NEGRI, Pietro
– Nacque nel 1628, presumibilmente a Venezia (Zava Boccazzi, 1978, p. 333). In due distinti documenti della parrocchia di S. Margherita del 1670 e del 1673 il nome del padre risulta essere, rispettivamente, Lunardo e Francesco (Favilla - Rugolo, 2009, p. 43 n. 2); decade, quindi, l’ipotesi di Safarik (1978, pp. 85 s. n. 19) che Pietro fosse figlio dello scultore Domenico.
Nella lettera del 18 maggio 1675 al cardinale Leopoldo de’ Medici, Marco Boschini segnalò come suo primo maestro di pittura Matteo Ponzone (Procacci, 1965); successivamente Tommaso Temanza (1738) lo indicò come discepolo di Francesco Ruschi assieme ad Antonio Zanchi, Francesco Rosa e Federico Cervelli.
Il problema dell’avvio stilistico dell’artista rivela dunque «una certa fluidità di posizioni [...] che, sommate, potrebbero prospettare una prima formazione presso Ponzone, quello non più tardo-manierista e palmesco ma a suo modo naturalista e barocco, e un successivo avvicinamento a Ruschi che lo portò al confronto diretto con Zanchi» (Fossaluzza, 2010, p. 75). Tale miscela apre il dibattito sui rapporti professionali con il maestro e il collega: Fossaluzza allude all’ipotesi, suggestiva ma di difficile verifica, di una possibile compartecipazione di Negri alla decorazione ad affresco della stanza dell’Odissea di villa Venier a Mira, ciclo di cui, dopo precedenti orientamenti verso Ruschi, è stata ribadita la paternità unicamente zanchiana, con datazione alla prima metà degli anni Sessanta del XVII secolo (V. Mancini, in Gli affreschi nelle ville venete. Il Seicento, a cura di G. Pavanello - V. Mancini, Venezia 2009, pp. 240-249).
Il primo dato cronologico certo risale al 1658, quando firmò, come inventore, l’incisione in antiporta dell’Antioco di Nicolò Miniato per i tipi di Andrea Giuliani (Aikema, 1990), in cui si nota «una qualche affinità con lo stile di Diamantini» (Fossaluzza, 2010, p. 78 n. 5).
Non sembra invece convincente l’attribuzione (Favilla - Rugolo, 2003-04) dell’ideazione di un’altra antiporta, sempre del 1658, della Incostanza trionfante, ovvero il Teseo di Francesco Piccoli. L'incisione pare, infatti, meglio collegabile a Ruschi, in prossimità delle coeve pale veneziane per le chiese di S. Clemente e delle Terese, con cui condivide in modo serrato impaginato scenografico, repertorio fisionomico e orchestrazione dei panneggi. Ugualmente, non spettano a Negri le pale attribuitegli (Chini, 1983) in Trentino, nelle chiese di Storo (1659) e di Condino (1661): se la prima è ora restituita al giovane Johann Carl Loth, la seconda è data ancora a un seguace di Willem Drost (Mancini, 2009). Anche Fossaluzza (2010, pp. 76 s.) le espunge, togliendo pure dal catalogo di Negri i dipinti che Safarik (1978) proponeva con datazione 1660 circa, Davide e Abigaille (Allegoria della Musica), già Pollitzer, restituito a Zanchi, e uno Sposalizio mistico di s. Caterina. Non compete altresì a Negri, nonostante la testimonianza di Lanceni (1720), la pala della parrocchiale di Arbizzano, presso Verona, da confermare piuttosto a Daniel van den Dyck, seguendo il giudizio di Enrico Maria Guzzo (Fossaluzza, 2010, pp. 79 s.).
La mancanza di dipinti sicuri di Pietro Negri fino all’inizio degli anni Sessanta è supplita da due dei quattro fogli assegnatigli da antiche iscrizioni del cosiddetto Album di Camerino (oggi presso il Museo arcidiocesano Giacomo Boccanera: Fossaluzza, 2011, pp. 109-123). Due di essi (inv. 117 e 124), con studi di mani, piede e volti, tra cui la testa del Laocoonte, recano la data 1660 e «testimoniano l’esito dell’insegnamento di Francesco Ruschi, il quale conclude la sua attività a Treviso l’anno seguente, e l’apertura a una sensibilità più naturalistica che porterà Negri a confrontarsi di sicuro nel 1662 con Antonio Zanchi nel contesto della sua Accademia del nudo» (ibid., p. 110).
