NOVELLI, Pietro
NOVELLI, Pietro. – Nacque a Monreale il 2 marzo 1603 dal pittore Pietro Antonio e da Angela Balsano.
Difficile valutare il ruolo che Pietro Antonio Novelli (n. Monreale 1568) ebbe nella prima formazione del figlio a causa del mancato reperimento sia di sue opere mature sia di opere giovanili di Pietro. Di lui è noto un soggiorno a Roma, dove risulta documentato nel 1593 e nel 1594 (Vodret, 2001), dal quale era già rientrato nel 1595 per ricoprire la carica di «Capo maestro del Duomo» di Monreale (Giuliana Alajmo, 1947) e contrarre matrimonio. Immediatamente successiva al suo rientro si ritiene la tela con S. Castrense e il vescovo Ludovico II Torres in cattedrale, citata nel 1602 – ma senza esplicito riferimento alla mano del pittore – nel contratto di commissione di una Madonna del popolo. Un certo aggiornamento e qualche ascendenza romana dell’opera non si rintracciano nella restante produzione di Pietro Antonio, «pittore d’un disegno corretto, sebbene alquanto secco» (Gallo, 1830, p. 7), che ripropose un formulario ancora legato al tardo manierismo siciliano, ben evidente nelle opere documentate ai primi anni del Seicento: la Madonna del Carmine e santi (chiesa del Carmine), firmata e datata 1602, e il S. Antonio abate del 1603 nella chiesa omonima, attardato sul fortunato modello del santo in trono con storie della vita ai lati. Un precedente per i futuri lavori del figlio a Piana degli Albanesi costituì la commissione del 1604 di perduti affreschi per la chiesa di S. Giorgio e del Battesimo di Cristo (collegio di Maria). Rientrato a Monreale, il 15 aprile 1606 ottenne l’incarico di restaurare i mosaici della cattedrale a stucco e finto mosaico. Dopo la realizzazione, su commissione del 1612, della Madonna Odigitria nell’omonima chiesa di Piana degli Albanesi, è documentato a Palermo dal 1613 (Mendola, 1999A e B), avendo ottenuto la cittadinanza a seguito delle seconde nozze contratte con una palermitana nel 1608. A questi anni risalgono alcune commissioni di quadri identici per soggetto e tecnica: la Madonna delle Grazie a olio sopra «balata di genua» (lavagna). Realizzati in gran numero tra 1614 e 1616 – almeno 40 secondo documenti recentemente rintracciati (Sportaro, 2010, p. 42) – erano la fortunata produzione seriale di una bottega in cui risultano documentati un buon numero di garzoni e lavoranti (Millunzi, 1911; 1912). Nel 1617 eseguì finti mosaici nella chiesa benedettina dello Spirito Santo a Palermo, prima del rientro in autunno a Monreale (Mendola, 1999 B), dove morì di peste il 6 maggio 1625.
Nulla è noto circa la prima formazione di Pietro fino al 1622 quando la sua attività di pittore è documentata dalla realizzazione, a saldo di un debito, di dodici Storie di Giuseppe il Giusto (Mendola, 1999A) e dalla collaborazione con il padre alla decorazione dell’arco trionfale del Cassero, apparato effimero richiesto dai gesuiti del collegio Massimo. Nel 1623 sposò la palermitana Costanza de Adamo.
Fu forse in quegli gli anni che frequentò la casa di Carlo Maria Ventimiglia, matematico, collezionista e antiquario, principe dell’accademia dei Riaccesi (Bertini, 1827; Gallo, 1830), stringendo legami con la cultura delle accademie (V. Abbate, in P. N. e il suo ambiente, 1990). Documentato è l’incarico dell’aprile 1625 per la realizzazione dell’arco della Nazione catalana per il festino di s. Rosalia, riprodotto nella Relazione delle feste in Palermo nel MDCXXV…, pubblicata nel 1651 da Filippo Paruta. Ancora ad apparati effimeri lavorò su incarico del senato di Palermo del dicembre successivo decorando l’arco trionfale per l’ingresso del nuovo viceré marchese di Tavora, su disegno di Mariano Smiriglio (Mendola, 1999A). Una serie di commissioni, acconti, consegne e saldi di opere purtroppo non rintracciate giunse in quegli anni al pittore e alla sua bottega, già documentata nel 1625, con tele legate per iconografia alla nuova patrona Rosalia, protettrice contro la peste che aveva colpito la città (tra le quali una saldata nel 1627 dal duca Francesco Branciforti) e lavori a finto mosaico, tecnica in cui era specializzato il padre, realizzati nel 1626 nella grotta di S. Rosalia a Monte Pellegrino.
