NENNI, Pietro
NENNI, Pietro. – Nacque a Faenza il 9 febbraio 1891, primogenito di Giuseppe, ex mezzadro impiegato come uomo di fiducia della famiglia padronale dei Ginnasi, e di Angela Castellani, che aveva avuto due figli da un primo marito, defunto.
Nel 1900, quattro anni dopo la morte del padre, a causa delle difficili condizioni economiche della famiglia, fu affidato al locale Collegio degli orfanelli, dove conseguì la licenza tecnica. Uscitovi nel 1910, iniziò a militare nell’estrema sinistra del Partito repubblicano italiano (PRI). Le sue prime esperienze di propagandista si svolsero in Toscana, prima a Massa poi a Piombino e all’Elba durante lo sciopero dell’estate 1911. A Forlì sposò in quell’anno Carmen Emiliani (che gli avrebbe dato quattro figlie: Giuliana, Eva, Vittoria e Luciana), ma non interruppe la sua attività politica: in ottobre, in seguito allo sciopero contro la guerra di Libia, fu arrestato insieme al socialista Benito Mussolini, con cui iniziò un lungo rapporto di amicizia. Uscito dal carcere, all’inizio del 1912, fu eletto segretario nazionale della Federazione giovanile repubblicana, quindi partecipò tra la Romagna e le Marche alle agitazioni della ‘settimana rossa’ del giugno 1914 che lo portarono di nuovo in carcere dove, alla notizia della guerra in Europa, si dichiarò subito a favore della partecipazione dell’Italia al conflitto. Amnistiato alla fine dell’anno, si gettò a capofitto nell’interventismo, collaborando anche con Il Popolo d’Italia di Mussolini.
Arruolatosi volontario nel maggio 1915, fu inviato come caporale sul fronte dell’Isonzo; gravemente ferito, alla fine del 1916 tornò alla vita civile. Diventato direttore del Giornale del mattino di Bologna, iniziò una battaglia contro il disfattismo e l’estremismo dei socialisti filobolscevichi che continuò nel 1919 sul quotidiano milanese Il Secolo, di cui divenne inviato all’estero. Negli stessi mesi aderì ai Fasci di combattimento di Bologna entrando nella giunta direttiva. Presto però si staccò dal nascente fascismo e nel settembre 1920 si dimise dal PRI, avvicinandosi ai socialisti: ne spiegò le ragioni nel volume Lo spettro del comunismo: 1914-1921 (Milano 1921). Trasferitosi a Milano, nel marzo del 1921 fu assunto dal quotidiano del Partito socialista italiano (PSI) Avanti! per poi iscriversi al partito.
Come inviato all’estero dell’Avanti! si trasferì a Parigi, dove entrò in contatto con la sinistra francese e ampliò le sue conoscenze sulla politica europea. Nell’estate del 1922, nominato redattore capo, rientrò a Milano nel pieno della crisi interna al PSI che avrebbe portato in ottobre all’espulsione dell’ala riformista di Filippo Turati e di Giacomo Matteotti, confluiti nel Partito socialista unitario (PSU). Nel caos seguito alla scissione e alla marcia su Roma (28 ottobre), da semplice redattore divenne il direttore di fatto dell’Avanti! in aperta polemica con Giacinto Menotti Serrati. Fu proprio Nenni, all’inizio del 1923, a bloccare il tentativo di Serrati di sciogliere il PSI nel Partito comunista d’Italia (PCd’I). Con questa battaglia, definitivamente vinta al congresso straordinario del PSI tenutosi nell’aprile, Nenni entrò nella direzione del partito e ne divenne subito uno dei capi più conosciuti, se non il più noto. La sua notorietà crebbe dopo l’assassinio di Matteotti (1924), quando al momento della scelta aventiniana cercò di organizzare iniziative di lotta comuni con i socialisti riformisti e i comunisti con l’obiettivo di ricomporre le forze del movimento operaio. La posizione intransigente del PCd’I non consentì la riapertura del dialogo e fallì anche la proposta di riunificazione con il PSU, tanto da costringerlo a dimettersi dalla direzione dell’Avanti! alla fine del 1925.
Con Carlo Rosselli fondò la rivista Il Quarto Stato con l’obiettivo di rinnovare a fondo la cultura antifascista e di promuovere l’unità di tutti i socialisti, un obiettivo che segnò la sua vita politica.