Il 21 ottobre 1662, infatti, il camerlengo Filippo Leoncelli, in una lettera da Venezia al conte Jan Humprecht Čzernin a Roma, diede l’impressione di aver visto i due artisti lavorare accanto: per la precisione Leoncelli riferiva che martedì 17 ottobre 1662 «Zanchi mi promisse per sabato far mi vedere qualche cosa di colorito nel quadro di V.E. et il S.r Pietro Negri era dietro al petto di quella Donna per compirlo diligentemente bene», per dopo tornare da loro la mattina di sabato 21 e osservare che «Zanchi ha principiato in casa sua a fare nella prima stanza una Accademia et perciò non ha potuto ne meno lui comminciar a colorire il suo quadro [...] Negri ha già finito quella Donna» (Kalista, 1928-29, p. 74). La figura femminile che compare riprodotta (c. 25b), senza indicazione dell’autore, nelle Imagines Galeriae della collezione Čzernin è stata identificata (Safarik, 1978, p. 85) con la Vanitas (o Maddalena penitente) del Museo del Prado (inv. 2758): «più affine all’immaginazione di un Ruschi che a quella di uno Zanchi; nel sensuale e dolce viso femminile appare inoltre un legame con la cultura padovana, di un Forabosco, e con quella emiliana, di un Cagnacci; le ombre sono più trasparenti, la luce più diffusa, le pieghe più elaborate e meno pronunciate; il colorismo più intenso, ma anche più delicato, riflette la lezione veronesiana» (ibid.). Lo spiccato interesse in questa fase verso Guido Cagnacci è attestato, ancora, dalla Morte di Lucrezia dell’Alte Pinakothek di Monaco di Baviera (inv. 7237), attribuita da Hermann Voss (Fossaluzza, 2010, p. 87).
«Venetiano, giovene che si rende riguardevole tra pittori de nostri tempi per una esquisita maniera di colorito, e per la nobiltà, e vaghezza nella compositione de suoi quadri» (Martinioni, 1663, p. 23), Negri è considerato «spiritoso» da Boschini (1664, p. 17) che ricorda una perduta Madonna del Rosario per la chiesa veneziana di S. Margherita. Il terzo disegno dell’Album di Camerino, con studi di nudo femminile, di anatomia e di drappeggio (inv. 116), è datato 1664, mentre il quarto, che raffigura su ambo i lati una modella nuda assisa (inv. 115), reca l’anno 1665; essi «rivelano efficacemente la posizione di Negri nella pittura veneziana di questo preciso momento e il personale differenziarsi dalla corrente dei ‘tenebrosi’, proprio per la valorizzazione degli stimoli del classicismo accademizzante nel quale il pittore si è formato» (Fossaluzza, 2011, p. 111). A prova dell’avvenuta «osmosi tra i motivi ruschiani e quelli liberiani» (Safarik 1978, p. 86), un dipinto con Antonio e Cleopatra viene datato verso il 1664.
Per la seconda metà degli anni Sessanta, che non offre testimonianze artistiche o documentarie, Fossaluzza (2010, pp. 88 s.) prova per via stilistica a scandire una sequenza di opere: esclusa la modesta Betsabea al bagno, già collezione Aharon, riconsidera Venere piange la morte di Adone già Klein ed Encil, avvicinandogli un dipinto di medesima iconografia, evidenziando come il «dosaggio chiaroscurale» sia, rispetto ai lavori precedenti, «più leggero e avvolgente» (ibid., p. 89). Aggiunge, con datazione a circa la metà del decennio, la Semiramide riceve la notizia dell’insurrezione a Babilonia e Venere e Amore passato in asta con la corretta attribuzione. Infine propone di assegnare a Negri il discusso Mercurio e Argo (ante 1670) del museo di Caen, attribuito da Safarik a Drost.
Nel 1670 dipinse l’Albero serafico dei tre Ordini francescani (Venezia, S. Maria Gloriosa dei Frari), fatto fare da fra Agostino Maffei veronese e considerato «ben povera cosa» da Pallucchini (1981, p. 258): «Per adattarsi alle esigenze della commissione, il pittore si sente costretto a ritornare a una soluzione ammanierata, arcaizzante e schematica, poco felice quanto ad esiti. Il dipinto non è altro che un conglomerato dei vari ritratti, inventati ad hoc per l’ampia tela celebrativa, animato soltanto da qualche brano coloristico più riuscito» (Safarik, 1978, p. 86). Diverge parzialmente Fossaluzza (2011, p. 124), esaltando il «brano della gloria celeste che occupa la porzione superiore, in quanto, non dovendosi qui rispettare un obbligo iconografico convenzionale, si coglie la piena libertà nell’escogitare una composizione di grande peso e, a un tempo, di apprezzabile scioltezza pittorica»; collega al grande dipinto dei Frari uno dei lavori più noti di Negri, Nerone e Agrippina della Gemäldegalerie di Dresda, confermandogli verso il 1670 pure Ciro osserva l’amante dormiente di collezione privata e il Tempo che strappa le ali a Cupido del museo di Kuskovo, in Russia.