Permane la carenza di opere giovanili, nonostante il tentativo, che non ha trovato consensi unanimi, di riconoscere nel S. Antonio abate dell’omonima chiesa palermitana l’opera citata in un documento di commissione del 1626 (Giuliana Alajmo, 1948) e l’identificazione, incerta per ragioni stilistiche e per la mancata corrispondenza delle misure, di un’Immacolata, commissionata nel 1627, con quella oggi al museo civico di Termini Imerese.
Precedenti il 1630 sono alcuni affreschi la cui cronologia non è documentata ma che rivelano una prima influenza della presenza – tra 1624 e 1625 – di Van Dyck a Palermo e qualche contatto con i pittori genovesi e fiamminghi attivi intorno al Venti tra l’oratorio di S. Stefano e quello del Rosario in S. Domenico (Scuderi, 1984; 1987). Solo tracce rimangono delle Storie del Nuovo Testamento nella cappella di villa Valdina a Santa Flavia, di un pacato classicismo che torna nella Adorazione dei pastori (Galleria regionale della Sicilia), affresco staccato dalla volta della chiesa dei Pollaioli, i cui rimandi a Van Dyck e alla sua Madonna del Rosario,inviata da Genova prima del 1628 all’oratorio del Rosario in S. Domenico, collimano con la collocazione dell’affresco sullo scorcio degli anni Venti, valida anche per i frammenti provenienti dalla volta dell’oratorio dei falegnami della chiesa dei Teatini (Galleria regionale della Sicilia).
La prima tela documentata, rintracciata grazie alla presenza del monogramma del pittore (D. Pescarmona, in P. N. e il suo ambiente, 1990) risale al 1629 (Mendola, 1999B), quando un gruppo di lombardi residenti a Palermo gli richiese la S. Rosalia e l’Immacolata che intercedono contro la peste da inviare nella chiesa di S. Giacomo a Livo (Como): l’opera è costruita su figure solide ma di ascendenza vandyckiana, pur con qualche richiamo, nella Trinità, a un formulario ben affermato nelle botteghe siciliane tra fine Cinquecento e primo Seicento.
Uno stacco sembra interporsi tra la scarna produzione nota degli anni Venti e il dinamismo del sapiente scorcio del Daniele nella fossa dei leoni affrescato nel refettorio dell’abazia di S. Martino delle Scale, riferito al 1629 in base a una notizia della Chronica del monastero, forse imprecisa dato che maestranze risultano attive nel vano ancora nel dicembre 1630 (Mendola, 1999B). Il problema non è posto tanto dalla cronologia dell’affresco quanto dal rapporto che questo instaura con le date di un viaggio che i biografi, a partire da Agostino Gallo, hanno voluto collocare tra 1631 e 1632 con destinazione Roma e Napoli, sebbene a un allontanamento del pittore facesse già riferimento Francesco Baronio (1630). Lo spostamento è parso tardivo ad alcuni studiosi che hanno proposto di anticipare il viaggio a Roma al 1625 (M.G. Paolini, in P. N. e il suo ambiente, 1990) oppure a Genova e Roma tra 1624 e 1625 (Bonaccorso, 1988), in periodi in cui però Novelli è risultato, più recentemente, documentato a Palermo (Mendola, 1999A e B). Vuoti documentari di qualche mese permangono nell’estate del 1627 e nel 1628, dopo la nascita della figlia Rosalia – anche lei futura pittrice – il 1° febbraio, mentre si abbrevia di poco il successivo silenzio delle fonti (già evidenziato in M.G. Paolini, in P. N. e il suo ambiente,1990) che va dall’ottobre 1628 al febbraio 1629. Più estesa è la lacuna tra il maggio 1629 e il 18 gennaio 1630, lasso in cui è probabile abbia compiuto l’ipotizzato viaggio a Roma, per poi riversare nell’«arditissima idea» (Gallo, 1830, p. 12) del Daniele quanto si andava sperimentando in tal senso sulle volte romane.