Nello stesso periodo pubblicò uno dei suoi libri più importanti, Storia di quattro anni: la crisi socialista dal 1919 al 1922 (Milano 1927) in cui spiegò l’avvento del fascismo come reazione all’estremismo socialista dell’immediato dopoguerra.
Nell’autunno del 1926, dopo che la sua casa era stata distrutta da un assalto delle camicie nere, decise di emigrare a Parigi, dove riuscì a trovare lavoro nei giornali dell’area radicale e socialista. Raggiunto dalla famiglia nell’agosto 1927, aderì alla Concentrazione antifascista, che raccolse tutte le componenti antifasciste in esilio esclusi i comunisti. Ne divenne segretario, portandola su posizioni favorevoli alla repubblica e continuando a battersi per unificare il socialismo italiano, anzi un nuovo socialismo che andasse al di là del riformismo e del massimalismo, in grado di far convivere la rappresentanza di classe e gli obiettivi rivoluzionari con il rispetto della democrazia e delle libertà: un programma da lui definito di «socialismo democratico rivoluzionario». Finalmente, nel luglio del 1930, ebbe successo: massimalisti e riformisti confluirono nel PSI guidato da Nenni e Giuseppe Saragat.
Furono anni caratterizzati anche da riflessioni e da letture, dalle quali ricavò due volumi di carattere storico, pubblicati in francese a Parigi, Six ans de guerre civile en Italie (1930) e La lutte de classes en Italie (1930) e un opuscolo teorico intitolato Marx e il marxismo (1933).
Al congresso dell’Internazionale operaia e socialista (IOS) dell’agosto 1933 a Parigi, Nenni era ormai una figura di riferimento del socialismo europeo e uno dei capi della corrente di sinistra, favorevole a un patto di azione con l’Internazionale comunista. Si batteva per convincere i compagni europei della minaccia rappresentata dal fascismo italiano, fenomeno che andava ben oltre i confini dell’Italia e che solo una solida unità di classe tra tutti i partiti del movimento operaio internazionale avrebbe potuto sconfiggere. Fu quindi tra i principali fautori del Patto di unità d’azione che i socialisti italiani siglarono nell’agosto 1934 con i comunisti e un entusiasta sostenitore dei fronti popolari proposti dal VII Congresso dell’Internazionale comunista nel 1935.
Come molti, Nenni vide nella guerra civile spagnola il banco di prova dell’unità antifascista. In rappresentanza della IOS si recò, nell’agosto 1936, a Madrid per incontrare il governo spagnolo e stabilire contatti con le prime brigate internazionali di volontari, organizzate da Rosselli. Pur alternando i viaggi a Parigi, restò per diversi mesi in Spagna e si recò anche al fronte, dedicandosi soprattutto al lavoro politico e propagandistico. Alla conferenze della IOS di Londra, nel marzo 1937, non riuscì però a convincere i compagni inglesi e francesi a impegnarsi maggiormente per l’intervento dei loro paesi al fianco della Repubblica spagnola.
Sul neutralismo dei socialisti europei pesava il ruolo dell’Unione Sovietica nel conflitto, convertito dai commissari comunisti in una vera e propria guerra civile dentro la guerra civile contro gli esponenti antifranchisti, anarchici, democratici o comunque non allineati alle direttive di Mosca. Nenni, che pure vedeva con i suoi occhi quanto accadeva, non condannò questi delitti in nome dell’unità antifascista e dell’alleanza con il PCd’I a cui rimaneva fedele malgrado il crescere delle voci di dissenso, in particolare quelle di Angelo Tasca e di Giuseppe Emanuele Modigliani, messi in minoranza al congresso socialista del giugno 1937 grazie a un accordo tra Nenni e Saragat. Sapeva anche molto bene quale fosse la portata del terrore staliniano in Unione Sovietica nel pieno dei processi e delle purghe di cui lui stesso scrisse in una serie di articoli pubblicati sul Nuovo Avanti! nel 1938. Tuttavia credeva che l’unità antifascista potesse incidere sulla dittatura di Stalin tanto da trasformare poco a poco l’Unione Sovietica in una democrazia socialista.
