MOCENIGO, Pietro. –
Nacque a Venezia il 3 nov. 1633, penultimo dei numerosi figli di Nicolò di Marcantonio, del ramo a S. Stae, e di Bianca Priuli di Domenico di Giovanni.
Il 4 dic. 1651 estrasse la Balla d’oro, ossia la facoltà di entrare anticipatamente in Maggior Consiglio, ma dovette attendere di aver compiuto l’età legale per essere eletto alla carica di savio agli Ordini (marzo - settembre 1658), usuale tirocinio per i giovani esponenti delle famiglie più prestigiose. Vi fu rieletto, sempre per lo stesso semestre, anche nei due anni successivi; il 3 ag. 1659 rifiutò la carica di ufficiale alle Cazude, magistratura finanziaria di scarso peso, ma l’anno dopo (14 dic. 1660) accettò la nomina ad ambasciatore presso la corte d’Inghilterra.
Sarebbe partito tuttavia diversi anni dopo, dapprima per attendere l’adempimento dell’ambasceria straordinaria di Angelo Correr e Michele Morosini, inviata presso Carlo II Stuart per congratularsi dell’avvenuta restaurazione monarchica e rientrata a Venezia nell’autunno 1661; in seguito per le sopravvenute tensioni insorte fra la Corona e il Parlamento. Solo la firma della triplice alleanza antifrancese tra Inghilterra, Olanda e Svezia nell’ambito della politica internazionale e, sul fronte interno alla Serenissima, l’aggravarsi della situazione a Candia nella fase conclusiva del lungo conflitto veneto-turco, decisero il Senato a sollecitare la partenza del M., verificatasi nel giugno 1668 via terra, attraverso la Germania e i Paesi Bassi.
Negli otto anni intercorsi fra l’elezione e la partenza il M. non rimase inattivo. Rifiutò (ed era suo diritto, come ambasciatore eletto) il dispendioso capitanato di Vicenza, cui era stato chiamato l’8 marzo 1665, ma il 26 gennaio dell’anno seguente subentrò fino a tutto giugno nel saviato di Terraferma al defunto Marco Pisani. Fu rieletto a tale carica, sempre per il primo semestre, anche nel 1667 e 1668, ricoprendo ogni volta anche la funzione di cassiere del Collegio.
A Londra giunse nell’agosto 1668, ma fu accreditato a corte solo il 17 settembre; della legazione inglese ci è conservata la relazione, letta in Senato il 9 giugno 1671. Si tratta di un documento di notevole interesse, non solo per la delicata congiuntura politico-culturale che lo sottende, ma anche per le qualità di concretezza e di dettagliata conoscenza della corte e della società londinese, riconducibile almeno in parte alla collaborazione fornitagli dal segretario Gerolamo Alberti, che dopo la partenza del M. avrebbe sostenuto per cinque anni il peso della rappresentanza della Serenissima presso la corte inglese.