Una riflessione sulle esperienze dei pittori attivi a Roma, con rimandi a Guercino e Simon Vouet, insieme a sperimentazioni sullo scorcio, si rintraccia nel S. Sebastiano curato da s. Irene, proveniente dalle raccolte di Maffeo Barberini (Roma, Direzione generale INPS), attribuzione (Bologna, 1991) generalmente accolta cui è stato ricollegato l’originario pendant con Caino e Abele (Roma, Galleria d’arte antica di Palazzo Barberini), con una proposta di datazione al periodo romano, situato nel 1628 o nel corso del 1630, e una solo ipotetica committenza Barberini (Vodret, 1999; 2001).
Problematica si è rivelata la collocazione rispetto al viaggio a Roma del ciclo di affreschi in S. Francesco d’Assisi a Palermo, di cui restano solo alcuni riquadri staccati (ivi e Galleria regionale della Sicilia). Il giudizio encomiastico espresso da Baronio (1630) sulle pitture della chiesa comporta che dovessero essere almeno in parte affrescate a quella data. La presenza di disegni riferibili al ciclo sugli stessi fogli con studi per il Daniele ne confermerebbe la coeva esecuzione, da scindere secondo molti in due momenti diversi, a cavaliere del viaggio.
Nel maggio 1630 divenne confrate dell’oratorio del Rosario in S. Domenico dove realizzò, forse nello stesso anno e con evidenti influssi della pala di Van Dyck sull’altare dello stesso oratorio, l’affresco della volta con l’Incoronazione della Vergine, che dovrebbe pur di poco seguire il ciclo di S. Francesco non essendo ricordato in Baronio (1630). I rapporti con i gesuiti, documentati nella primissima attività insieme al padre, si rinsaldarono nel 1630, quando il suo nome compare nell’atto di commissione degli stucchi della cappella delle Missioni del loro collegio, la cui volta ospita un Cristo di dubbia autografia.
Oltre che negli affreschi, un aggiornamento ai fatti artistici romani si rivela in un dipinto documentato al 1630 (Matranga, 1907): l’Apparizione della Vergine a s. Andrea Corsini del Carmine che concilia influenze vandyckiane, ascendenze di caravaggismo romano nella prepotente «fisicità» della Madonna (M.G. Paolini, in P. N. e il suo ambiente, 1990, p. 188), componenti guerciniane e schemi lanfranchiani, nonché primi influssi ribereschi nel santo. Il problema di una precoce influenza di Ribera è stato negli ultimi tempi affrontato alla luce delle inedite notizie sulla presenza di opere dello spagnolo in casa Moncada a Palermo già prima del 1629 (Abbate, 2006; Mancuso, 2006) che contribuisce a spiegare la tensione naturalistica dei santi novelleschi, presente anche nella vandyckiana Madonna con Bambino, s. Ignazio e s. Francesco Saverio (cattedrale), di datazione incerta ma precedente il 1636.
Altre opere documentate o databili alla prima metà degli anni Trenta impongono però una conoscenza più estesa sia delle opere di Ribera sia degli esiti del caravaggismo in area napoletana, con la conseguente ripresa dell’ipotesi di un soggiorno a Napoli. Il Miracolo di s. Francesco Saverio del Gesù Nuovo, unanimemente riconosciuto a Novelli (Bologna, 1958), non documenta in sé un soggiorno partenopeo pur rendendolo più probabile e sembra riferibile a una committenza da parte del nobile siciliano Antonio Moncada, in quegli anni a Napoli per entrare proprio nella compagnia di Gesù (Abbate, 2006).
