ARRIGONI, Pietro Paolo
Figlio di Emilio, funzionario ducale di origine cremonese, è di Margherita Mantegazza, nacque a Milano alla fine del sec. XV o ai primissimi del XVI. Studiò giurisprudenza e acquistò una buona fiama di dottrina, come dimostra la sua partecipazione alla compilazione delle leggi dello Stato ordinata al duca Francesco II Sforza.
Entrato nella carriera amministrativa, fu avvocato fiscale per la provincia di Milano, cancelliere nel Magistrato straordinario (e in tale qualità il 12 nov. 1538 inviava una supplica a Carlo V perché gli venisse pagato lo stipendio, che, con i crediti arretrati del tempo del duca, ascendeva a più di 500 lire imperiali), questore nello stesso Magistrato e infine senatore. Il 3 ott. 1541 presentava a Carlo V, insieme con gli altri senatori, il testo definitivo delle Constitutiones Dominii Mediolanensis.
Dal 1542 al 1543 fu podestà di Cremona e dal 1547 al 1551, occupata Piacenza da don Ferrante Gonzaga dopo la uccisione di Pier Luigi Farnese, podestà di quella città.
Si trattava in quel momento di un compito particolarmente difficile e delicato, dovuto probabilmente alla fiducia e all'amicizia del Gonzaga. L'A. si comportò con grande energia, ma con prudenza, come esigeva una città divisa dai partiti, disillusa dalle promesse di libertà fatte dai congiurati e ora sottoposta ai duri carichi tributari comuni a tutto lo Stato di Milano. Tra l'altro, in questo periodo a Piacenza si rivelarono molti casi d'eresia e l'A. dovette occuparsene a più riprese. Nel 1550 un pellicciaio sorpreso a predicare dottrine e a diffondere libri ereticali fu da lui, per ordine del Gonzaga, immediatamente impiccato; per altri, sospetto tati d'eresia e sottoposti a processo dagli inquisitori, l'A. raccomandò di procedere "con buon fondamento". Intervenne per la eliminazione di abusi e scandali nei conventi, vietando l'ingresso dei laici in tutti i monasteri e dei frati in quelli femminili, e nominando, stante la negligenza delle autorità ecclesiastiche, una commissione di cittadini che vigilasse l'osservanza di questi ordini.
Di eretici, inquisizione e riforma dei costumi l'A. dovette occuparsi poi nella sua qualità di presidente del Senato di Milano, non nascondendo mai una profonda gelosia delle prerogative degli ufficiali regi nei confronti degli inquisitori, come apparve nella controversia sorta a questo proposito nel 1553.
Morto il presidente del Senato Marco Barbavara, l'A. fu scelto da Carlo V nella tema presentatagli il 17 dic. 1557 per la nomina del successore, venendo così a condividere col gran cancelliere Francesco Tavema le gravi responsabilità dell'amministrazione milanese in un periodo cruciale per la vita dello Stato, incerto, almeno fino al 1559, del suo destino politico ed esausto finanziariamente. In quegli anni di instabilità politica si verificarono irregolarità amnúnistrative, vendite abusive di rendite e uffici, tanto che lo stesso governatore Ferrante Gonzaga, in seguito all'inchiesta disposta da Carlo V e condotta da due suoi inviati nel 1553 e 1554, venne richiamato in patria e invitato a dare spiegazioni.
Durante la sua assenza, a cominciare dal iq marzo 1554, il governo dello Stato, per quanto riguardava l'amministrazione civile, restò affidato al presidente del Senato e al gran cancelliere, che già l'anno precedente erano stati incaricati di sostituire il Gonzaga assentatosi per una cura termale. Reggenti dello Stato (nei documenti vengono chiamati "governatori") fino all'arrivo del duca d'Alba, nel giugno del 1555, l'A. e il Taverna, in mezzo a insormontabili difficoltà obiettive, impotenti o non sufficientemente decisi a frenare gli abusi, sollevarono molti scontenti.
Quando il duca d'Alba, qualche mese dopo, ordinava all'A. di rivedere "le provvisioni et salarii" dei vari officiali, non è improbabile che ciò facesse seguito alla scoperta di qualche abuso e che altri maggiori se ne sospettassero allorché, nel luglio 1556,venne iniprigionato il Taverna. Tanto che, dopo la brusca sospensione dell'inchiesta dei commissari di Carlo V in seguito all'annuncio della amnistia concessa il 27 ott. 1554per l'assunzione al trono di Filippo II (e in questa occasione l'A. aveva richiesto inutilmente Ilestensione di essa a lina serie di, reati che ne erano stati esclusi, in primo luogo quelli su cui verteva l'inchiesta), questi ne disponeva un'altra, condotta da don Andrea de La Cueva dal 12 ott. 1559 al 26 maggio 1562.
Poiché prima di partire per la visita il La Cueva era stato invitato a controllare quello che da Milano e da Cremona si era scritto contro il presidente del Magistrato straordinario, F. Grassi, e il presidente del Senato, A., cioè che erano "hombres afrentados y que no hacian bien sus oficios" (cit. in F. Chabod, Usi e abusi nell'amministrazione dello stato di Milano...,p.164),venne preparato un questionario di sessantuno domande riguardanti il Senato e il suo presidente. In alcune si chiedeva se fosse vero che egli non concedesse volentieri udienze e che mandasse alla lunga le cause: ma benché fosse confermato che i procedimenti innanzi al Senato erano intemiinabiii, pure a carico dell'A. non risultarono aggravi.
Conservò pertanto il suo ufficio fino alla morte, avvenuta nel 1565.
Fonti e Bibl.: La copiosa corrispondenza d'ufficio dell'A. da Cremona, da Piacenza, e voi in qualità di presidènte del Senato, è nell'Arch. di Stato di Milano, Cancelleria spagnola, Carteggio generale, ad annos. Interessanti dediche all'A. in M, Litta, De urbe Mediolanensi ad presidem P. P. A.. Mediolani 1554, e B. Taegius, Tractatus varii ad criminales causas Pertittentes, Mediolani 1564. Cfr. anche J. de Sitonis de Scotia, Theatrum equestris nobilitatis, Mediolani 1706, p. 24; F. Argelati, Bibliotheca scriptorum Mediolanenium,I,2, Mediolani 1745, pp. 103-104; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia,I,2, Brescia 1753, p. 1134; L. Fumi, L'inquisizione romana e lo stato di Milano, in Arch. stor. lombardo, XXXVII (1910), pp. 352 s., 368; A. Visconti, La Pubblica amministrazione nello stato milanese durante il predominio straniero (1541-1796), Roma 1913, p. 7; F. Chabod, Per la storia religiosa dello Stato di Milano,estr. dall'Ann. d. R. Ist. stor. ital. per l'età moderna e contemporanea,II-III (1936-37), Bologna 1938, p. 20 e 160; Id., Usi e abusi nell'amministrazione dello stato di Milano a mezzo il Cinquecento,in Studi storici in onore di G. Volpe,Firenze 1959, pp. 99, 112, 153, 155, 163 s.; Id., in Storia di Milano, IX, L'epoca di Carlo V (1535-1559), Milano 1961, passim.