Sincera l’ammirazione per l’Inghilterra, non tanto per la recente funzione antifrancese, che forma «argine vigoroso per trattenere il corso dei principi vincitori» e, così facendo, «dona la pace al mondo cristiano» (Relazioni di ambasciatori veneti …, p. 913), ma per la sua potenza fondata sul mare. Tra le righe, il paragone è con la Venezia di un tempo; ma laddove Venezia fu una città-Stato, la corona britannica può contare su un vasto e ricco territorio, «non apparendo pure nelle genti più vili del paese le macchie della mendicità» (ibid., p. 914). Fonte della prosperità del paese sono soprattutto i traffici, che traggono alimento dalle colonie («ha dilatato la corona la propria potenza ai confini della terra, possedendo stati nelle quattro parti del mondo» (ibid.). Per quanto riguarda l’America, l’attenzione del M. è attratta più dall’isola «importantissima di Giammaica» (ibid., p. 915) che dalle vaste pianure della Virginia; meno importanti gli appaiono gli stabilimenti dell’Africa e dell’India. Il tessuto connettivo dei possessi coloniali è costituito dalla flotta, che a suo giudizio «sarà sempre più forte di quella d’Olanda, dove non essendovi [ …] porti profondi, non possono gli Olandesi fabbricare navi della grandezza inglese» (ibid., p. 916). Lo sviluppo attuale è fatto risalire alla regina Elisabetta, «donna altrettanto fiera quanto sagace», che «nel governo ha superate le condizioni del sesso, e che avrebbe qualificato il suo nome, se sopra le persecuzioni de’ cattolici non avesse fondato il suo dominio» (ibid.). La struttura mercantile basata sulle compagnie è analizzata partendo dalla Compagnia del Levante (particolarmente invisa a Venezia, per motivi di concorrenza), proseguendo per quella delle Indie Orientali (che soffre tuttavia la rivalità con gli Olandesi) e della Moscovia; solo «il negozio dell’America è in libertà» (ibid., p. 923), ossia non prevede il monopolio di una specifica organizzazione commerciale. Seguono le rituali descrizioni della figura del sovrano Carlo II, della famiglia reale, del Parlamento, del governo, ministri (condotti con finezza di introspezione psicologica i ritratti del duca di Buckingham e del segretario di Stato, conte di Arlington), fisco, rapporti con potenze europee (incluso il Marocco, per via dell’importante piazza di Tangeri); quanto ai rapporti con Venezia, il M. considera che la concorrenza inglese nel Mediterraneo abbia ormai vinto la sfida, grazie anche alla guerra di Candia, da poco conclusasi con la perdita dell’isola.
Il M. prese congedo dal re il 16 nov. 1670 e tornò a Venezia con le insegne di cavaliere; qui l’attendeva la nomina di savio del Consiglio, che sostanzialmente costituiva l’apice del cursus honorum dell’aristocrazia senatoria e che esercitò dall’aprile al settembre 1671. Qualche mese dopo, il 23 febbr. 1672, risultava eletto a una seconda ambasceria, stavolta a Roma. Il M. doveva prendere il posto di Michele Morosini, ammalatosi di podagra e sostituito pro tempore dal cardinale veneziano Pietro Ottoboni, futuro papa Alessandro VIII.
Il M. lasciò Venezia il 4 maggio 1672 e raggiunse Ancona per mare, da dove proseguì via terra. A Roma si fermò più di tre anni: non fu una legazione facile. Il M. era infatti un antipapalista che sino a qualche anno prima, mentre era in corso la guerra, aveva dovuto reprimere i suoi sentimenti, stante la necessità, da parte della Repubblica, di ottenere dalla Santa Sede aiuti contro il Turco. Ora però la prudenza non costituiva più servizio allo Stato, sicché il M. poté esprimere la sua valutazione negativa riguardo alla condotta pontificia circa la nomina dei cardinali. Il contrasto con la Curia si acuì fino a sublimare in dissidio personale col cardinale nipote, Paluzzo Paluzzi-Altieri, autore nel settembre 1674 dell’abolizione del diritto di franchigia sulle merci, di cui godeva il corpo diplomatico. Congedatosi da papa Clemente X il 6 ott. 1675, lesse la relazione in Senato il 26 febbraio dell’anno seguente.
In essa poco spazio era lasciato al tradizionale elogio dei cardinali veneti, mentre era impietosamente descritta l’involuzione della corte pontificia, «laberinto del mondo» (Relazione di Roma …, p. 375) scaduto a «governo monarchico, assoluto», ove «passano secoli intieri senza radunar concilii», mentre «li concistorii si fanno di rado, per supplir solamente all’apparenze, e li cardinali, spogliati d’ogni autorità […] pazientano un’intiera e cieca dipendenza per i loro fini particolari di coltivar li nipoti regnanti» (ibid., p. 377). Da queste premesse il M. faceva discendere il peggioramento economico e demografico dello Stato pontificio, a suo giudizio sintomo di una crisi irreversibile.