L’ipotesi, generalmente accolta, di una collocazione del viaggio tra 1631 e 1632 può essere meglio precisata. Novelli compare in realtà nei documenti palermitani nel corso di tutto il 1631 con margini alquanto stretti le cui maglie si allargano tra 7 maggio e 26 novembre 1632 (Mendola, 1999A), dove cade pure una esplicita assenza del pittore attestata da una procura in ottobre. Il non breve periodo coinciderebbe peraltro con quello di permanenza a Caserta dei Moncada e Alcalà, alla cui corte in febbraio e marzo è documentato Ribera, con la suggestiva ricomparsa di Novelli a Palermo proprio all’indomani dell’entrata del viceré duca di Alcalà il 25 novembre 1632 (Abbate, 2006). Soluzioni riberesche e affinità con il dipinto napoletano, oltre che ricordi di Valentin de Boulogne, sono state rintracciate nel Martirio di s. Lorenzo (Galleria regionale della Sicilia) e in varie tele attribuite e ricondotte ai primi anni Trenta, tra cui: David con la testa di Golia (Ginevra, Musée d’art et d’histoire); S. Giovanni evangelista (Barcellona, coll. priv.); altra versione del David (Malibu, J.P. Getty Museum); S. Paolo (Napoli, Capodimonte); S. Giovanni Battista (Catania, Museo civico di Castello Ursino).
Se Novelli ebbe una determinante influenza sulla via intrapresa nel quarto decennio dai pittori attivi a Napoli, introducendo «moventi fiammingo-vandyckiani che […] determinarono la svolta pittoricistica e in sostanza la crisi del naturalismo» (Bologna, 1991, p. 175, n. 180), la conoscenza di Ribera, e più in generale dell’ambiente napoletano dei primissimi anni Trenta, con influssi da Battistello Caracciolo, Massimo Stanzione, Andrea Vaccaro e Artemisia Gentileschi già individuati da Alfred Moir (1967), ma anche Filippo Vitale, emerge prepotente nelle successive opere documentate. Già Gallo individuava un’«imitazione caravaggesca» per il «partito di chiaro-scuro» (1830, p. 24) nel S. Pietro liberato dal carcere (Galleria regionale della Sicilia) del 1634, ancora più evidente nella Giuditta e Oloferne (Napoli, Palazzo Reale) e percepibile anche nella sua mai trascurata attività di frescante.
Deciso piglio naturalistico, in un’accentuazione delle ombreggiature, presentano alcune figure sui frammenti dei «poderosi affreschi» (Mauceri, 1909, p. 385) del Paradiso (Galleria regionale della Sicilia) realizzati nel cortile di Palazzo Sclafani tra settembre 1633 e giugno 1634, come certa «gagliardia delle ombre» Gallo (1830, p. 20) rintracciava anche in quelli, forse di poco successivi, con Ascensione di Cristo e Storie francescane in S. Maria di Monte Oliveto.
La data 1634 sembra riportasse la Madonna con bambino e i ss. Benedetto e Scolastica della chiesa dell’abazia di S. Martino delle Scale, apprezzata sintesi delle diverse componenti del fare di Novelli, che vi mostrò tutta la sua capacità di coniugare istanze classiche, morbidezze vandyckiane e indagine realistica.
Compensano la perdita degli affreschi in S. Maria del Cancelliere, noti attraverso fotografie e documentati al 1635 (Mendola, 1999A), le due grandi tele con S. Benedetto che distribuisce la regola per la chiesa dell’abazia di S. Martino delle Scale, datata 1635, «tangibile prova di grande abilità compositiva e pittorica tra i bolognesi, Ribera e Van Dyck» (V. Abbate, in P. N. e il suo ambiente, 1990, p. 222), e S. Benedetto che distribuisce i pani (Galleria regionale della Sicilia) per il monastero benedettino di Monreale, opera «interely terrestrial» (Moir, 1967, p. 193) dal marcato naturalismo.
