moderna e contemporanea di Torino, è attualmente esposto presso il Museo torinese dedicato al Micca. Altre e più recenti raffigurazioni sono state realizzate per il terzo centenario dell’assedio del 1706. In quell’occasione Luigi Togliatto Amateis ha effigiato il M. in una tavola del polittico che è stato posto nella cripta del Santuario di Nostra Signora della Salute di Torino. Emanuele Manfredi ha firmato un dipinto esposto al Museo Micca di Torino.
L’iconografia creata nei decenni centrali dell’Ottocento alimentò svariate interpretazioni del mito ormai consolidato. Le testimonianze si possono ricavare dalla letteratura per l’infanzia, dalla bibliografia scolastica, dai testi teatrali e dalla cinematografia. Ampia e difficilmente sintetizzabile fu la letteratura pedagogica che accolse l’esempio del 1706 fra gli argomenti utili per sviluppare la memorizzazione della cronologia degli avvenimenti. Fra i primi testi di questo genere si possono citare le Novelle morali di Francesco Soave, pubblicate in due distinte edizioni a Milano (1782-84) e Genova (1782); l’autore si sofferma sull’episodio eroico del M. nella novella L’amor della patria. A decenni di distanza, un maestro catanese, Domenico Castorina, diede alle stampe un romanzo in forma di racconto incentrato sulla figura del M.: I tre alla difesa di Torino nel 1706 (Torino 1847). Il riferimento ai fatti del 1706 più significativo e noto nell’ambito della letteratura educativa fu certamente l’accenno, nelle pagine deamicisiane di Cuore, alle letture storiche compiute dalla maestrina dalla penna rossa nell’anno scolastico 1881-82. La letteratura per ragazzi del primo Novecento assistette a una proliferazione di pubblicazioni, grazie all’affermazione di case editrici nazionali specializzate e alla fioritura dell’arte grafica. Basti citare l’eco destata dalle pagine della Domenica dei fanciulli, fondata nel 1900 ed edita da Paravia, che nel maggio 1906 aprì le rievocazioni con una poesia intitolata al M. di Dina Alliaud. La stessa rivista avrebbe ospitato una monografia storica in quattro puntate (Assedio di Torino nel 1706, di Paolo Dardana) propedeutica alla lettura del romanzo Il figlio del granatiere di Tito Gironi, una delle principali operazioni editoriali effettuate dall’editore Paravia in coincidenza con il secondo centenario. Una scelta analoga fu compiuta dalle pagine del laico e più socialmente impegnato Giornalino della domenica, dove Luigi Bertelli, in arte Vamba, rifletteva sull’utilità di un uso corretto del M. a fini didattici (I, [1906], 26 agosto). La riforma Gentile del 1925 segnò un’ulteriore tappa nella storia della fortuna del genere, suggerendo di valorizzare il patrimonio della culture locali nei loro aspetti letterari e linguistici oltre che storico-politici. Fra le antologie di lettura nate in questo clima, si può segnalare L’adolescente piemontese di Luigi Collino (Torino 1925), in cui l’assedio del 1706 e il sacrificio del M. venivano descritti sotto forma di diario, visti dagli occhi di un ragazzo.
Nell’ambito teatrale, va segnalato che nel 1852, al Carignano di Torino, debuttava in sordina il primo esercizio drammaturgico del giovane Vittorio Bersezio, M. Dramma storico in cinque atti, rimasto inedito. L’opera non ebbe repliche, ma fu seguita da una serie di altri drammi dedicati all’assedio del 1706: a opera di Giovanni Fantini (Casale 1861), Raimondo Barberis (1869, testo inedito in dialetto piemontese, il cui manoscritto è conservato presso l’Istituto per i Beni marionettistici e il teatro Popolare di Torino), Emilio Marengo (Milano 1874), Felice Govean (Torino 1880). Il dramma di Domenico Lopez (Napoli 1857, ripubblicato in diverse altre edizioni milanesi, in cui comparve anche la riduzione per oratori e istituti di formazione maschile, fino alle ultime revisioni a opera di Dante Coccia, nel 1948 e nel 1953) fu ristampato per circa un secolo in collane teatrali a uso di compagnie professioniste e amatoriali. La maggiore spettacolarizzazione del gesto eroico del M. avvenne attraverso il ballo di Luigi Manzotti (M. Ballo storico in otto quadri, Firenze 1871), su musiche di Giovanni Chiti, rappresentato al teatro Apollo di Roma nel 1871, nel 1873 al teatro Vittorio Emanuele di Torino, nel 1874 al teatro Dal Verme di Milano, nel 1875 alla Scala e ancora al teatro Alibert di Roma. Nello spirito popolare la figura del M. si radicò, dagli anni Ottanta dell’Ottocento, soprattutto attraverso il teatro delle marionette: più conosciuti furono gli allestimenti della compagnia Lupi a Torino e di quella dei Colla a Milano. Poco si sa delle prime trasposizioni cinematografiche del 1907 e 1908, e poco resta del film, uscito nel 1938, con la regia di Aldo Vergano. Il soggetto di questa pellicola era il libro I dragoni azzurri di Luigi Gramegna, in cui al M. si assegnava, in un grande affresco storico, la parte di autentico eroe popolare. Vanno ricordati i nomi di quanti collaborarono alle riprese: lo scenografo, il pittore Italo Cremona, il costumista, lo scrittore e pittore Carlo Levi, il responsabile degli arredi, l’architetto Carlo Mollino. L’operazione, propagandata dal regime sulla base dei riferimenti di gusto patriottico, a dispetto del numero di intellettuali antifascisti coinvolti nella realizzazione, destò non pochi dubbi da parte della critica.
