ODESCALCHI, Pietro
ODESCALCHI, Pietro. – Nacque a Roma il 1° febbraio 1789, sesto dei nove figli di Baldassarre duca del Sirmio e della principessa Caterina Giustiniani.
Gli Odescalchi erano una delle maggiori casate della nobiltà romana, annoverando fra le loro fila un papa, Innocenzo XI, vescovi e cardinali. Emigrata negli anni ‘giacobini’, la famiglia era stata, tuttavia, grande protagonista del clima culturale del Settecento pontificio, dominato dal mecenatismo cardinalizio e nobiliare, dalle sue istituzioni accademiche e soprattutto dall’Arcadia. In particolare Baldassarre, rinomato erudito, era stato fra i principali promotori di salotti e intrattenimenti accademici, fornendo protezione nel grande palazzo di piazza Ss. Apostoli a numerosi intellettuali.
In linea con i codici cortigiani e aristocratici, il giovane Odescalchi fu educato da precettori privati, fra cui il filosofo Vincenzo Saroni e il matematico Andrea Conti, in una visione non specialistica del sapere. Nel quadro di tale formazione enciclopedica manifestò però una rapida predilezione per l’erudizione letteraria, come mostrano i primi componimenti, fra cui non mancarono perfino tentativi di cimentarsi con il genere nuovo del romanzo.
Nel 1811 fu costretto a recarsi a Parigi: destinato a essere arruolato nella Grande Armée, riuscì a ottenere un posto da auditore del Consiglio di Stato e, richiamato per assistere la madre morente, fu distaccato a Roma al servizio del prefetto Camille de Tournon. Al ritorno dalla parentesi francese, attraverso il padre fu presto introdotto nel mondo delle accademie romane. In particolare, si ritagliò un ruolo di protagonista nella nuova Accademia Tiberina, costituita nel 1813 per ribadire, al declinare del dominio napoleonico, la centralità delle lettere nella cultura di Roma. Se già fra il 1815 ed il 1816 promosse da presidente una riforma del sodalizio, che ne rafforzava il legame con la curia, nel clima pacificato della Restaurazione ebbe modo di assecondare definitivamente la sua passione per le lettere.
Fondamentale per la sua formazione risultò nel 1818 l’incontro con Giulio Perticari, che contribuì a esercitare su di lui un notevole influsso e a debellare, come rievocò in più occasioni, ogni traccia di quei cedimenti giovanili verso le innovazioni letterarie del secolo. Proprio su impulso del letterato romagnolo, nel 1819 fu, con eruditi come Salvatore Betti e Luigi Biondi, tra i fondatori, nonché il principale finanziatore, del Giornale arcadico, chiamato a fare argine al «cattivo gusto» proveniente soprattutto dai tanti libri stranieri, destinati a circolare copiosamente nella penisola con il formarsi del mercato ottocentesco delle lettere.
In quel processo di frattura fra una letteratura essenzialmente evasiva (e di pura erudizione) e una letteratura come missione utile e civile che rappresentava una delle grandi linee di trasformazione del Sette-Ottocento letterario, uomini come Odescalchi non oltrepassarono mai il limite della prima. Egli restò fortemente ancorato a un classicismo di Antico Regime e confinato in una dimensione culturale opaca, che, sebbene non militante come quella esplicitamente reazionaria e controrivoluzionaria, nei suoi motivi di fondo non si collocava certo all’opposizione dei governi della Restaurazione.
Nell’Italia del tempo il Giornale arcadico si impose come uno dei punti di riferimento delle polemiche sulla lingua e sulla funzione della letteratura italiana. Il fallito tentativo nel febbraio 1820 da parte di Odescalchi di coinvolgervi Giacomo Leopardi, che preferì collaborare con le concorrenti Effemeridi letterarie, culturalmente più vivaci ma meno diffuse, è la testimonianza di quanto fin dai suoi presupposti il periodico fosse incline a un attardato classicismo e distante dai motivi illuministici del poeta recanatese.
Già nel primo anno di pubblicazione, Odescalchi entrò nel vivo delle polemiche con un commento alla Littérature du Midi del Sismondi (Della vera definizione del Romanticismo, del sig. S. S., traduzione dal francese di D. M., in Giornale arcadico, IV, pp. 324-334), in cui sosteneva una difesa integrale delle ragioni dei classici contro la nuova scuola romantica.