Consigliere ducale per il sestiere di Dorsoduro dal marzo a novembre del 1676, fu poi savio del Consiglio nel secondo semestre 1677, donde un succedersi di significativi riconoscimenti: riformatore dello Studio di Padova il 4 maggio 1678; savio alle Acque il 21 maggio, savio del Consiglio per il secondo semestre dello stesso anno, bailo a Costantinopoli il 28 agosto, procuratore de citra il 6 novembre, dignità incompatibile con il bailaggio: sicuramente una manovra del M. per evitare un’ambasceria remunerativa, ma non priva di insidie nel delicato periodo compreso tra la fine della guerra di Candia e la ripresa, che si avvertiva imminente, del conflitto antiottomano. Un comportamento discutibile, che sembra avallare il giudizio poco favorevole espresso tre anni prima dall’anonimo compilatore della Copella Politica: «non ha fatto gran pompa di vaglia. Il suo concetto ha bisogno di balia per stare in piedi, non essendo per se stesso robusto abbastanza» (c. 36r).
Il M. morì a Venezia il 27 nov. 1678, prima ancora di fare il suo ingresso nella dignità procuratoria.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Misc. Codd. I, St. veneta 20: M. Barbaro - A.M. Tasca, Arbori de’ patritii …, V, pp. 174, 189; Segretario alle voci. Elez. Maggior Consiglio, regg. 21, cc. 39, 148; 22, cc. 4, 96; 23, c. 195; Segretario alle voci. Elez. Pregadi, regg. 17, c. 17; 18, cc. 9-10, 15-16, 37, 134; 19, cc. 1-4, 43, 46, 57, 60; Senato dispacci Inghilterra, ff. 53-55, nn. 1-167 (25 giugno - 28 nov. 1670); Senato dispacci Roma, ff. 178-184 (5 maggio 1672 - 6 ott. 1675); Avogaria di Comun, b. 159: Necrologi dei nobili 1526-1787, sub 28 nov. 1678; Venezia, Biblioteca del Civico Museo Correr, Codd. Cicogna 1511: La Copella Politica …, cc. 35-36; Mss. P.D., 549 C.224: lettera del card. P. Ottoboni al M. a Londra, 6 ott. 1668; Mss. P.D., C.547/96; C.1055/284, 333, 334, 358; C.1057/287; C.1062/211, 278, 279; C.1059/ 58, 142, 166, 229, 232, 253, 288, 294: lettere del M. a diversi, da Roma; Relazione di Roma di P.M. ambasciatore ordinario a Clemente X, in Le relazioni della corte di Roma lette al Senato dagli ambasciatori veneti nel secolo decimosettimo, a cura di N. Barozzi - G. Berchet, II, Venezia 1879, pp. 371-403; Calendar of State Papers … relating to English Affairs existing in … Venice, a cura di A.B. Hinds, XXXV-XXXVIII (1666-1672), London 1935-39, ad indices; Relazioni di ambasciatori veneti al Senato, a cura di L. Firpo, I, Inghilterra, Torino 1965, pp. XXX, 907-941; L. von Pastor, Storia dei papi dalla fine del Medio Evo, XIV, 1, Roma 1932, pp. 638, 679 s.; 2, Ibid. 1932, p. 112; F. Ambrosini, Paesi e mari ignoti. America e colonialismo europeo nella cultura veneziana (secoli XVI-XVII), Venezia 1982, pp. 256-258, 264, 267; G. Cozzi, Dalla riscoperta della pace all’inestinguibile sogno di dominio, in Storia di Venezia, VII, La Venezia barocca, a cura di G. Benzoni - G. Cozzi, Roma 1997, p. 50; P. Litta, Le famiglie celebri italiane, s. v. Mocenigo, tav. XVII.