Dal matrimonio con Franceschina Maria Barbara, Negri ebbe due figli, battezzati il 31 maggio 1670 e il 26 settembre 1671 a S. Margherita. Nella stessa chiesa veneziana contrasse seconde nozze il 14 febbraio 1673 con Angela Caroli (Carotti, in Zava Boccazzi, 1978, pp. 333, 338, docc. 5-6), vedova del mercante Santo Piceni: testimone il senatore Giovanni Nani di San Trovaso (Favilla - Rugolo, 2009, p. 43 n. 2), promotore dell’Accademia dei Filateti in palazzo Barbarigo (Fossaluzza, 2011, p. 123).
Nel 1673 realizzò il suo capolavoro, I ss. Rocco e Marco intercedono presso la Vergine per la cessazione della peste a Venezia, posto, su iniziativa del Guardian Grande Angelo Acquisti, lungo la parete sinistra della seconda rampa dello scalone della Scuola di S. Rocco, di fronte al dipinto di Antonio Zanchi del 1666 con La Vergine e s. Rocco intercedono presso Cristo per la cessazione della peste del 1630. Il modelletto, di collezione privata (Craievich, 2005), è stato giudicato «opera molto semplificata ed esecutivamente corsiva» (Fossaluzza, 2010, p. 72 n. 1), al punto da farlo considerare più un «ricordo» che un’opera preparatoria, anche per la presenza di una «cartouche, destinata a contenere uno stemma o un ritratto, poi non realizzato» (Craievich, 2005, p. 23). L’importanza del 'telero' è attestata dalla lunga descrizione subito dedicatagli da Boschini (1674, San Polo, pp. 51 s.), il quale con «geniale trovata critica» (Fossaluzza, 2010, p. 72) riporta che tanto Zanchi quanto Negri di fronte alle opere di Tintoretto a S. Rocco «dichiarano, che per li comandi loro fatti, hanno tributtate le loro fatiche in quel sacrario di devotione, e di Virtù, chiedendo perdono del troppo ardire, a chi là si dimostra il Monarca dell’artificioso Dissegno» (Boschini, 1674, San Polo, p. 52). Rispetto a Zanchi, «è Negri a mostrarsi ora più ingegnoso nelle ideazioni, più concentrato nelle artificiose soluzioni del disegno e nella ricchezza e variazione di abbinamenti cromatici» (Fossaluzza, 2011, p. 125).
Andati perduti i molti dipinti pubblici elencati da Boschini (1674), resta il Compianto di Cristo di S. Maria Formosa citato da Zanetti (1733, p. 224), donato dal pittore lombardo Cesare Mainardi con testamento del 1682 e di cui esiste replica autografa alla Galleria Sabauda di Torino (Fossaluzza, 2011, p. 126). L’opera è reputata, con il frammentario Lot e le figlie di Göttingen, vicina all’esperienza di S. Rocco, mentre si propone una cronologia più tarda per altri dipinti (come il Buon Samaritano di collezione privata udinese e la Verità e il Tempo del Museo civico di Asolo) in cui si assiste a «un generale alleggerimento e distensione nella strutturazione plastica [...] in linea con l’attenuarsi definitivo della ventata tenebrosa» (ibid., pp. 130 s.).
Nel 1677 Negri partecipò al concorso per l’allogazione del Sacrificio di Noè dopo il diluvio per S. Maria Maggiore a Bergamo, poi vinto da Federico Cervelli: un bozzetto dell’opera era ricordato nella sua casa di Venezia in un inventario steso pochi giorni dopo la sua morte (Pasian, 2011). Il rapporto con la committenza bergamasca è documentato pure dalla corrispondenza dell’8 aprile 1679 da Venezia di Giovanni Cupilli a Giambattista Tassis, in cui, oltre alla notizia dell’acquisto con trattativa di un dipinto di soggetto ignoto, si comunica che Negri «è a letto travagliato al maggior segno da una flussione catarrale, e febbre continua» (Bottari - Ticozzi, 1822).