Nei primi anni Venti, lavorando sul ritrovamento fatto da Angelo Mai nella Biblioteca Vaticana, si cimentò sulla volgarizzazione del De republica di Cicerone (I frammenti de’ sei libri della Repubblica di Marco Tullio Cicerone volgarizzati dal principe D. P. O., Roma 1826): espressione di uno sforzo di erudizione notevole, ma acritico nell’interpretazione del testo e nel recepire il messaggio politico dello scrittore dell’antica Roma, l’opera fu comunque la più conosciuta di Odescalchi, come testimoniato dalle tre edizioni nel giro di pochi mesi.
La sua capacità di divenire punto di incontro delle posizioni antiromantiche, e più in generale di tutto un ampio mondo culturale neoarcadico, si espresse, oltre che nella divulgazione dei classici e nell’esperienza del Giornale arcadico, che diresse ininterrottamente per 37 anni pubblicandovi con regolarità articoli di varia erudizione, anche in una notevole attività di organizzatore culturale: un’attività testimoniata da un vastissimo intreccio di relazioni fatto di corrispondenze con letterati di tutta Italia (fra cui Ippolito Pindemonte, Vincenzo Monti, Giovanni Battista Pianciani, Giovanni Rosini), di collaborazione alla redazione di molti altri giornali del proprio campo e di membro delle più diverse e mai spente accademie della penisola e della scena romana. In particolare, nella città eterna, accanto al ricordato ruolo nella Tiberina o alla partecipazione all’Arcadia come Mirtillo Linceo, fu presidente della Pontificia Accademia romana di archeologia dal 1839 al 1846 e dal 1851 al 1856, incarnando a pieno la tradizione antiquaria della cultura ottocentesca romana.
Questo suo ruolo di organizzatore culturale esemplifica peraltro quanto la cultura tradizionale che rappresentava non fu priva di una sua partecipazione al moto della modernità ottocentesca; per far passare e veicolare contenuti tradizionali non mancò, infatti, di far uso di quegli strumenti (cataloghi di biblioteche circolanti, gabinetti di lettura, recensioni) o di coltivare il rapporto con realtà e luoghi (come per esempio il Gabinetto fiorentino di Giovan Pietro Vieusseux) propri del nuovo mercato delle lettere e di una nascente sfera pubblica borghese, amplificando così la sua capacità di diffusione nella penisola della Restaurazione.
Nel 1838 si unì in matrimonio con la nobildonna Carolina Folo, vedova con tre figli del defunto conte Melchiorre della Porta. In quello stesso periodo divenne socio anche di quell’Accademia di religione cattolica di Roma, che fin dalla sua nascita nel 1800 si era imposta come baluardo del cattolicesimo controrivoluzionario, mentre già dai primi anni Venti lo era dell’Amicizia cattolica. Nel 1836 si profuse in Arcadia in un lungo Elogio del cardinale D. Placido Zurla (Roma 1836), vicario per la diocesi di Roma e campione del tomismo e dello zelantismo. In questo elogio esaltava tuttavia, ancor più che l’intransigente apologeta, lo Zurla protettore delle lettere, della conoscenza e degli studi.
Oltre che alla tradizione familiare (il padre e il fratello-cardinale Carlo erano iscritti della prima ora all’Accademia cattolica), questi innegabili legami con il cattolicesimo militante vanno, infatti, ricondotti a un’altra dimensione propria di quel mondo classicista cui Odescalchi apparteneva. Le forti ascendenze d’Antico Regime e la filiazione arcadica e accademica alimentavano un sentimento cattolico e curiale che non derivava necessariamente da uno spiccato ultramontanismo, ovvero dall’adesione alla cultura religiosa intransigente perfezionatasi fra ‘rivoluzione’ e ‘restaurazione’, ma dal continuare a identificare nella Roma cattolica, sulla scia del perdurante attaccamento alla tradizione barocca e controriformistica, il mito della vocazione universalistica dell’Urbe quale centro internazionale non di solo formazione del clero, ma di ‘capitale’ della cultura e di faro della civiltà del sapere.
Nel frattempo, per il prestigio del suo casato e per la sua personale influenza rivestì nell’alternarsi dei pontefici anche rilevanti ruoli pubblici. Se già Pio VII nel 1817 lo aveva posto a capo dell’ospedale di S. Gallicano, Leone XII lo nominò fra i deputati alla Cassa di ammortizzazione, gli affidò la direzione della nuova Casa di correzione per i minori e lo coinvolse nei progetti di riforma universitaria in senso accentratore promossi con la svolta zelante assegnandogli la presidenza del collegio filologico dell’Università. Sotto Gregorio XVI fu uno dei consultori della Comarca, vicepresidente della commissione de’ Lavori pubblici di beneficenza e, dal 1833, rivestì il delicato incarico di commissario pontificio della nuova Banca romana.