Si spiega in questa luce la sua lealtà al patto di unità d’azione con i comunisti e il suo ingresso proprio nel 1939 nell’Unione popolare italiana, egemonizzata dal PCd’I. Persino il patto Hitler-Stalin, nell’ agosto, pur da lui condannato, non lo portò a mettere in discussione l’alleanza con i comunisti; ma restò solo. Le tesi di Tasca trionfarono nel PSI e Nenni, il 28 agosto, dovette dimettersi dalla segreteria e, se non venne espulso, fu solo per intercessione di Saragat.
Nel giugno 1940, lasciata Parigi ormai accerchiata dalle truppe tedesche, si rifugiò nei Pirenei orientali, a Palalde. L’isolamento durò fino all’anno successivo, quando con l’attacco della Germania all’Unione Sovietica riprese a tessere le fila dell’unità antifascista facendo riapparire, all’inizio del 1942, il Nuovo Avanti!.
Nel marzo venne però arrestato dalla polizia di Vichy e confinato nel Cantal, da dove sarebbe stato facile fuggire per l’America. Decise invece di restare in Francia per seguire da vicino la sorte della figlia Vittoria e del genero, caduti nel luglio nelle mani della Gestapo: una sorte terribile che portò Vittoria a morire nel campo di concentramento di Auschwitz. L’8 febbraio 1943 anche Nenni finì nelle mani delle SS, che lo trasferirono prima a Parigi poi in Germania e da lì in Italia. Dopo una breve permanenza nel carcere di Regina Coeli, fu confinato nell’isola di Ponza. Probabilmente, come si convinse anni dopo egli stesso, sfuggì al tragico destino della figlia per intercessione di Mussolini, che chiese a Hitler di consegnare il suo vecchio amico-nemico alla polizia fascista.
Pochi giorni dopo il crollo del regime fascista, fu liberato dal confino, e il 4 agosto 1943 era già in attività a Roma, primo tra i principali dirigenti socialisti a rientrare in patria. Ripresi i contatti con la base e i quadri rimasti in Italia, ricostruì il partito con il nome di Partito socialista italiano di unità proletaria (PSIUP), di cui assunse la segreteria insieme a Sandro Pertini e Carlo Andreoni. Ebbe anche la direzione dell’Avanti! che usò come cassa di risonanza per una politica mirata a un rinnovato accordo con il Partito comunista italiano (PCI) e all’ingresso del partito nel Comitato di liberazione nazionale (CLN). Nonostante i dubbi della sinistra interna, riuscì a far prevalere il suo programma, basato sulla scelta repubblicana e sul rifiuto di qualsiasi collaborazione con il governo Badoglio.
La ‘svolta di Salerno’ di Palmiro Togliatti (aprile 1944), orientata invece in senso opposto, lo sorprese e lo irritò, ma a malincuore dovette accettare l’ingresso dei socialisti nel governo Badoglio. Ai primi di maggio riuscì tra mille difficoltà a raggiungere Milano per incontrare i capi delle Brigate Matteotti che, come le altre formazioni partigiane delle sinistre, avevano forti dubbi sulla linea di conciliazione con la monarchia e con i moderati decisa dal PCI. Con la liberazione di Roma (giugno 1944) iniziò una serie di viaggi nelle regioni meridionali dove la resistenza armata era stata quasi inesistente. Da qui la sua convinzione di quanto fosse necessario il ‘vento del Nord’ per assicurare un reale risveglio politico dell’Italia e il successo della ‘rivoluzione democratica’. A questo mirava la sua candidatura alla presidenza del Consiglio quando finalmente, il 25 aprile 1945, la guerra finì e le regioni settentrionali furono liberate.
Sul nome di Nenni arrivò immediato il veto di Alcide De Gasperi che a sua volta il segretario del PSI non accettava come capo del governo. Lo stallo si risolse con un accordo a favore di Ferruccio Parri; Nenni divenne vicepresidente del Consiglio, ministro per la Costituente e, nel luglio 1945, presidente dell’Alto commissariato per le sanzioni contro il fascismo, che doveva procedere all’epurazione degli amministratori dello Stato compromessi con il regime: una carica che lo pose nel mirino della stampa conservatrice e di destra, e soprattutto del movimento dell’Uomo qualunque. Quanto al partito, per il momento teneva salda in mano la maggioranza sull’alleanza con il PCI, come confermò il congresso di Firenze dell’aprile 1946 dove mise in minoranza Saragat, sempre più ostile ai comunisti. La vittoria della Repubblica al referendum del 2 giugno 1946 fu una data speciale per Nenni, che nella fede repubblicana era cresciuto; lo deluse invece il risultato delle elezioni per l’Assemblea costituente che avevano decretato la Democrazia cristiana (DC) primo partito e un PCI assai più forte del previsto. Nel governo tripartito nato dopo il voto, assunse il delicatissimo ruolo di ministro degli Esteri.
