MICHIS, Pietro
– Nacque a Milano il 12 ag. 1834 da Giovanni e da Carolina De Bernardi.
Frequentò il ginnasio, poi l’Accademia di Brera, nei primi anni Cinquanta, e la scuola di pittura di G. Bertini, dal quale apprese la vivacità e il modo di dipingere a «macchia» (Carotti, p. 159).
Nelle opere giovanili si riconosce il debito stilistico nei confronti del maestro anche se, secondo la critica, gli impasti cromatici del M. erano più forti di quelli di Bertini, del quale però non possedeva l’eleganza. Il M. volgeva allora la propria attenzione anche allo studio delle opere di maestri del passato, soprattutto di G.B. Tiepolo (Luciani, p. 285), e alle ricerche pittoriche dei propri contemporanei, come dimostra l’opera Paesaggio (Pavia, collezione privata; ripr. in Giordano, p. 104) che semplifica, con alcune varianti, un analogo quadro di Luigi Riccardi conservato presso la Galleria d’arte moderna di Milano. Dal 1861 iniziò a esporre annualmente all’Accademia di Brera, e in seguito anche alle Promotrici di Torino e di Genova. Le sue opere rientrano nella corrente del romanticismo storico e frequentemente traggono i propri temi da opere letterarie: quadri come Una vittima del secolo XVII (Geltrude, la futura monaca di Monza, condotta in convento, 1864: ripr. in Carotti, p. 162) gli procurarono un buon successo di pubblico. La pittura, nella prima fase della sua attività, appare quasi sempre «levigata», senza che siano evidenti le tracce delle pennellate. Il disegno è molto netto, sia nelle figure sia nei panneggi, forgiati classicamente e irradiati da una luce molto teatrale. Il suo modello è certamente la pittura di J.-L. David, come emerge da due opere esposte all’Accademia di Brera: Il cadavere di monsignor Pazzino de’ Pazzi sulla piazza de’ Priori (1311) del 1861 e Scherani delle bande di Carlo V che depredano l’avello di Giulio II del 1863 (Torino, Galleria d’arte moderna).
Nel 1868 sposò la pittrice Maria Cattaneo con la quale si dedicò anche alla pittura di genere: ne è un esempio Un matrimonio civile in un villaggio, con cui vinse il premio Mylius a Brera in quello stesso anno (Milano, Pinacoteca di Brera).
È un’opera che narra la vicenda attraverso le espressioni e gli atteggiamenti corporei dei protagonisti, con una leggera enfasi teatrale, ma senza eccessi retorici. Negli atti dell’Accademia si rimprovera all’autore di non aver curato lo sfondo, i personaggi secondari e la prospettiva; tutte scelte stilistiche finalizzate a concentrare l’attenzione dell’osservatore sulla scena in primo piano (Giordano, p. 103).
In alcuni quadri è difficile distinguere la mano del M. da quella della moglie. Paesaggio di montagna del M. e Studio di paesaggio di Maria Cattaneo (entrambi nei Civici Musei di Pavia) presentano fortissime analogie nell’uso dei colori, nella gamma dei bruni, dei verdi, dei gialli e nella stesura pastosa, a tocchi di colore alternati a pennellate più lunghe. Le loro opere rivelano lo studio dei macchiaioli, di A. Fontanesi e degli impressionisti, senza più subire l’influenza della pittura dell’accademia francese, come accadeva nei primi anni di attività. Altre opere, come Interno (Pavia, Pinacoteca Malaspina), risentono dell’influenza della pittura verista, costituendo modelli anche per gli allievi della scuola (Giordano, p. 109).
Nel 1876 espose a Brera Tipografi nomadi, che illustra la pratica degli ambulanti di stampare all’aperto, trasportando le attrezzature sui carri, fra lo stupore del popolo (ibid., p. 106).
Nel 1880, periodo in cui veniva paragonato dalla critica a maestri italiani come T. Cremona, vinse il concorso della Civica Scuola di pittura di Pavia.