Morì infatti di tubercolosi, a Venezia, il 31 maggio 1679, dopo tre giorni di agonia: fu sepolto a spese della vedova nella chiesa di S. Agostino.
Fonti e Bibl: Praga, Biblioteca nazionale, Imagines Galeriae, XXIII B 32, III, cc. 25b, 47b; G. Martinioni, in F. Sansovino, Venezia città nobilissima et singolare..., Venezia 1663, p. 23; M. Boschini, Le minere della pittura veneziana, Venezia 1664, pp. 3, 6, 17; Id., Le ricche minere della pittura veneziana, Venezia 1674, Castello, p. 65, San Polo, pp. 33, 51 s., Dorsoduro, p. 50, S. Croce, pp. 34-36; J. Sandrart, Academia nobilissimae artis pictoriae, Nurnberg 1683, pp. 398 s.; [G. B. Lanceni], Divertimento pittorico esposto al dilettante passaggiere dall’incognito conoscitore, Parte seconda, Verona 1720, p. 19; A.M. Zanetti, Descrizione di tutte le pubbliche pitture della città di Venezia e isole circonvicine, Venezia 1733, pp. 224, 249 s., 290, 297, 304, 350, 355, 455 s.; T. Temanza, Zibaldon (1738), a cura di N. Ivanoff, Venezia-Roma 1963, p. 84; A.M. Zanetti, Della pittura veneziana e delle opere pubbliche de’ veneziani maestri libri V, Venezia 1771, pp. 406 s.; G. Bottari - S. Ticozzi, Raccolta di lettere sulla pittura, scultura ed architettura scritte da più celebri personaggi dei secoli XV, XVI e XVII, IV, Milano 1822, pp. 63 s.; Z. Kalista, Humprecht Jan Černín jako mecenáš a podporovatel výtvarnýk umění v době své benátské ambásady (1660-63) (Humprecht Jan Czernin un mecenate e sostenitore delle arti figurative durante la sua ambasciata veneziana [1660-63]), in Památky archeologické, XXXV (1928-29), p. 74 ; L. Procacci - U. Procacci, Il carteggio di Marco Boschini con il cardinale Leopoldo de’ Medici, in Saggi e memorie di storia dell’arte, IV (1965), pp. 100 s.; G.M. Pilo, P. N., in C. Donzelli - G.M. Pilo, I pittori del Seicento veneto, Firenze 1967, pp. 298-300; E.A. Safarik, P. N., in Saggi e memorie di storia dell’arte, XI (1978), pp. 83-93; F. Zava Boccazzi, Spigolature seicentesche, in Arte veneta, XXXII (1978), pp. 333-340; R. Pallucchini, La pittura veneziana del Seicento, Milano 1981, pp. 258 s.; E. Chini, in Beni culturali nel Trentino. Dipinti su tela: restauri e acquisizioni dal 1979 al 1983 (catal.), Trento 1983, pp. 117-120; B. Aikema, Pietro della Vecchia and the heritage of the Renaissance, Firenze 1990, p. 84; M. Monticelli, N. P., in La pittura nel Veneto. Il Seicento, II, a cura di M. Lucco, Milano 2001, p. 856; M. Favilla - R. Rugolo, Un tenebroso all’opera. Appunti su Antonio Zanchi, in Venezia Arti, XVII-XVIII (2003-04), pp. 64, 66; A. Craievich, Un modelletto di P. N., in Arte in Friuli Arte a Trieste, XXIV (2005), pp. 21-24; C. Ceschi, in La scuola di S. Rocco, a cura di F. Posocco - S. Settis, Modena 2008, p. 237; M. Favilla - R. Rugolo, «Con penna e con pennello»: Simone Brentana e Sebastiano Ricci, in Verona illustrata, XXII (2009), pp. 42 s.; V. Mancini, Sulla giovinezza di Johann Carl Loth «bonissimo pittor», in Arte veneta, LXVI, (2009), pp. 145-150; G. Fossaluzza, Annotazioni e aggiunte al catalogo di P. N., pittore «del chiaro giorno alquanto inimico». Prima parte, in Verona illustrata, XXIII (2010), pp. 71-90; Id., Annotazioni e aggiunte al catalogo di P. Negri... Seconda parte, ibid., XXIV (2011), pp. 109-133; A. Pasian, Federico Cervelli «pittore di buona macchia», in Arte veneta, LXVIII (2011), in corso di stampa.