Il ruolo fu ritenuto non adatto al segretario socialista dagli alleati americani, che chiesero di posticiparne la nomina alla fine della Conferenza di pace. La tensione internazionale USA-URSS era già evidente nell’ottobre 1946 e i riflessi dell’imminente guerra fredda si sarebbero ripercossi sul PSIUP in modo lacerante. Per il momento Nenni non era ospite gradito a Washington, dove nel gennaio 1947 si recò solo De Gasperi. Del resto in quel gennaio il PSIUP era nel pieno della tempesta che portò allo scontro ultimativo tra Nenni e Saragat, alla scissione di palazzo Barberini e alla nascita di due nuovi partiti, il PSI e il Partito socialista dei lavoratori italiani (PSLI). Motivo del contendere sempre l’alleanza con il PCI, con il quale Nenni non intendeva rompere e che anzi seguì all’opposizione quando a primavera entrò in crisi il governo tripartito di unità nazionale antifascista. Convinto che il legame con i comunisti andasse rafforzato, decise anche di presentare liste comuni alle amministrative dell’autunno 1947, preludio del cartello elettorale, il Fronte democratico popolare, con il quale PSI e PCI si presentarono alle elezioni politiche il 18 aprile 1948. Era sicuro di rappresentare agli occhi dell’elettorato la garanzia democratica che i comunisti non potevano dare, ma si rivelò una dura sconfitta. Il PSI crollò da 115 a 42 deputati a tutto vantaggio del PCI, e Nenni perse la direzione del PSI che passò nelle mani degli autonomisti Alberto Jacometti e Riccardo Lombardi. Invano però questi cercarono di rovesciare la linea di Nenni. Troppo forte era l’influenza del PCI sul PSI e troppo deteriorata la situazione in un paese spaccato in due, con una frattura ideologica che era riflesso di una ancor più pericolosa frattura di classe. Dopo pochi mesi, Nenni ottenne di nuovo la maggioranza, in stretta alleanza con Rodolfo Morandi, che organizzò il PSI sul modello leninista del PCI. Malgrado fosse geloso detentore dell’autonomia culturale socialista, con l’esplodere pieno della guerra fredda Nenni si schierò apertamente con Stalin, si batté in prima persona contro l’ingresso dell’Italia del Patto atlantico e nelle lotte dei Partigiani della pace (un’organizzazione guidata da Mosca). Nell’estate del 1952 intraprese anche un lungo viaggio in Unione Sovietica, dove ritirò la più prestigiosa onorificenza del regime sovietico, il premio Stalin, e vi incontrò il dittatore. Persino il suo linguaggio pubblico prese forme e stilemi tipici di quello marxista-leninista.
In privato, come attestano le sue lettere e i suoi diari, non era insensibile alle sollecitazioni di De Gasperi che lo spingeva a rompere con i comunisti. Non era però il momento adatto, nel pieno dello scontro sulla legge di riforma elettorale, la «legge truffa», un termine coniato proprio da Nenni forse dietro suggerimento dello stesso Stalin, che si concluse con le elezioni del 1953 e con una crescita elettorale delle sinistre. Da quella data iniziò un percorso per sottrarsi alla dipendenza dal PCI con una prima apertura di dialogo verso le ‘masse cattoliche’ e con alcuni esponenti di rilievo legati alla Chiesa, tra cui il sindaco di Firenze Giorgio La Pira, con cui stabilì una salda amicizia. L’apertura ai cattolici fu il tema centrale del congresso socialista di Torino, del maggio 1955, anche se il PCI venne ufficialmente rassicurato che l’unità tra i due partiti di classe restava un’acquisizione definitiva. Primo effetto di questa doppia interlocuzione fu, poche settimane dopo, l’elezione alla presidenza della Repubblica, che vide Nenni nel ruolo di tessitore della candidatura vincente del democristiano Giovanni Gronchi, da tempo favorevole all’apertura a sinistra, eletto con i voti socialisti e comunisti.
