PIETRO Mongo (gr. μογγός "balbuziente")
Patriarca monofisita di Alessandria (sec. V). Probabilmente diacono di Dioscuro di Alessandria e compagno di esilio di costui, tornato ad Alessandria, fu, con Timoteo Eluro, l'anima dell'opposizione monofisita al successore calcedonese di Dioscuro, Proterio, conclusasi con l'assassinio di quest'ultimo. Timoteo fu dall'imperatore Zenone inviato in esilio, mentre P., pur appartandosi, riuscì a isolare il successore di Proterio, Timoteo Salofaciolo e a farsi eleggere patriarca d'Alessandria quando Timoteo Eluro, competitore di Salofaciolo, venne a morte. Ma, perseguitato dall'imperatore, dovette fuggire, e solo quando la politica di Zenone e del patriarca Acacio di Costantinopoli si orientò verso uno spirito di conciliazione nei riguardi dei monofisiti, P. fu riconosciuto (ottobre 482) ufficialmente patriarca di Alessandria (Salofaciolo era morto frattanto e il suo successore calcedonese Giovanni Talaia era fuggito a Roma). P. dovette peraltro accettare l'Enotico di Zenone, che, se significava implicitamente l'abbandono così del Tomo di Leone come dei decreti di Calcedonia, non era tale da soddisfare l'ala estrema del partito monofisita, che manifestò decisamente il suo disappunto. Per vincere questa opposizione i partigiani di P. misero in circolazione una corrispondenza apocrifa fra P. e Acacio tale da giustificare l'atteggiamento di P., il quale, combattuto fra il desiderio di non alienarsi Zenone e l'altro di non romperla coi monofisiti, cancellò dai dittici il nome di Salofaciolo e tolse il corpo di lui dalla sepoltura patriarcale. Poi ricorse alla forza pubblica, ma quando seppe che tutto era stato inutile e che la città era presa d'assalto da 30.000 monaci monofisiti, pur senza dirlo, fece comprendere ai messi di questi che non accettava il Tomo di Leone e il concilio di Calcedonia. I monofisiti si convinsero a metà, e si costituirono in chiesa separata (v. acefali). P. ebbe allora l'impudenza di scrivere ad Acacio una lettera (v. in Evagrio, Patrol. Graeca, LXXXVI, 11, col. 2629 segg.) negando recisamente di avere esumato il corpo di Salofaciolo. E quando, morto Acacio, Fravita assunse il patriarcato costantinopolitano, P. scrisse a questi per protestare il suo attaccamento all'Enotico (lettera nella Hist. eccl. di Zacaria il retore, VI, vi). P. morì il 29 ottobre 489 essendosi conquistata la fama, perfettamente giustificata, di essere stato "uno dei più abili opportunisti che la teologia bizantina abbia creato" (L. Duchesne).
Bibl.: G. Fritz, in Dictionnaire de théologie catholique, XII, coll. 2029-2031; L. Duchesne, Storia della Chiesa antica, III, Roma 1911, pp. 274-280.