Ben documentata è questa fase matura dell’attività di Novelli che prima del 17 maggio 1636 aveva posto sull’altare della chiesa di S. Nicolò da Tolentino l’Incoronazione di s. Casimiro (Galleria regionale della Sicilia), commissionata da Stefania Aragona, duchessa di Terranova, e si obbligò a consegnare nel luglio 1636 l’Assunzione della Vergine per la chiesa dei Cappuccini di Ragusa, commissionata, insieme ai due laterali, il 30 ottobre 1635 da Nicolò Placido Branciforti. I ripetuti contatti con la famiglia sfociarono nella realizzazione dell’Elezione di Mattia all’apostolato della chiesa dei Cappuccini di Leonforte, collocata tra 1635 e 1640, che sembra tendere per «la forza chiaroscurale ed il realismo analitico» (Di Stefano [1939], 1989, p. 31) più verso le opere della metà degli anni Trenta.
Mancano indicazioni cronologiche anche per altri dipinti riconducibili allo stesso periodo: la Consegna del cordiglio a s. Luigi re di Francia in S. Maria di Monte Oliveto; il S. Francesco di Paola proveniente dalla cattedrale (Museo diocesano); la S. Rosalia protettrice contro la peste della collegiata dei Ss. Nazario e Celso di Castiglione delle Stiviere (Mantova), attribuita al pittore (Mazza, 1993). Prive di appigli documentari rimangono pure numerose tele che gli studiosi hanno riferito alla seconda metà degli anni Trenta, tra le quali: la S. Rosalia della Gemäldegalerie di Vienna posta da Wolfgang Prohaska (comunicazione a V. Abbate, in P. N. e il suo ambiente,1990) intorno al 1636; La Trinità che invia l’angelo Gabriele alla Vergine (Napoli, Capodimonte); quella al museo di Budapest (Czobor, 1964); la Madonna delle grazie con i ss. Rosalia e Giovanni Battista proveniente dall’oratorio della compagnia del Ponticello, collocata intorno al 1637.
I tenui rimandi a esempi del classicismo barocco romano di alcune di queste opere furono interesse precipuo di Novelli negli affreschi delle sale Montalto in palazzo dei Normanni, commissione del 1636 del presidente del Regno Luigi Guglielmo Moncada attestata da pagamenti del 1637 al pittore, che dispose figure allegoriche sulle volte ed episodi, quasi totalmente perduti, della storia della famiglia sulle pareti. Probabilmente a questa fase è da ricondurre l’accademico Apollo uccide Coronide di collezione privata romana (S. Schütze, in P. N. e il suo ambiente, 1990), specchio di un interesse per soggetti mitologici diffusamente ricordati da Gallo che, tra le opere rintracciate, emerge soltanto nella Gara musicale tra Apollo e Marsia (Caen, Musée des Beaux-arts), attribuita al pittore.
Il 20 settembre 1636 ottenne la carica di ingegnere e architetto del senato di Palermo per ricoprire poi, a partire dal 1643, quella di ingegnere del Regno (Millunzi, 1911; 1912) su nomina del viceré conte di Cabrera, per la cui entrata a Palermo realizzò l’arco trionfale nel 1641.