Il legame col PCI restava dunque solido, come confermò nell’autunno un nuovo viaggio di Nenni in Unione Sovietica (il quarto dalla fine della guerra), da dove si recò in visita a Mao Ze Dong nella Repubblica popolare cinese, da lui esaltata come straordinario esperimento libertario. Ma qualcosa stava cambiando anche in relazione ai rivolgimenti in atto ai vertici del Cremlino. Nel dicembre del 1955 Nenni si dimise da presidente del Comitato per la pace e all’inizio del 1956, quando nel XX Congresso del Partito comunista dell’Unione Sovietica (PCUS) Nikita Chruščëv rese noti al mondo i crimini di Stalin, pur a fronte di prudenti commenti iniziali, sul suo diario Nenni rivelò quanto fosse turbato, tanto da pensare persino a dimettersi. Era venuto il momento di sciogliere l’alleanza con il PCI, ma sapeva di trovare un’opposizione dura nella sinistra filocomunista del suo partito. La riconciliazione con Saragat, sancita dall’incontro a Pralognan in Savoia nell’agosto 1956, apriva la prospettiva della riunificazione dei socialisti; un passo però da tenere segreto e che tale non rimase, creando il previsto scontro interno al PSI. Il 4 ottobre dovette dunque rinnovare l’alleanza con il PCI pur presentandola come un semplice ‘patto di consultazione’. Fu l’intervento sovietico in Ungheria pochi giorni dopo ad accelerare e rendere definitiva la rottura con il PCI, benché nel Congresso nazionale del PSI, svoltosi a Venezia nel febbraio 1957, ad avere la maggioranza fosse ancora la sinistra filocomunista.
Per Nenni l’invasione dell’Ungheria fu un autentico trauma perché non aveva mai smesso di nutrire fiducia nell’Unione Sovietica, ora definitivamente persa, ma capì che era un’occasione preziosa per rompere con il PCI e restituire al PSI piena autonomia politica, oltre che programmatica e culturale. Era rinato il Nenni degli anni Venti, finalmente convinto a non sacrificare la vocazione libertaria e democratica del socialismo al mito della ‘unità di classe’ con i comunisti. Non si può dire che fosse diventato un riformista, né che fosse sulle stesse posizioni dei socialisti tedeschi, che nel 1958 compirono nel congresso di Bad Godesberg una netta revisione del marxismo. Era però convinto che il PSI dovesse uscire dal ‘ghetto’ dell’opposizione e partecipare a un governo con la DC, il Partito socialdemocratico italiano di Saragat (PSDI) e il PRI per introdurre riforme a favore del mondo del lavoro nel pieno del miracolo economico. «Governare lo sviluppo» divenne la parola d’ordine dei socialisti che puntavano sul progetto di Nenni, ancora osteggiati all’interno del partito dalle correnti filocomuniste.
Nel gennaio 1959, al congresso di Napoli, gli autonomisti riuscirono a diventare maggioranza: l’ingresso nell’esecutivo fu preceduto dalla formazione di giunte di centrosinistra dopo le elezioni amministrative del 1961 e poi dall’appoggio esterno al governo di Amintore Fanfani nel febbraio 1962.
Fu un appoggio contrattato sulla base di un programma riformatore che aveva un evidente marchio socialista, a cominciare dalla nazionalizzazione dell’energia elettrica e dalla riforma della scuola. Si avvicinava dunque la prospettiva di arrivare nella mitica «stanza dei bottoni», come Nenni la definì in un discorso dell’ottobre 1962, pensando che le riforme avrebbero convinto i lavoratori e ribaltato le posizioni di forza tra comunisti e socialisti. Insieme ai socialdemocratici, si poteva costruire un terzo polo in cui aggregare i partiti laici, così da diventare nell’immediato paritari alla DC e in un futuro alternativi all’egemonia cattolica. Si dovette però passare per un turno elettorale, quello del 1963, che non si rivelò il successo sperato. Nenni non aveva fatto i conti con la vitalità del PCI e neppure con il massimalismo della stessa base socialista.