Ebbe il momento di maggiore visibilità nelle vicende politiche negli anni delle riforme di Pio IX. Dopo essere stato chiamato a far parte della nuova Consulta di Stato, con la svolta costituzionale del 1848 fu nominato senatore. Il suo impegno si intensificò nel periodo della difficile transizione tra la fuga del papa a Gaeta e il suo definitivo ritorno a Roma. In particolare, dopo l’arrivo in città delle truppe francesi, accettò il gravoso compito di presiedere dal luglio 1849 la Commissione provvisoria municipale. In tale veste guidò a Portici la deputazione che chiese il rientro a Roma di Pio IX, allo scopo di mitigare gli eccessi del cosiddetto ‘triumvirato rosso’; e per 20 mesi svolse l’incarico al vertice del municipio ricercando un difficoltoso equilibrio fra le richieste transalpine, le componenti liberal-moderate e la fazione convintamene restauratrice.
Al suo ritorno, Pio IX lo inserì nel riformato Consiglio di Stato, ma dopo quella fase di attivismo politico Odescalchi tornò pienamente alle sue occupazioni accademiche e letterarie. In particolare, accanto all’impegno per il suo giornale, si dedicò all’ennesimo rilancio dell’Accademia dei Lincei, di cui fu presidente dal 1850.
Morì a Roma il 15 aprile 1856.
Opere: oltre a quelle citate, sono da ricordare: Prose scelte, Milano 1828 (che raccoglievano articoli apparsi sul Giornale arcadico); Necrologia del padre Antonio Cesari, Roma 1828; Istoria del ritrovamento delle spoglie mortali di Raffaello Sanzio, Roma 1833.
Fonti e Bibl.: L’Archivio della famiglia Odescalchi, con documentazione anche su Pietro, è depositato presso l’Arch. di Stato di Roma. Lettere inedite di e a Odescalchi si trovano in numerose biblioteche: Bibl. apost. Vaticana, Autografi Ferrajoli (cfr. La «raccolta prima» degli autografi Ferrajoli, Città del Vaticano 1990, ad indicem; Le raccolte Ferrajoli e Menozzi degli autografi Ferrajoli, Città del Vaticano 1992, ad indicem; La raccolta e la miscellanea Visconti degli autografi Ferrajoli, ibid. 1996, ad indicem); Pesaro, Bibl. Oliveriana, Carte Cassi, Antaldi e Perticari; Roma, Bibl. Angelica, Autografi Cardinali; Forlì, Bibl. comunale A. Saffi, Fondo Piancastelli (cfr. G. Mazzatinti - A. Sorbelli, Inventari dei manoscritti delle Biblioteche d’Italia, LII, Firenze 1933, pp. 188, 195, 236, 262; LXXVI, ibid. 1948, p. 64; XCVI, ibid. 1980, p. 281); Roma, Bibl. naz. centrale, FondoAutografi, Carte Betti (108 missive indirizzate a Salvatore Betti); Firenze, Bibl. naz. centrale, FondoCarteggi vari; Ibid., Arch. stor. del Gabinetto Vieusseux,Copialettere Vieusseux. Lettere di O. sono, inoltre, pubblicate in: Opere di Giulio Perticari, Napoli 1852, pp. 443-445, 448; Epistolario di Vincenzo Monti, raccolto, ordinato e annotato da A. Bertoldi, V-VI, Firenze 1930-31, ad indices. Fra i numerosi necrologi si segnalano per completezza: Necrologia del principe P. O. scritta dall’avvocato Filippo Cicconetti, Roma 1856 (con un elenco delle opere di O.); Elogio del principe D. P. O., già direttore di questo giornale, scritto da monsig. Stefano Rossi, in Giornale arcadico, CXLVIII (1857), pp. 3-38. Inoltre: M. Maylander, Storia delle Accademie d’Italia, II, Bologna 1927, pp. 421-424; III, ibid. 1928, pp. 430-490; V, ibid. 1930, pp. 36-38, 310-317; C. Bona, Le “Amicizie”. Società segrete e rinascita religiosa (1770-1830), Torino 1962, pp. 371, 588; A. Piolanti, L’Accademia di religionecattolica. Profilo della sua storia e del suo tomismo, Roma 1977, pp. 70, 117; M. Bocci, Il municipio di Roma tra riforma e rivoluzione (1847-1851), ibid. 1995, ad ind.; G. Moroni, Diz. di erudizione stor.-eccles., XLVII, pp. 263-269.