Nel 1977 il pittore Giuseppe Ascari, in occasione del terzo centenario della nascita del M., eseguì per le Poste Italiane un francobollo commemorativo dalla grafica stilizzata, che presenta il M. baldanzoso pronto ad accendere cinque enormi barili di polvere nera. Il contesto in cui ricompariva la figura del minatore biellese si era lasciato alle spalle il gusto patriottico e nazionalistico che aveva caratterizzato molta della pubblicistica e dell’iconografia del secolo precedente. Resta tuttavia interessante rilevare la persistenza della fama del M., sopravvissuta nelle generazioni fino al personaggio, nuovamente e ironicamente tutto inventato, tratteggiato da Umberto Eco (Intervista a M., in U. Eco, Il secondo diario minimo, Milano 1992, pp. 11-17), che durante l’assedio dà fuoco alla mina e salta in aria con i Francesi esclamando molto prosaicamente «O basta là!», con la tipica inflessione della regione che gli aveva dato i natali.
Fonti e Bibl.: L. Cibrario, Storia di Torino, I, Torino 1846, p. 519; A. Manno, Relazione e documenti sull’assedio di Torino nel 1706, in Miscellanea di storia italiana, XVII (1878), pp. 359-548; Id., P. M. ed il generale conte Solaro della Margarita. Ricerche terze sull’assedio di Torino del 1706, ibid., XXI (1883), pp. 313-534; E. Casanova, Contributo alla biografia di P. M. e di Maria Chiaberge Bricco e alla storia del voto di Vittorio Amedeo II, in Le campagne di guerra in Piemonte (1703-1708) e l’assedio di Torino (1706). Studi, documenti, illustrazioni, VIII, Torino 1909, pp. 167-178; G. Amoretti, La verità storica su P. M.: dopo il ritrovamento della scala esplosa, Torino 1961; M. Coda, I Micca nella loro genealogia, in Bollettino storico vercellese, 1981, nn. 16-17, pp. 201-209. Sulla rappresentazione e la costruzione della figura eroica: W. Barberis, Le armi del principe. La tradizione militare sabauda, Torino 1988, pp. 237, 329; Gli acquerelli di Carlo Levi per il film P. M. (catal., Torino), a cura di P. Bertetto, Milano 1997; P. Bianchi, Onore e mestiere. Le riforme militari nel Piemonte del Settecento, Torino 2002, p. 83; P. Menietti, P. M. nel reale e nell’immaginario. Note storiche, artistiche e letterarie, Torino 2003; M. Coda, I Micca: una famiglia del ceto popolare entrata nella storia grazie all’eroismo di P. M., in Torino 1706. Memorie e attualità dell’assedio di Torino del 1706 tra spirito europeo e identità regionale. Atti del Convegno … 2006, a cura di G. Mola di Nomaglio et al., II, Torino 2007, pp. 487-525; P. Menietti, Dare un volto all’eroe. L’iconografia di P. M. tra invenzione e celebrazione, ibid., pp. 527-548; A. Cipolla - G. Moretti, «Diroccata con apoteosi». Il mito di P. M. attraverso il teatro, ibid., pp. 549-557; A. Gaido, P. M. e l’assedio di Torino nel cinema, ibid., pp. 559-564; P. Vagliani, «Te felice, o P. M., dell’Italia salvatore». La figura di P. M. nella pubblicistica per l’infanzia e nei testi scolastici tra Ottocento e primo Novecento, ibid., pp. 565-583; S. Satragni Petruzzi, P. M. nell’elogio di un poeta romanesco: Filippo Tartufari, ibid., pp. 585-587.
P. Bianchi