Di ispirazione dichiaratamente classicista è l’Angelo custode per il vescovo Pietro Corsetto di Cefalù (cattedrale), ricordato nell’iscrizione con data 1638, replicato, con lievi varianti e forse con aiuti, in una tela a Monreale (Museo diocesano) richiesta nel 1640 (ibidem). Agli stessi anni è stato ricondotto, per un documento di pagamento del 1639, il Miracolo di s. Filippo d’Argirò in Casa Professa, dai palesi rinvii alle opere dei caravaggeschi francesi a Roma negli anni Venti più che rimandi a Ribera (V. Scuderi, in P. N. e il suo ambiente, 1990). Non sembra collimare con questi caratteri, e ancora meno con le venature classicheggianti delle opere documentate del periodo, la grande tela con i Ss. eremiti, «forse il più riberiano» (Di Stefano [1939], 1989, p. 35) dei suoi dipinti, ritenuto pendant del S. Filippo perché posto nella stessa cappella, sebbene manchi una coincidenza delle misure, e collocato nello stesso torno d’anni pur con qualche velata perplessità data dall’assoluta adesione alla pittura di verità di Ribera che dovrebbe indurre a ricondurlo a una fase di più aperta influenza napoletana, alla luce delle affinità con il S. Benedetto che distribuisce i pani per composizione, indagine fisiognomica, scelte cromatiche e riproposte dei tipi delle figure. Ai Ss. eremiti sono da accostare alcune opere di marcata ascendenza riberesca, come il Mosè e una Testa di vecchio (Galleria regionale della Sicilia). Oscillanti le collocazioni cronologiche proposte per due Ss. martiri (Galleria regionale della Sicilia) di intenso realismo e il S. Cristoforo di Catania (Museo civico di Castello Ursino).
Tra 1639 e 1640 Novelli lavorò nuovamente a palazzo dei Normanni al ciclo di affreschi nella cappella dei Viceré con Storie della vita di s. Francesco e s. Antonio (Galleria regionale della Sicilia), realizzato con aiuti e in parte perduto. Ai primissimi anni Quaranta si fa risalire la S. Agata visitata da s. Pietro in carcere di Pommers-felden ricondotta a Novelli da Roberto Longhi (1922) insieme al Lot in fuga da Sodoma del monastero di S. Lorenzo all’Escorial a Madrid. Permane il rimando al naturalismo napoletano ricomposto in schemi studiati nelle tele dell’oratorio del Rosario in S. Domenico, con la Pentecoste ela Disputa di Gesù fra i dottori, e nella Madonna del Carmelo e santi (Palermo, Museo diocesano), saldata nel 1642. Il recupero classicista si fece più esplicito nella aperta ripresa di Domenichino nella Comunione di s. Maria Maddalena (Galleria regionale della Sicilia) documentata al 1642, cui si accosta, anche per provenienza, la composta Presentazione della Vergine al tempio (Galleria regionale della Sicilia).
Grande capacità di assimilare le novità Novelli continuò a dimostrare con l’inserimento di elementi cortoneschi nel Martirio di s. Orsola, commissionato nel 1642 per l’omonima chiesa, per poi ritornare a soluzioni lanfranchiane negli affreschi, parzialmente ridipinti, della cappella di S. Anna a Casa Professa, per i quali ricevette varie somme nel 1644, quando concluse pure, con richiami a Reni e Domenichino, gli affreschi del presbiterio nella cattedrale di Piana degli Albanesi, avviati nell’ottobre 1641, in esecuzione delle volontà testamentarie del chierico Lorenzo Petta. Per analogie con tali affreschi sono stati ricondotti a queste date la Resurrezione di Cristo del Prado e l’Annunciazione (Galleria regionale della Sicilia) in origine in Casa Professa.
L’incarico di architetto del regno impose spostamenti nel Messinese, cui seguirono nuove commissioni come documentano un contratto del 6 ottobre 1643 per affreschi, probabilmente nemmeno avviati, del coro della cattedrale di Messina e il S. Biagio che intercede per le anime purganti firmato e datato 1645 nella cattedrale di Santa Lucia del Mela. I probabili contatti con la scuola messinese rafforzarono in Novelli le aspirazioni classiciste, manifeste ancora negli ultimi anni nelle due tele di S. Matteo a Palermo con lo Sposalizio della Vergine, datato 1647, e la Presentazione al tempio, riconducibile allo stesso anno, dove permangono ricordi delle esperienze napoletane e affinità con Ribera che nello stesso anno firmava il S. Simeone con Gesù bambino della collezione messinese dei Ruffo (Madrid, coll. priv.), tanto simile al sacerdote di Novelli.
Morì a Palermo il 27 agosto 1647 a causa di una ferita infertagli durante la rivolta antispagnola capeggiata da Giuseppe d’Alesi.
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