Al momento di decidere l’ingresso nel governo, nel giugno 1963, la corrente di Nenni si spaccò e Riccardo Lombardi si oppose. Si dovette quindi attendere l’ottobre, quando il XXXV Congresso nazionale socialista l’approvò, ma al prezzo di una scissione della sinistra filocomunista al momento della costituzione del primo esecutivo di centrosinistra guidato da Aldo Moro e nel quale Nenni ebbe la carica di vicepresidente del Consiglio. La nuova compagine risentiva delle cautele della DC, che cercava di recuperare i consensi a destra, perduti alle ultime elezioni politiche, una cautela che era il contrario di ciò di cui aveva bisogno Nenni per ridare fiducia alle sue correnti di sinistra. Nel giugno 1964 l’esecutivo cadde per uno scontro tra PSI e DC sul finanziamento alle scuole private.
Sul proseguimento dell’esperienza di centrosinistra pesarono le ombre del caso Sifar, da Nenni nei suoi diari definito «tintinnio di sciabole», che lo convinse a fare marcia indietro e a ritessere la tela del centrosinistra. I socialisti dovevano subito trovare un accordo con la DC per salvare la democrazia italiana, e solo in seguito, quando ve ne fosse stata la possibilità, cercare di introdurre riforme, senza tuttavia mettere a rischio l’alleanza con i cattolici.
Nel secondo governo Moro, varato alla fine di luglio, mantenne la carica di vicepresidente e si impegnò a verificare il rispetto di un programma comunque dal marcato carattere riformatore e a dirimere i conflitti che sorgevano tra ministri socialisti e democristiani e soprattutto tra i deputati del PSI e il governo. Anche per questo non volle, nonostante le possibilità di riuscita, candidarsi alla presidenza della Repubblica nel dicembre 1964, facendosi da parte per favorire l’elezione di Saragat. A interessarlo non era infatti tanto l’azione di governo ma l’obiettivo di una grande partito socialista in grado di contenere la crescita del PCI e in prospettiva di assorbirne i voti. Il primo passo era la riunificazione con il PSDI, battaglia in cui mise tutto il suo impegno, nonostante i dubbi consistenti che albergavano anche in molti esponenti a lui vicini. Il disegno giunse comunque a compimento nell’ottobre del 1966 con la riunificazione dei due partiti nel Partito socialista unificato (PSU).
Furono mesi di entusiasmo, anche se funestati, nell’aprile precedente, dalla morte dell’amata moglie Carmen. Ma la riunificazione accentuò i contrasti dei socialisti con la DC, benché Nenni facesse di tutto per impedire la deflagrazione del governo, convinto di dover arrivare alla scadenza naturale della legislatura. Le elezioni politiche del maggio 1968 furono una grande delusione per lui, che ammise di essere stato sconfitto in prima persona. Il mediocre risultato del PSU infatti spinse i socialisti a non partecipare al governo, nonostante il parere di Nenni, e intensificò le tensioni interne tra socialisti e socialdemocratici. Riuscì comunque a convincere il partito a entrare nel primo governo di Mariano Rumor, nel dicembre 1968, di cui fu ministro degli Esteri. Nella sua veste di titolare della Farnesina e di vicepresidente dell’Internazionale socialista si impegnò per il riconoscimento della Repubblica popolare cinese e per la ripresa del processo di integrazione europea. Ma la situazione nel PSU era sempre più incontrollabile e ormai anche le sue posizioni stavano perdendo forza: al Comitato centrale socialista del maggio 1969, si dichiarò favorevole a continuare l’esperienza del governo Rumor, ma fu messo in minoranza. La sconfitta era un segnale chiaro di disfacimento del partito: nel luglio, la componente ex socialdemocratica uscì dal PSU e ricostruì il PSDI. Nenni visse il fallimento dell’unificazione come una sconfitta personale, per cui si dimise da tutte le cariche del partito e, caduto il governo Rumor, non ebbe più alcun incarico di governo e si ritrovò persino in minoranza nel PSI.
Ne approfittò per compiere alcuni viaggi, tra il giugno 1970 e il novembre 1971, in Africa, in Israele su invito del premier Golda Meir, e poi di nuovo in Cina. Un anno di pausa interrotto solo dalla nomina, nel novembre 1970, a senatore a vita. Nel giugno 1971 sembrò per un momento realistica la sua elezione a presidente della Repubblica ma l’opposizione dei repubblicani e dei socialdemocratici fece prevalere Giovanni Leone. L’ultima battaglia politica la riservò a favore del divorzio nella campagna referendaria del maggio 1974.