Fu preferito al più famoso Filippo Carcano, perché quest’ultimo era considerato troppo aperto alle teorie divisioniste (Quel cielo …, p. 16). Il M. venne ritenuto idoneo per il metodo didattico più tradizionale e il maggior livello di cultura rispetto al suo concorrente. La scelta suscitò varie polemiche sulla stampa dell’epoca: per Giordano evidenziava la volontà di tener lontano l’accademia di provincia dalle novità ammesse alle esposizioni braidensi (p. 101). Tuttavia il M. venne influenzato, anche se in misura modesta, dai fermenti della scapigliatura lombarda (Bossaglia, p. 30).
Dagli anni Ottanta si dedicò quindi alla didattica senza rinunciare a un’intensa attività espositiva, soprattutto presso le Promotrici di Genova e di Torino, dipingendo ritratti su commissione, scene di genere e paesaggi di Venezia, Vicenza e del Varesotto, territorio dove era solito soggiornare insieme con la moglie.
Nei Civici Musei di Pavia si conservano vari studi e opere (Zatti, 1984, pp. 107-109). Si tratta di disegni a matita, a carboncino, studi a olio su cartone e su tela, raffiguranti soggetti storici, vedute di città, particolari architettonici e interni.
Fra tali opere nel bozzetto per Baldassarre Peruzzi che ritratta il conestabile morto, si evince la capacità di sintetizzare tutti gli elementi essenziali, con rapidità, virtuosismo di tratti e armonia di tonalità. Uno studio successivo (ripr. in Giordano, p. 107), con un grado maggiore di definizione dei particolari dei volti e delle armature, rivela la direzione in cui si stava orientando il M. per l’opera finale (della quale non si conosce l’ubicazione). Questi studi sono preferiti dalla critica alle opere di tematica storica in quanto evitano la retorica e rivelano la scioltezza di tratto e di composizione appresa da Bertini (Monteverdi, p. 61).
Nel 1892 curò l’Inventario artistico dei dipinti e mobili esistenti nel locale di abitazione del fu Francesco Reale poi confluiti nelle raccolte comunali (Ottocento e Novecento, p. 285). Nel 1900 venne messo a riposo dall’insegnamento presso la Civica Scuola di pittura di Pavia, per una malattia oculistica e per i suoi metodi d’insegnamento ormai non più aggiornati e attestati su posizioni accademiche (Zatti, 1984, p. 107).
Due anni dopo la scomparsa della moglie, il M. morì a Milano il 24 nov. 1903.
Fonti e Bibl.: L. C., Esposizione nazionale di belle arti, in L’Illustrazione italiana, 1880, vol. 2, p. 263; G. Carotti, In memoriam di P. M., in Emporium, XIX (1904), pp. 159-163; R. Bossaglia, in Pavia. Cent’anni di cultura artistica (catal., Pavia), Milano 1976, p. 30; L. Giordano, ibid., pp. 101-110, 172; M. Monteverdi, Storia della pittura italiana dell’Ottocento, II, Busto Arsizio 1984, pp. 61, 284, 869; Ottocento e Novecento nelle collezioni d’arte dei Civici Musei di Pavia, Pavia 1984, pp. 44, 285; S. Zatti, ibid., pp. 22, 107-109; S. Rebora, in La pittura in Italia. L’Ottocento, II, Milano 2003, p. 918; Quel cielo di Lombardia … (catal., Pavia), a cura di S. Zatti, Milano 2007, pp. 16, 90; A. De Gubernatis, Dizionario degli artisti italiani viventi, Firenze 1906, pp. 300 s.; A.M. Comanducci, Dizionario illustrato dei pittori, disegnatori e incisori italiani …, III, Milano 1972, pp. 2019 s.; L. Lucani - F. Luciani, Dizionario dei pittori italiani dell’800, Firenze 1974, p. 285; Catalogo Bolaffi d’arte moderna, Torino 1975, p. 386.