Gli anni successivi lo videro soprattutto intento a ricostruire storie e memorie: la sua Intervista sul socialismo italiano (Roma-Bari, 1977), una sorta di autobiografia, riscosse un grande successo di vendite. A farlo tornare alla ribalta fu il suo delfino Bettino Craxi che al Comitato centrale del Midas, nel luglio 1976, fu nominato segretario. Era la vittoria degli autonomisti, anche se ad appoggiare Craxi aveva contribuito la sinistra socialista. I giovani si stavano sostituendo ai vecchi; anzi mettevano in discussione l’eredità ricevuta da Nenni e dagli altri padri del PSI, un partito al minimo storico elettorale del 9%. Nenni era ormai anziano e malato, tanto da non poter intervenire al congresso socialista di Torino nel 1978, organizzato dai nuovi dirigenti, al quale inviò un messaggio di pieno sostegno al rinnovamento craxiano. Pochi mesi dopo, di malavoglia, fu il candidato ‘di bandiera’ del PSI per l’elezione del presidente della Repubblica, prima che si giungesse a un accordo sul nome di Pertini. Espresse soprattutto in privato valutazioni preoccupate sullo stato del partito, ma non smise mai di incoraggiare Craxi sulla strada del rilancio socialista.
Morì a Roma il 1° gennaio 1980.
Opere. Oltre a quelle citate: Pagine di diario, Milano 1947; Taccuino 1942, Milano-Roma 1955; Le prospettive del socialismo dopo la destalinizzazione, Torino 1962; Vento del Nord, introduzione di G. Arfé, a cura di D. Zucaro, ibid. 1978; Discorsi parlamentari (1946-1979), Roma 1983; Tempo di guerra fredda: diari 1943-1956, prefazione di G. Tamburrano, a cura di D. Zucaro, Milano 1981; Gli anni del centro-sinistra: diari 1943-1956, prefazione di G. Tamburrano, ibid. 1982; I conti con la storia: diari 1967-1971, prefazione di L. Valiani, a cura di G. Nenni - D. Zucaro, ibid. 1983; P. N. e Aldo Moro: carteggio 1960-1978, a cura di G. Tamburrano, Firenze 1998; Caro compagno. Lettere a Franco Iacono, Venezia 2005.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Direzione generale Pubblica Sicurezza, Divisione affari generali e riservati, Casellario politico centrale, b. 3518; la documentazione su Nenni è diffusa in molti fondi archivistici: Roma, Fondazione Pietro Nenni, Archivio P. N.; Fondazione Bettino Craxi, Archivio Bettino Craxi; Fondazione Lelio e Lisli Basso, Archivio Lelio Basso; Antonio Giolitti; Fondazione Antonio Gramsci, Archivio del Partito comunista italiano; Milano, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, Archivio Angelo Tasca. M.G. D’Angelo Bigelli, P. N.: dalle barricate a Palazzo Madama, Milano 1971; G. Spadolini, N. sul filo della memoria (1949-1980), Firenze 1982; F. Biondi Nalis, La giovinezza politica di P. N., Milano 1983; B. Tobia, P. N. e la politica dell’Internazionale operaia e socialista (1930-1939), in L’Internazionale operaia e socialista tra le due guerre, a cura di E. Collotti, Milano 1985; G. Tamburrano, P. N., Roma-Bari 1987; E. Santarelli, P. N., Torino 1988; Socialismo e democrazia nella lotta antifascista 1927-1939. Dalle carte N. e dagli archivi di “Giustizia e Libertà” e del Partito comunista italiano, a cura di D. Zucaro, Milano 1988; L. Rapone, Da Turati a N.: il socialismo italiano negli anni del fascismo, Milano 1992; L. Cafagna, Una strana disfatta. La parabola dell’autonomismo socialista, Venezia 1996; V. Zaslavsky, Lo stalinismo e il Partito socialista italiano, in Id., Lo stalinismo e la sinistra italiana. Dal mito dell’URSS alla fine del comunismo, 1945-1991, Milano 2004, pp. 151-185; N. trent’anni dopo, Venezia 2009; G. Scirocco, Politique d’abord. Il Psi, la guerra fredda e la politica internazionale (1948-1957), Milano 2010.